“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 9

C’è un piano

La mattinata seguente trascorse in maniera piuttosto veloce. Klaus si era offerto di fare da guida nel sito archeologico del Ceramico, ma anche di far visitare i magazzini del museo. Alla  luce degli ultimi avvenimenti, quella che, normalmente, avrebbe dovuto essere un’occasione entusiasmante, fu vissuta dalle due archeologhe fiorentine con una buona dose di diffidenza. Nemmeno la visione della stele di Dexileos, un calco, perché l’originale si trovava al Museo Archeologico, riuscì a rilassare Cassandra, che l’aveva sbirciata sul manuale delle sue colleghe greciste e ne era rimasta affascinata.

Elena cercava di approfittare della situazione, concentrandosi sulla visita per non pensare ad Asia, non era facile, ma era l’unica cosa logica da fare. Klaus era un’ottima guida e, una volta finito il tour, portò le ragazze a pranzo a Monastiraki.

“Che facciamo? Ci andiamo?” La proposta era logica, di fronte a loro c’erano i cancelli dell’agorà. “Senti, se io entro lì faccio un casino, vado dritta dal direttore del museo e gli pianto una grana che non finisce più…” La naturale diffidenza nei confronti dell’autorità costituita era stata rinforzata dalle ultime rivelazioni. Le due amiche optarono per una visita all’Olimpieion e al Museo Benaki.

Klaus propose di incontrarsi la sera, le avrebbe portate a cena al Pireo.

Dubbi e Decisioni

Il piccolo anfiteatro del Mikrolimani, accogliente come sempre, si aprì davanti al timido terzetto: le luci delle taverne creavano un clima quasi natalizio, avvolto nei fumi del pesce arrostito e cullato da una musica forzatamente folcloristica.

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Ci si poteva quasi dimenticare del mare, tanto potente era la suggestione del moderno spettacolo. Eppure le ragazze non si lasciarono distrarre: Cassandra ed Elena erano ipnotizzate dal movimento delle onde scure nella notte senza luna. A quel punto del viaggio sembrava quasi preferibile pensare di tornare verso casa e lasciarsi alle spalle tutte le strane storie di cocci trovati, persi e venduti.

Ma Asia era ancora lontana, persa in quel labirinto di Minosse, e non era pensabile di uscire dall’incubo senza di lei.

Klaus fece del suo meglio per rilassare le due archeologhe, ma quando arrivò il vassoio di KARPOUZI decise che era giunto il momento di chiarire alcune cose.

“Allora, domani è una giornata importante, e a zuo modo delikata. Antremo a Delfi con l’autobus delle 10 e dofremmo arrivare per l’ora di pranzo.”

“Mmh.. e poi? Qualcuno ci chiederà una parola d’ordine? O forse sarà una domanda cui dovremo rispondere con qualche frase senza senso?” Lo scetticismo di Cassandra aveva ormai raggiunto il livello di guardia.. superandolo velocemente! Tutta quella faccenda le sembrava davvero una colossale presa in giro.

“No. Per la ferità FOI DUE non dovete fare proprio niente. Io parlerò con un paio di persone che mi diranno come e dove recuperare Asia. Il passaggio dei pezzi è già affenuto. Oggi. Domani lasceranno andare Asia e voi dovrete zolo essere pronte a saltare sul primo autobus di ritorno ad Atene.”

“Ah, ecco. Semplice”. Elena stave realizzando che la vacanza, o comunque la si volesse chiamare, era definitivamente finita. “Zì, non è il kaso che corriate altri rischi. C’è un autobus ogni ora e mezza. Io rimarrò a Delfi, non mi aspettate.”

“Scusa, ma dopo tutto questo casino lasciate che la facciano franca così?!? Senza muovere un dito??!!”

“Sperafo che me lo chiedeste. No, in effetti no.”

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“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 8

“Allora, ecco il piano di Blau . Sembra che Asia stia bene e che serva solo come lascia passare per la banda: loro vogliono far uscire I pezzi senza problemi e la loro garanzia sarà Asia. Messa così fa paura, lo so, ma Blau mi ha garantito che si tratta di un paio di giorni di attesa, poi il terzo giorno, a Delfi, sarà tutto finito e ritroverete Asia, nel frattempo avranno fatto uscire i pezzi.”

