“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 5

Un ingresso trionfale

http://www.theguardian.com/world/2011/jul/18/greek-taxi-drivers-disrupt-touristsYannis era ciarliero; la stessa mano che si lisciava i baffi impomatati, volteggiava nell’aria ferma delle due, e tracciava linee immaginarie, per sottolineare i giudizi inappellabili pronunciati in un inglese sperimentale. Il tassista sessantenne era stato spesso in Italia e suo figlio studiava medicina a Napoli, perciò si sentiva in diritto di articolare analisi socio-economiche, tanto categoriche quanto disperanti. Italia Grecia mia faza mia raza era stata la frase di apertura, pronunciata un attimo prima della chiusura dell’ultima portiera. Le tre ragazze non avevano potuto sottrarsi al polemico interlocutore: Elena era quella che cercava di tenergli testa o quanto meno di seguirne il discorso, Cassandra aveva abbandonato la conversazione all’apparire delle colonne superstiti dell’Olimpieion, aveva tirato fuori la macchina fotografica e cercava di immortalarle, impresa ardua, data la velocità sostenuta del taxi; Asia sembrava assente, avvolta in una bolla che la isolava dalle risate di Yannis e dal suono meccanico della macchina di Cassandra. Fendendo il traffico dell’ora di punta, il piccolo squalo giallo si infilò nel budello di Plaka e in pochi minuti scaricò le ragazze davanti all’ostello.

L’improvviso silenzio fece sussultare le giovani archeologhe: fu solo un attimo, poi il frinire delle cicale restituì il ritmo abituale all’afa greca. La piazzetta antistante l’ostello era piena di turisti, seduti ai tavoli delle numerose taverne, il caldo era talmente avvolgente che perfino le orchestrine ambulanti, un must per ogni taverna che si rispetti ad Atene, si stavano prendendo una pausa. Le cicale aumentarono l’intensità del loro strofinare e a Cassandra sembrò che la testa cominciasse a girare – “Scusate ragazze, possiamo entrare? Io ho bisogno di farmi una doccia… mi è presa davvero male” “Sì, ok Cassandra, ma dobbiamo anche mangiare qualcosa, altrimenti facciamo l’effetto domino e sveniamo una sull’altra” – ad Asia cominciava a non piacere la facilità con cui le sue compagne di viaggio tendevano a farsi sfuggire il momento del pranzo: per loro un gelato era più che sufficiente, ma lei preferiva di gran lunga una ricca choriatiki, l’insalata con feta e olive. “Va bene, comunque voi, se volete, rimanete pure giù, io ho bisogno di ombra e fresco, altrimenti casco a terra…”

La stanza dell’ostello era una tripla piuttosto economica, soprattutto considerando la posizione centralissima! Dalla finestra del bagno in corridoio si scorgeva la bandiera bianca e blu svolazzante sull’Acropoli e il viavai di turisti era una garanzia: da quel quartier generale si potevano raggiungere comodamente a piedi i monumenti più importanti della capitale.

Elena e Asia decisero di esplorare i dintorni alla ricerca di qualcosa da mangiare, Cassandra era crollata sul letto dopo la doccia e non era il caso di svegliarla. Le lasciarono un biglietto, promettendo di fare presto. Erano le tre del pomeriggio e sembrava una follia uscire a quell’ora, ma Asia era stata irremovibile: “Non ha senso mettersi a dormire ora, va a finire che ci svegliamo alle sei e perdiamo tutto il pomeriggio. Abbiamo solo bisogno di mettere qualcosa sotto i denti e di rinfrescarci, sulla guida è indicato un posticino economico qua vicino”. Elena si lasciò convincere e seguì Asia, velocissima nel dribblare i camerieri sudati che tentavano di farle sedere ai tavoli delle taverne nella piazza. “Allora, qua dice SCOLARHIO.. ma che diavolo ci fa l’ACCA lì in mezzo?!… comunque dovrebbe essere in Tripodon, aspetta, giriamo qui a destra e andiamo avanti”. Le due amiche raggiunsero la meta in pochi minuti: una taverna su due piani, con un’ampia veranda in legno e l’insegna nascosta da una rigogliosa edera che prometteva ombra e fresco. Si sedettero a un tavolo d’angolo e furono subito travolte dall’entusiasmo dell’anziano cameriere, che intuirono essere il proprietario del ristorante. Stavano per lanciarsi nella solita lotteria delle ordinazioni, che dopo una settimana era diventata un po’ più consapevole, quando il loro sorridente ospite comparve con un enorme vassoio di antipasti e cominciò a servirle, annunciando velocemente il nome del piatto che scodellava sul tavolo di fronte a loro. Non parlava inglese, o meglio, non SOLO inglese, si trattava piuttosto di un grammelot in salsa tsatsiki, dove trovavano spazio parole in italiano, spagnolo, francese e, sì, dai, anche un po’ di inglese. Asia ed Elena fecero fatica ad arginare la sua foga, ma finalmente trovarono il giusto equilibrio tra la loro fame e le necessità economiche dell’esercente greco. Di fronte ad un caffè turco (che avevano imparato a chiamare “greco” per evitare occhiate stizzite) cominciarono a rilassarsi: “Che peccato che Cassandra sia rimasta a dormire, qui si sta davvero bene!” – “Vedi? Che ti avevo detto? Non aveva senso rimanere in stanza. Mi scusi? Posso chiederle una cosa?”, Asia aveva deciso di dare credito alla tanto decantata passione per l’Italia del loro anfitrione e gli si era rivolta direttamente in italiano: “Sì! Subito! Eccomi!” “Mi saprebbe dire dove si trova questo posto?”, la giovane archeologa tirò fuori una cartina spiegazzata, con un indirizzo segnato a pennarello e un asterisco che prendeva mezzo foglio. “Mmhh.. aspetta.. oui, sigoura, tha prepi na’ne edò kapou… madame ha mappo di Atene?” Asia prese la cartina in fondo alla guida e la porse al suo interlocutore, “Ecco, qui! Lei sale per scale, qui, e poi turna a des.. a sinistra! Segue strada e legge nomi, lo vede STRATONOS, capisce? STRA-TO-NOS e segue segue segue”. Il volto sorridente e un poco sudato indicava che la spiegazione era terminata e che aveva lasciato soddisfatto il simpatico ristoratore. Asia ringraziò, mentre Elena si asciugava gli occhi pieni di lacrime e batteva ritmicamente il piede sulle assi di legno… lo sforzo, la mimica, i gesti del greco così sollecito stavano per farla scoppiare in una risata isterica, dettata probabilmente dalla stanchezza. Aveva provato a trattenersi, ma era stata davvero dura e ora aveva bisogno di sfogarsi. Pagarono velocemente e si ritrovarono quasi a correre lungo odòs Tripòdon, in direzione dell’ostello: “Oddio.. oddio sto morendo … madonna.. non ce la facevo più.. ma hai visto che facce che faceva?? Ommamma.. moiooo” “Sì, in effetti era un po’ buffo, ma è stato gentile, dai” “Sì, sì…. Figurati.. ma stavo davvero per scoppiare a ridergli in faccia!!!” Asia sorrideva dell’attacco isterico della compagna, ma intanto cercava di ripassare mentalmente le indicazioni appena ricevute.

“Senti Ele, tu vai pure da Cassandra, io vado a prendere dei francobolli perché ho promesso a mia sorella che le avrei mandato una cartolina appena arrivata ad Atene. Ci vediamo tra un’oretta, va bene? Facciamo che ci vediamo lì alla taverna dove siamo state”. Elena guardò l’amica sgranando gli occhi, era abituata alle sue stranezze, ma questa le sembrava davvero peculiare: “Ah, vabbé, ma possiamo anche fermarci dopo, insieme” “No, dai, davvero e poi devo digerire tutta quella cipolla, ho bisogno di fare due passi” “Va beenee Asia, ci vediamo dopo”.

Turiste

“Allora, io direi che domani ci facciamo il Museo Archeologico e l’Acropoli” “Sì, e anche il Pronto Soccorso, già che ci siamo… no, ragazze, io non so se ce la faccio, fa troppo caldo.. tutto insieme così?!” “Ma aspetta Cassandra! Seguimi: ci svegliamo presto, l’Acropoli apre alle 8, noi siamo lì alle 8.30 e quando comincia a fare davvero caldo siamo già al Museo Archeologico, belle fresche con l’aria condizionata!” “Mmh.. se lo dici tu.. così non sarebbe male, in effetti”. Elena e Cassandra si erano fatte spazio sul tavolino e stavano contemplando la cartina di Atene, gentilmente offerta dalla direzione dell’ostello.

Il primo pomeriggio ateniese si era risolto in una esplorazione dei dintorni e il punto di partenza era stata la taverna “scoperta” da Asia ed Elena; proprio nella stradina dirimpetto l’ingresso dello Scholarhio, il terzetto aveva notato un altro locale “To Kafeneio”, decorato da una costellazione di lucine appese al soffitto e con un sistema di ventilazione particolarmente apprezzato in quell’Agosto afoso e umido. Così si erano risolte a cenare lì e ora, finito di mangiare, stavano facendo il punto della situazione e programmando i giorni successivi.