Ma manco per il cazzo!” Cassandra ed Elena erano concordi e inamovibili. “Ma stai scherzando??! Non esiste che per due giorni noi facciamo finta di niente. E poi, scusa, ti sei chiesta i genitori di Asia cosa penseranno non sentendola per così tanto tempo? Lei li chiama ogni quattro giorni e doveva chiamarli domani. Cosa facciamo? Li chiamiamo noi dicendo che lei è un attimo impegnata ma che sta bene?” “Ai genitori di Asia penso io, li chiamo domani e dico che voi tre avete contattato me perché avvertissi a casa. Avete deciso di andare a Creta e non sapete se a bordo ci sono telefoni, ma appena ne trovate uno li chiamate. Anzi, a proposito, evitate di chiamare anche casa vostra, altrimenti non regge.” “Ma tu.. voi.. siete malati!” Elena non ce la faceva più. “Senti Elena” – la voce di Clizia si fece severa – “Questo non è un gioco e io non mi sto divertendo. Era un rischio, Asia sapeva che stava correndo un rischio. Non è pericoloso, ma molto delicato. Io mi voglio fidare di chi fa questo mestiere da anni. Ora, è chiaro che l’operazione non va a puttane, ma viene modificata: aspettiamo due giorni, lasciamo che gli stronzi facciano uscire le coppe, recuperiamo Asia, e poi interverranno comunque, Babis o chi per lui.”

Ci volle tutta l’abilità oratoria di Clizia per convincere le amiche. Alla fine la spuntò e le tre archeologhe cominciarono l’attesa.

Una visita inaspettata

Lo aveva notato mentre immortalava il possente tramonto dal punto più alto della scogliera; era sempre poco distante anche mentre lei ed Elena si sforzavano di identificare la firma di Byron su una delle colonne del tempio, finalmente, mentre scendevano dal promontorio e si avviavano alla fermata dell’autobus, Klaus si fece avanti. Era, se possibile, più pallido di come Cassandra ricordava e i suoi occhi azzurri sembravano più spenti “Ciao ragazze, kome state? Ho l’impressione di doferfi delle zpiegazioni”

Fu presto sciolto il mistero del fotografo di Olimpia, un Klaus leggermente trasformato dai baffi rossicci, così come fu chiarito che l’incontro a Sparta era stato programmato. Klaus era dispiaciuto e nervoso: dispiaciuto perché si sentiva in qualche modo responsabile di Asia, e l’idea di averla esposta troppo in quell’appuntamento sotto l’Acropoli non lo faceva dormire; nervoso perché, pur essendo certo che non corresse un grande pericolo, le avrebbe voluto evitare lo spavento che sicuramente stava provando. In quel momento lui si sentiva impotente quanto loro.

Rientrarono insieme ad Atene e si diedero appuntamento per il giorno successivo, al Ceramico.

Quella sera fu Elena a premere per telefonare a Clizia: “Novità? Come è andata con i genitori?” “Ciao ragazze, no, non ci sono novità, ma con i genitori è andata bene, sono stata plausibile e rassicurante. Voi… come state?” “Come credi che stiamo? E comunque a me ‘sta storia che voi due fate le 007 senza dirci niente mi sembra una stronzata colossale” – Cassandra era ancora infastidita dalle tante, troppe bugie che avevano accompagnato ogni tappa di quel viaggio.

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“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 7

Spiegazioni

“Va bene, ragazze, ho capito. La situazione è più grave di quanto pensassi. Allora, ascoltatemi bene.”

Quello che seguì fu un racconto che, ancora dopo molti mesi, Elena continuò a confondere nei particolari e Cassandra considerò surreale. Clizia dovette cominciare da un qualche mese prima, quando lei ed Asia erano state avvicinate da un tizio in facoltà. All’epoca si incontravano il sabato, ognuna a studiare una materia diversa, ma per farsi coraggio e darsi una motivazione plausibile che le facesse ritrovare in biblioteca durante il weekend. Inizialmente pensarono si trattasse di uno di quei simpatici vecchietti che decidono di impegnare la loro pensione sovvenzionando l’Università e guadagnandosi la laurea in quella disciplina che, ahimè, aveva costituito il loro sogno adolescenziale, ma era stata sacrificata in nome del dio denaro e di un ramo della scienza che fosse più remunerativo. Ma Herr Blau non voleva sapere l’orario di ricevimento di un professore, lui le stava osservando da qualche settimana, e si era messo in testa di coinvolgerle in una operazione delicata.