Asia, che ne dici?” “Sì, io direi che si può fare, e comunque, Cassandra, se ti senti poco bene si può sempre cambiare piano, o si torna indietro o ci si ferma a bere qualcosa di fresco. Ma al Benaki quando ci andiamo?” “Allora, io direi che possiamo provare ad alternare, un giorno ad Atene e uno in giro: ricordatevi che dobbiamo andare a DELFI!!!” “Sì, Delfi, ma anche Capo Sunio, lo avevamo detto” – Asia sembrava essere cambiata, rispetto ai primi giorni: era molto più presente, propositiva, partecipe. Cassandra si chiese se, finalmente, i discorsi fatti in Peloponneso fossero andati a segno; in ogni caso era chiaro che l’aria di Atene l’aveva completamente risvegliata, forse, si disse l’etruscologa, era solo una questione di tempi, quelli di Asia erano un po’ più lunghi e richiedevano qualche giorno in più per adattarsi al nuovo ambiente.

“Asia, quanto è costato poi il francobollo? Vorrei spedire anche io un paio di cartoline, magari dal Museo Archeologico!” “Come?” “Il francobollo che hai preso oggi per tua sorella” “Ah, già.. guarda, scusami ma non me lo ricordo, anche perché ho preso anche un succo di frutta perciò non so bene quanto ho pagato l’uno o l’altro” – Elena avvertì qualcosa di appena percettibile, una specie di incrinatura nella voce dell’amica. Non sapeva se farci caso oppure no, ma sentiva che poteva essere importante.

Asia cambiò subito discorso e riprese a programmare la visita del giorno dopo. Quel pomeriggio, tra i vicoli di Anafiotika, la rocca dell’Acropoli l’aveva colpita per l’imponenza e per un senso di protezione che emanava dai massi bianchi. Le indicazioni del ristoratore greco si erano rivelate abbastanza precise, purtroppo Asia si era accorta a proprie spese che quel labirinto di vicoli e casette, che si raggomitolava ai piedi della grotta di Aglauro, mancava di un particolare essenziale a chi volesse individuare un’abitazione specifica: i nomi delle strade e i numeri civici! La guida l’aveva avvertita: Anafiotika prende il nome dall’isola di Anafi da cui, negli anni ’20 del ‘900, emigrarono molti muratori e carpentieri, con la prospettiva di lavorare alla ricostruzione del centro di Atene. Col tempo furono raggiunti da altri isolani, i quali decisero di costruire per sé delle case in stile cicladico, con il tetto piatto, l’intonaco di un bianco brillante e gli infissi azzurri. In breve si creò una vera e propria comunità, in cui tutti si conoscevano e si orientavano perfettamente nel piccolo labirinto di vicoli, tanto da non sentire la necessità di dare un nome alle strade, quanto alle case, cominciarono ad essere individuate con il termine “Anafiotika” seguito da un numero progressivo. Oggi molte di quelle case sono disabitate e la zona è in preda al degrado.

Asia aveva comunque trovato quello che cercava, una risposta a domande da troppo tempo trattenute. L’incontro era stato breve, ma importante per la giovane archeologa, soprattutto perché, a questo punto, aveva capito come si sarebbe dovuta comportare nei giorni a seguire. Questa nuova consapevolezza l’aveva rilassata, un paio di telefonate avevano confermato quanto saputo dal “contatto” ateniese: a questo punto bisognava solo aspettare e fare in modo di essere a Delfi nel giorno stabilito.

“D’accordo Elena, il piano mi piace, un giorno ad Atene e uno in giro, io direi che dopodomani potremmo andare a Capo Sunio!” “E DELFI??? Guarda che io non parto se non ci andiamo!!” “Tranquilla, c’è tutto il tempo Elena” – Cassandra non amava il mare, ma Capo Sunio era ben più di una spiaggia: ricordava vagamente un’estate dei suoi quindici anni, quando i genitori l’avevano coinvolta in un viaggio in Grecia. Avevano imbarcato la macchina, quella volta, per spostarsi in piena autonomia, utilizzando le piazzole attrezzate dei numerosi campeggi, ma anche azzardando qualche notte improvvisata nella storica Canadese nel mezzo del nulla. A Capo Sunio suo padre aveva avuto la pensata di accamparsi in spiaggia, dopo aver goduto dello splendido tramonto; una notte memorabile, perché era il 10 di Agosto, San Lorenzo, e, infagottati nei sacchi a pelo, Cassandra e i suoi genitori si erano sdraiati sulla sabbia a contemplare il cielo e fare a gara nell’individuare le stelle cadenti. “Allora è deciso: domani Atene, dopodomani Capo Sunio, il giorno dopo di nuovo Atene con il museo Benaki, l’Olimpieion, il Ceramico e l’Agorà, e poi Delfi.” Le tre amiche suggellarono il programma con un brindisi e si avviarono a dormire per prepararsi al tour de force del giorno successivo.

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“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 4

Intermezzo

Socrate – Abbiamo tanto tempo, o almeno così sembra; e inoltre le cicale ci guardano, mentre cantano e chiacchierano tra di loro nell’aria afosa. Se dovessero vederci impegnati non a conversare nel meriggio, ma, come fa la maggior parte delle persone, a sonnecchiare, cullati dal loro frinire a causa della nostra indolenza, si metterebbero a ridere, e giustamente. Penserebbero che degli schiavi hanno raggiunto la loro isola felice e stanno facendo una pennica dopo pranzo presso la fonte, come delle stolide pecore. Ma se ci vedono chiacchierare e oltrepassarle, insensibili al fascino delle loro voci di Sirene, forse apprezzeranno il nostro gesto e ci daranno il dono per il quale gli dei le hanno elette a messaggere.

Fedro – Quale dono? Non mi sembra di averne mai sentito parlare.

Socrate – Beh, non è bene che un amante delle Muse quale tu sei non abbia mai sentito di questo dono. In breve, si racconta che le cicale un tempo fossero uomini, prima della nascita delle Muse, e quando le Muse nacquero e con loro comparve anche il canto, alcuni di questi uomini furono sopraffatti dal piacere e cominciarono a cantare, in continuazione, fino a dimenticare di bere e mangiare e così da morirne. Fu proprio da quegli uomini che nacquero le cicale, e a loro le Muse diedero in dono una vita all’insegna del canto: le cicale non avvertono la necessità di sostentarsi, ma cantano in continuazione, senza mangiare né bere fino a quando non muoiono. A quel punto vanno dalle Muse e confidano loro quali uomini le venerano. A Terpsicore raccontano di quanti la onorano nella danza, e la fanciulla si compiace di questi mortali; le cicale poi intercedono presso Erato per i compositori di poesie d’amore, e presso le altre Muse a seconda dei diversi modi che gli uomini scelgono per onorarle; a Calliope, la più anziana tra le Muse, e a Urania, che le siede accanto, indicano quegli uomini che dedicano la vita alla filosofia e che venerano queste Muse che sono più legate al cielo e a pensieri divini e umani, e la cui musica è la più dolce. Ecco che, come vedi, ci sono tante ragioni per cui ci conviene parlare e non dormire, dopo pranzo.

Platone, Fedro (258e-259d)

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“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 3

Una visita salutare e una telefonata inaspettata

Di Epidauro si conosce il teatro, molto ben conservato e ancora protagonista di serate evocative. Ma per un archeologo che si interessi di culti religiosi, soprattutto legati a divinità salutari, Epidauro è essenzialmente il luogo di diffusione del culto di Asclepio, e il suo santuario raccoglie testimonianze di guarigioni che sembrano spartirsi equamente gli aspetti più superstiziosi e quelli più scientifici di una disciplina ancora alle prime armi.

Nella piantina si distinguono il tempio (1), il portico (2) e la tholos (4)

Asclepio, assistito da Igea, mentre guarisce una devota - ex voto da Atene

Nelle cosiddette sanationes , infatti, si leggono i sogni dei pazienti: i devoti al dio della salute trascorrevano una notte sotto il lungo portico, in attesa di un sogno rivelatore, di una apparizione, durante la quale il dio stesso sarebbe venuto a guarire o a spiegare cosa fare. Il giorno successivo i pazienti erano interrogati dai sacerdoti, i quali annotavano i sogni, registravano le guarigioni, a volte si prendevano la responsabilità di piccoli interventi e così si guadagnavano l’obolo che dava accesso al santuario. La storia degli scavi di Epidauro è lunga e affascinante, anche perché ha lasciato insoluto un piccolo (o grande) mistero: la vera funzione di un edificio rotondo, la cosiddetta Tholos.  Non sembra essere una tomba, né è menzionata nelle descrizioni dei vari riti cultuali connessi ad Asclepio e alla sua famiglia divina; alcuni studiosi sembrano aver trovato una soluzione verosimile e associano la peculiare struttura al carattere ctonio del culto. Asclepio, in pratica, proprio per la sua funzione di guaritore che comprendeva, tra l’altro, la capacità di risuscitare i morti, godeva dello status ibrido di dio sia olimpio che dell’Oltretomba. Non per nulla era sempre accompagnato da uno o due serpenti, animali legati alla terra e a ciò che vi si cela, i quali spesso avevano parte attiva anche nei sogni guaritori. Dunque, la tholos dovrebbe essere una sorta di rettilario, in cui i serpenti venivano allevati e nel quale si muovevano come in un piccolo labirinto.