Si trattava di contrabbando di oggetti d’arte, nella fattispecie alcune coppe attiche trafugate da un magazzino dell’Agorà di Atene. Ogni tanto qualche pezzo si “perdeva” e rispuntava anni più tardi in qualche collezione privata, di solito svizzera, ma anche russa o americana. Era un lavoro molto complicato quello di far passare un oggetto archeologico attraverso la frontiera greca, eppure ce la stavano facendo ormai da diversi anni. Anzi, il gruppo di ricettatori si era fatto molto audace e il “colpo” al magazzino ateniese ne era la prova. Herr Blau era un poliziotto svizzero, in effetti faceva parte di una task force che agiva insieme al nucleo di Carabinieri del generale Conforti e ad altri reparti speciali in Francia, Grecia e Germania: il loro compito era quello di intercettare questo commercio illecito, ma spesso arrivavano quando era ormai troppo tardi, a questo punto dovevano armarsi di santa pazienza e di una buona diplomazia, indagando sulla provenienza dei singoli pezzi. Quello che serviva, si lamentava il funzionario svizzero, era un database completo dei pezzi che, via via, risultavano mancare; non avrebbe risolto il problema, ma sicuramente avrebbe aiutato la verifica e la ricerca dei funzionari.

Herr Blau doveva chiedere una cosa a Clizia e ad Asia: che si prestassero a contattare una serie di agenti in Grecia e a fargli un rapporto dettagliato dei messaggi raccolti. Il motivo per cui si stava rivolgendo a loro era, essenzialmente, il fatto che la copertura dei suoi agenti era ormai poco affidabile. La banda di ricettatori era diventata sempre più organizzata e così più difficile da anticipare e bloccare. Un altro motivo era che il viaggio programmato dalle ragazze per quell’agosto coincideva non solo nei tempi, ma anche nelle tappe, con l’operazione di intercettazione messa in piedi dal suo ufficio.

Non si trattava di qualcosa di pericoloso, bisognava solo mettersi in contatto con Klaus e Mikail, recuperare le informazioni, girarle a lui, Blau, e aspettare disposizioni, forse avrebbero chiesto loro di prendere in custodia le coppe, una volta sottratte alla banda, e di consegnarle al più vicino posto di polizia. Per fare ciò, tuttavia, Blau chiedeva un sacrificio: una ragazza doveva necessariamente rimanere a Firenze e fungere da quartier generale: Klaus e Mikail le avrebbero fatto sapere dove l’altra li doveva incontrare e lei lo avrebbe comunicato all’amica, sempre utilizzando telefoni pubblici, in modo da evitare il più possibile di essere rintracciabili.

Clizia continuava a parlare, mentre i minuti scorrevano e così anche le dracme. Ad un certo punto una voce metallica annunciò che la scheda era finita.

Qualcosa va storto

Fortunatamente i chioschetti greci erano sempre aperti e riforniti, Cassandra ed Elena li avrebbero rimpianti per molto tempo, una volta rientrate a Firenze.

Non ci volle molto per trovare una nuova scheda e ricontattare Clizia: “Tutto ok ragazze?” “Sì, sì, era solo finita la scheda. Senti, dicci un po’ in che modo tutto questo racconto ha a che fare con la scomparsa di Asia. Sto cominciando a innervosirmi, dobbiamo chiamare la polizia? L’ambasciata??!”

Cassandra era seria e rigida, il caldo la stava indebolendo, ma l’angoscia per l’amica le manteneva la pressione abbastanza alta da non svenire.

http://www.lisamilroy.net/c/24/greek-vases

“Dunque.. sì, purtroppo sì. Vi ho contattato perché ho ricevuto una telefonata da Asia, ieri. Mi ha detto di aver parlato con Klaus e di aver saputo che a Delfi lui le darà i pezzi da mettere in salvo. Mi ha anche detto che Klaus le ha fatto conoscere un certo Babis, un cretese, che fa da coordinatore con la locale questura. In pratica ci sarebbe uno dei componenti della banda che si è deciso a collaborare e aiutare a recuperare i pezzi. Li deve consegnare a Klaus, mentre Babis gli garantirà un’uscita di scena senza danni”.

“Scusa, Clizia, a parte che non ho ancora capito cosa c’entra Asia in tutto questo. Ma.. perché cazzo non ridare ‘sti cocci direttamente agli archeologi dell’agorà?!” Elena cominciava davvero a spazientirsi, non era un film di Indiana Jones, non ne aveva l’aria né l’ironia, tutti quei passaggi di mano sembravano idioti, oltre che superflui.