Tutte queste informazioni furono lette con voce impostata da Elena, molto affascinata dal mito di Asclepio, tanto da averlo scelto come soggetto della tesi di laurea – in realtà si trattava di un gruppetto di classiciste, cui il professore aveva assegnato i diversi santuari di Asclepio disseminati per la Grecia, a Clizia era capitata la Macedonia greca, a Elena gli ex voto del santuario ateniese. Cassandra ascoltava interessata ma anche scettica e cercava di minare le certezze di Elena, interrompendo la lettura con mille domande. Arrivate al punto della tholos e alla ridda di ipotesi le due colleghe cominciarono ad accapigliarsi. Fu probabilmente in quel momento che Asia scomparve.

“Ecco, e ora dove si sarà cacciata?!” – Cassandra cominciava a spazientirsi, questa mania di scomparire senza dire nulla era decisamente scocciante e fuori luogo, tutti i lunghi discorsi sulla necessità di una maggiore comunicazione e condivisione non sembravano aver sortito alcun effetto. “Boh.. io stavo leggendo, ma non era qui con noi fino ad un momento fa??” “Senti, io mi sono stancata, tanto l’orario dell’autobus lo sa.. spero avrà il buon gusto di farsi trovare alla fermata”.

La visita al teatro fu altrettanto suggestiva, si ritrovarono sedute sugli scalini più alti, mentre sotto di loro un gruppo di turisti olandesi stava ascoltando la spiegazione infervorata della guida. Ad un certo punto videro che una decina di loro si spostavano un poco più in alto, mentre la guida rimaneva in silenzio, quasi in attesa. Quando si furono sistemati, riprese a parlare e in breve fu chiaro l’intento di provare l’incredibile acustica dell’antico teatro. Dopodiché sentirono un tintinnio e istintivamente si toccarono le tasche, temendo di aver lasciato cadere una delle dracme di resto del biglietto, invece si trattava di un altro espediente della guida per far capire agli astanti quanto fosse incredibilmente curata la forma del monumento: il suono della moneta lasciata cadere al centro dell’orchestra era avvertito fin nelle ultime file della summa cavea. Contemporaneamente sembrò loro di sentire anche un altro suono, flebile ma distinto: era una voce strozzata, ma era impossibile dire da dove provenisse, se dal basso oppure dai cespugli dietro di loro.

H. L. Lévy - Clizia trasformata in girasole - 1876

“Senti, Elena, io direi di chiamare Clizia” “Ma.. non aspettiamo Asia?” “Eh no, cavolo, le avevamo detto che era ganzo chiamarla proprio a Epidauro.. e poi scompare.. allora cazzi suoi!” Cassandra era determinata a mantenere la parola data alla compagna lontana: una telefonata dal sito di Epidauro aveva un suo perché! Era un atto di omaggio alla studiosa di Asclepio.. e un’occasione da non mancare per sottolineare cosa si stava perdendo… Trovarono uno dei telefoni a scheda di cui la Grecia è disseminata, anche all’interno dei siti archeologici, e sfoderarono la tessera comprata proprio per le telefonate con l’estero; il codice sembrava interminabile, ma alla fine, dopo un paio di tentativi andati a vuoto a causa di tasti un poco “duri” da premere… “Ehi!! Ciao favetta!! Come stai???” “Noooo… non ci credooooo!! Ma dove siete??” “Secondo te? Non avevamo detto che ti avremmo chiamato da Epidauro?” “Cavolo.. Epidauro.. ragazze, grazie davvero, che invidiaaaaa” “Ehh, lo sappiamo, ma tu che fai, stai meglio?” “Mah, diciamo che il peggio è passato, ma mi hanno dato riposo assoluto, ma ditemi voi, che fate, cosa avete visto fino ad ora?” La conversazione continuò tra frizzi e lazzi vari, Cassandra teneva in mano la cornetta, ma lasciava che anche Elena ascoltasse e intervenisse. “Sentite, fatemi salutare Asia, che state spendendo un patrimonio” “Ah, ecco, purtroppo non possiamo, l’abbiamo persa” “Eh?! Ma .. che dici? Persa.. nel sito archeologico?” Cassandra sciorinò l’elenco delle situazioni delicate in cui l’amica aveva messo il terzetto con le sue scappatelle, non fu tralasciato niente, men che meno il tedesco di Olimpia. “Ah, capisco. Beh, si sa che Asia è un poco strana, probabilmente preferisce guardarsi il sito in pace per i fatti suoi… Come hai detto che era questo tedesco allo stadio di Olimpia?” – Il tono di Clizia si fece più serio e interessato ai particolari, ma ormai la telefonata doveva finire, non era il caso di asciugare così la prima scheda telefonica.

Una volta riagganciato le ragazze urlarono in coro: “ASIAAAAAA!!! Ma dove ti eri cacciata?? Abbiamo appena finito di parlare con Clizia!” – Asia sembrava non aver sentito, stava annotando qualcosa, seduta su un innocente muretto e solo il fischio lungo del custode le fece capire che in realtà si trattava del temenos del santuario.

Simposio a Corinto

Era una notte stellata, troppo bella per farla evaporare attorno al tavolo di un bar. Cassandra, Asia ed Elena si ritrovarono a vagare lungo i cancelli chiusi del sito archeologico di Corinto, in cerca di un punto in cui fermarsi ad assorbire le energie vecchie di millenni. Pochi lampioni, strada deserta, eppure nessun sentore di pericolo, le tre fiorentine si rilassavano dopo la prima settimana in terra greca. “Scusate, ragazze, ma posso farvi una domanda, visto che voi siete due classiciste?” – Cassandra guardò con attenzione Asia, dubbiosa su dove volesse andare a parare. Lei era etruscologa, per la precisione, e certo non poteva essere accomunata ad una preistorica, ma avvertiva forte la distanza da grecisti o romanisti, rivendicava per sé qualcosa di autentico, primigenio e in molti aspetti ancora poco chiarito, dunque più genuino rispetto ai “soliti noti” di età classica. “Dai, spara!” – Elena era sempre pronta al confronto di idee. “Pensavo…. Ma voi.. quando scavate… voi cercate l’oggetto o il contesto?”.

Un boato, questo fu lo scoppio di risa di Cassandra ed Elena. Asia aveva pronunciato la sua frase con una serietà che le aveva messe quasi in soggezione, ma una volta ascoltata la domanda era sembrata quasi una presa in giro. Era risaputo che la loro università non offriva molte possibilità di scavo e che anche i classicisti dovevano comunque confrontarsi con uno scavo etrusco e non greco. Nella fattispecie, poi, Elena non aveva partecipato a molte campagne di scavo, mentre per Cassandra si trattava ancora dei primi anni. Molto diversa era la situazione di Asia, sempre impegnata in qualche campagna di scavo, sia d’estate che d’inverno. La discussione, perciò, era apparsa fin troppo seria per il gruppetto, eppure Asia voleva sapere, confrontare le opinioni e capire meglio il punto di vista delle due compagne. Cassandra ed Elena non avevano un’idea precisa in merito, ma la loro passione per la storia non si limitava di certo agli svolazzi di qualche lezioso copista romano o ad una imponente ricostruzione filologica, ma inesorabilmente poco autentica. Convennero, perciò, che l’importanza del contesto era essenziale per tutte e tre, e che alcuni scandali ancora freschi di musei americani scoperti a commerciare con oggetti trafugati, facevano venir voglia di rispolverare il patibolo di piazza Beccaria (o di Tripoli…)!

Poi, lentamente, la bottiglia di ouzo, anche se umiliata nei tristi bicchieri di carta, cominciò a fare il suo effetto, sciogliendo i muscoli e le lingue e i pensieri. Cassandra si ritrovò a parlare alle amiche di quel suo nome così importante, spesso fonte di feroci prese in giro, soprattutto al liceo, ma che lei portava con orgoglio, rivendicando una qualche nobiltà, se non di sangue almeno di spirito. Fu inevitabile scivolare sul terreno pericoloso della storia di Elena di Troia: al netto delle trite e scontate battute, Cassandra recuperò la lezione di Gorgia di Leontini, celebre filosofo siceliota, il quale aveva stemperato il severo giudizio degli antichi sui costumi libertini della moglie di Menelao, imputando il suo tradimento all’abilità oratoria di Paride. Il principe troiano avrebbe usato l’arte della persuasione ed Elena sarebbe caduta nelle trame di Afrodite, che l’aveva fatta innamorare, e della Necessità (Ananke) che l’aveva irretita con i discorsi del giovane rapitore. Asia era affascinata da questi discorsi di miti, che dal loro Olimpo lontano giungevano a condizionare le vite di due comuni mortali. In breve il discorso si spostò sugli incontri degli ultimi giorni, a partire dal tedesco dagli occhi di ghiaccio, ma senza tralasciare il noleggiatore di motorini di Nafplio o il cameriere della taverna di Archaia Korinthos, che le aveva rifornite dei bicchieri per questo simposio improvvisato alla luce del panselino di agosto.

Non si fece cenno alle improvvise sparizioni di Asia, in fondo, pensavano Cassandra ed Elena, facevano parte del personaggio e contribuivano a creare un’aura di buffo mistero. Purtroppo, nemmeno con un nome così ispirato, Cassandra non riuscì a prevedere quel che sarebbe successo nella tappa successiva: Atene.

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“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 2

Continua il mio esperimento … brrr …

Tripoli, la morte civile

Per chiunque intenda girare il Peloponneso utilizzando il servizio di trasporto pubblico greco, Tripoli è lo snodo di ogni itinerario: nella cittadina bisogna fermarsi per cambiare mezzo, oppure, se si è fortunati, si deve solo transitare dalla locale stazione di pullman, ma non si può sfuggire a Tripoli. Chi l’ha progettata deve avere avuto un motivo personale per odiarne la popolazione: si potrebbe tentare di ricostruire una leggenda di rivalità fra architetti e urbanisti, oppure una beffa lasciata dai Turchi in ricordo e a futuro monito per i loro ex sudditi. Fatto sta che Tripoli è orrenda, e anche le tre viaggiatrici non rimasero immuni dal suo fascino macabro, “No, va beh, ma è davvero micidiale…. Come ti giri ti giri, è orribile questo posto!” “Ma l’avete vista la piazza principale? Secondo me ci impiccavano i condannati a morte, quella specie di fontana al centro doveva essere il patibolo.. hanno cercato di mascherarlo ma mi sa che gli è andata male…” “Ma la gente l’avete vista? Prima sono andata a prendere una bottiglietta d’acqua al chioschetto ..” “E’ un periptero” “Sì, ok, grazie Asia, al periptero… insomma, il tizio sembrava fuggito da un esperimento di Lombroso” “Vedrai che qui saranno tutti parenti tra loro.. chi nasce a Tripoli muore a Tripoli.. c’è pure il detto .. ahahahah” “Sì, infatti, vedi Tripoli e poi muori!!! Ahahahah”. L’allegro terzetto si diresse nuovamente verso la stazione degli autobus: dovevano aspettare mezz’ora per la coincidenza per Sparta, perciò avevano pensato di fare un giretto nei dintorni, ma avevano capito subito che non c’era molto da girare, né da vedere. “Io vado un attimo in bagno” “Ehi! Asia, mi raccomando! Il bus parte tra poco, hai visto che sono puntuali qua”.

“No, dai, non può farcelo perdere, io davvero la strozzo… non mi dica che ha trovato fila QUI, in questo buco di culo del mondo..” “Dai Sandra, vedrai che arriva.. eccola! ASIAAA!!! Sbrigati!!!”

Il volto di Asia era decisamente alterato, le gote rosse indicavano che qualcosa l’aveva spaventata e fatta correre di filato, o era solo il timore di perdere il bus? “Scusate ragazze, mi sono messa a parlare con una vecchina che mi chiedeva qualcosa che io non capivo, abbiamo provato a intenderci a gesti… “ “Oh Asia, ma dai… è già la seconda volta che mi fai prendere un colpo, con questi autobus non possiamo scherzare, se lo perdevamo ci toccava aspettare due ore.. QUI!” “Lo so, scusate”. Mentre Cassandra ed Elena erano impegnate a far presente all’amica un paio di regole base del buon compagno di viaggio, una figura alta e pallida si avvicinò all’autobus in movimento e l’autista dovette frenare bruscamente. Urlò un paio di frasi stizzite, ma, di fronte al biglietto sventolato con sicurezza, non poté fare altro che aprire la porta del veicolo e far salire il ritardatario. Aveva un cappello di paglia calcato sugli occhiali scuri, una maglietta nera a mezze maniche e un paio di jeans blu scuro. Le Birkenstock che aveva ai piedi e la pelle diafana erano facili indizi di una sua origine nordica, sotto gli occhiali, barba e baffi rossicci aggiungevano un tocco coerente a quello che, da vicino, sembrava un tentativo ben riuscito di dissimulare il proprio aspetto.

Passando nel corridoio, il nordico urtò il ginocchio di Asia, che si era rimessa a leggere la guida con le gambe accavallate. La ragazza alzò il viso, accennando uno sguardo sorpreso, un attimo dopo, pagina 80 si guadagnava un curioso segnalibro: un tovagliolo di carta ripiegato in quattro.

Trecento piccoli indiani… e poi non ne rimase che uno

Sparta è una delusione. Il vecchio Tucidide lo aveva previsto, per questo avvertiva i lettori di non affezionarsi troppo a quelle tre pietre, perché un giorno sarebbero state triste vestigia se paragonate ai monumenti ateniesi. Tuttavia Sparta va vista. Perché alla fine Atene non esiste senza Sparta, il bene non trionfa se non ha un male con cui confrontarsi, la disciplina non si può immaginare senza attraversare il labirinto di quel che resta del santuario di Artemis Orthia. Di fronte alla parodos del teatro di Sparta Elena stava cercando di leggere le lunghe iscrizioni alle sue colleghe digiune di greco: “Dai, Elena, inventa qualcosa, tanto noi non possiamo sapere se stai facendo degli errori!” “No, aspetta Sandra, è che c’è questo maledetto sole che mi impedisce di leggere bene… K-A-I E-F-O-R-O-Y-S …” “Ragazze, ma non lo sentite anche voi questo suono?” Asia piegò leggermente la testa, aveva qualche problema a causa di una brutta infezione che le aveva lasciato un orecchio quasi sordo, eppure c’era un ronzio, che a poco a poco sopravanzava il monotono frinire delle cicale… “Ehi, hai ragione! Lo sento anche io.. sembra un motore” “Ma io non sento nulla, dai, un attimo che sto finendo il rigo, devo solo capire bene come spezzare le parole”

“ODDIO! ATTENTE!!” Asia spinse Cassandra contro la parete della parodos, mentre Elena si era già rintanata in una rientranza del muro, all’improvviso un motociclista inguainato in una tuta verde ramarro e con il casco integrale, sbucò a tutta velocità dalla scena del teatro e si dileguò altrettanto velocemente dietro l’ultimo ulivo che segnava l’ingresso al sito. Subito dopo le ragazze sollevarono gli occhi verso la sommità della cavea e intravidero altri centauri colorati, mentre il frastuono dei motori riempiva l’aria immobile, creando un senso di angoscia e di pericolo. Erano tanti, sbucavano uno dietro l’altro, senza preavviso e senza accennare a rallentare. Sembravano non fare caso alle tre visitatrici, non si poteva dire se intendevano spaventarle o se, molto semplicemente, consideravano il sito dell’antica Sparta “roba loro” e si sentivano in diritto di scorrazzare come e quando piaceva loro. “Fenite via di là, fenite da qvesta parte!”, una voce dal deciso accento tedesco si fece spazio nel frastuono, Cassandra credette di riconoscere il giovane fotografo di Olimpia. “Il zabato qvi si trasforma in una pista di Motokross..” In pochi minuti le ragazze furono in salvo, fuori dal sito e sulla strada principale di Sparta. Si presentarono e così seppero il nome del loro salvatore: Markus era uno studente di archeologia presso il Germanico di Roma, in vacanza in Grecia. L’adrenalina fu stemperata nel ghiaccio di un Nescafè Frapé e i quattro archeologi si ritrovarono a scambiarsi idee e commenti sui siti che avevano visitato, sulle condizioni in cui erano tenuti, sulle personali (e innovative) idee di museologia e sui confronti tra il sistema universitario tedesco e quello italiano. Markus era titolare del prestigioso Reisestipendium, che gli permetteva di viaggiare per un intero anno accademico; la sua ricerca principale riguardava alcune tecniche costruttive di età romana imperiale e i siti greci si stavano rivelando piuttosto ricchi di materiale e di spunti di riflessione. Approfittando del clima rilassato e ciarliero, Asia, l’archeologa preistorica, volle approfondire l’episodio dei trecento spartani morti alle Termopili. Le sue domande erano, come al solito, circostanziate e precise, agli amici classicisti chiedeva di citare i passi letterari che avevano permesso di ricostruire tutta la vicenda. Markus cercò di sottrarsi, accampando la banale scusa dei suoi studi specifici sul mondo romano imperiale, Cassandra era la più intraprendente, forte di un esame di storia greca dato pochi mesi prima e preparato con Clizia, la quarta archeologa rimasta in patria e con il pallino della storia greca, Elena ricordava a memoria alcuni particolari del racconto di Erodoto, ma quel che più le premeva era dimostrare l’atto eroico di Leonida e l’importanza che questo aveva avuto sulla tradizione greca successiva.

Il gruppetto giunse, così chiacchierando, davanti monumento dedicato al grande condottiero ed eretto in fondo ad uno dei viali principali, di fronte allo stadio della triste cittadina. Fu allora che Markus accennò ad una ipotesi letta da qualche parte l’estate precedente: secondo uno studioso tedesco, la storia dell’estremo sacrificio di Leonida era in realtà una montatura propagandistica spartana. Leonida era, non solo sopravvissuto, ma passato dalla parte persiana, in realtà era stato lui e non Efialte a tradire l’esercito degli alleati greci; in effetti Efialte sembrava essere un “nome parlante”, in greco moderno significava “incubo” e quale maggior incubo per un esercito che l’essere venduto dal proprio comandante?

Elena si scaldò subito e la sua parlantina subì una accelerazione improvvisa quanto inarrestabile, che fece indietreggiare Markus. Cassandra cercava di buttarla sul ridere, ma Asia aveva piantato gli scuri occhi seri in quelli cerulei del giovane berlinese. Non era più interessata alla vicenda delle Termopili, piuttosto alla lettura dello studioso tedesco. Markus fece riferimento ad altri esempi certificati di condottieri che avevano tradito i propri soldati, ma desistette quasi subito di fronte alla furia di Elena.

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