“Ehh, cara mia… non è così semplice. Sembra che ci sia di mezzo proprio uno degli archeologi. Blau non ha voluto fare nomi, ma abbiamo capito che si tratta di uno dei direttori di scavo.”

Di fronte al silenzio carico di rabbia delle due amiche archeologhe, Clizia continuò dicendo che alla polizia mancavano le prove e che non bastava la testimonianza del pentito, perché, ovviamente, lui conosceva solo gli ultimi livelli di una piramide che si annunciava bella alta. L’idea, perciò, era di tenere sotto controllo i telefoni dei pezzi grossi dello scavo dell’agorà e recuperare i pezzi imbastendo una storia di rivalità tra mercanti d’arte. Klaus doveva per l’appunto impersonare l’agente di un compratore svizzero, mentre Asia doveva mettere al sicuro le coppe facendo da staffetta tra Klaus e Mikail.

La telefonata di Clizia all’ostello si era rivelata necessaria quando Klaus l’aveva contattata dicendo che tutte le coperture erano saltate. Qualcosa era andato male e ormai tutti sapevano le identità e i ruoli della piccola task force internazionale. Clizia si era allarmata e voleva parlare con Asia, ma, evidentemente, era arrivata troppo tardi.

“A questo punto io chiamo Blau e gli chiedo come dobbiamo comportarci, quindi vi richiamo e cerchiamo di capire a chi rivolgerci. Mi piacerebbe, ad esempio, parlare con questo Babis.”

“Mmh… non sono d’accordo. Io vado all’ambasciata, qui la situazione è grave, ormai sono due ore che è scomparsa!!” – “Aspetta Cassandra, quella è gente seria, affidiamoci a chi ne sa di più. E comunque vi richiamo al massimo tra mezz’ora”.

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“Una cicala di troppo” – racconto a puntate 6

Un imprevisto

“Come si chiama quella collina con la chiesetta bianca?” “E’ il Licabetto, Elena, è la terza volta che me lo chiedi… lo abbiamo visto anche ieri … “ “Ah!! Già! Che scema! Mentre là dietro c’è il Filopappo” Elena si voltò di 180° e con il dito cercò di puntare il monumento dal nome fuorviante. “Ma c’è un autobus che sale fin lassù, sul Licabetto?” “Non proprio, ho visto che ad un certo punto c’è una specie di teleferica, o qualcosa del genere, altrimenti si può salire a piedi, deve esserci una vista splendida da là!” Asia era entusiasta, sperava di convincere le amiche a tentare la salita, magari dopo cena, per ammirare il panorama di Atene di notte. All’improvviso si udì un grido e il gruppo di turisti dell’Acropoli, che si erano raccolti sotto la bandiera greca, ebbe un sussulto: un ragazzo spagnolo si era arrampicato sul muretto di recinzione e se ne stava lì, a gambe divaricate e pugni sui fianchi, pronto a farsi immortalare dai suoi amici. Subito il fischio nervoso e prolungato di un paio di custodi fendette l’aria e annunciò l’arrivo degli addetti alla sicurezza. Il ragazzo saltò giù ridendo e si riunì al gruppetto che, molto probabilmente, lo aveva sfidato in quella posa rischiosa. “Che cretino! Ma come si fa?!” Elena si era spaventata e si sfogava almeno a parole contro l’insensatezza di quel gesto, Cassandra, dal canto suo, scuoteva la testa, ma nel frattempo si era accorta di una cosa: Asia era scomparsa di nuovo. ‘Era troppo bello per essere vero’, questo fu il suo primo pensiero, in riferimento alle considerazioni della sera precedente su come Asia avesse finalmente cambiato atteggiamento. Qualcosa, però, le diceva che stavolta la situazione era diversa, questa volta bisognava preoccuparsi davvero.

Persa!

“Allora, ragioniamo un attimo, non può essersi persa, non può essersene andata senza di noi. Magari si è sentita male?!” Cassandra ed Elena non sapevano più che pensare, l’avevano cercata in lungo e in largo, in fondo l’Acropoli non era così grande. Avevano fatto il giro delle sale del museo per ben 3 volte, si erano infilate nei bagni, anche quelli maschili. Nulla. Però, prima di avvertire la polizia, pensavano che, forse, un salto all’ostello sarebbe stato opportuno, magari, per una ragione imperscrutabile che si sarebbero prontamente fatte rivelare, Asia era rientrata senza avvertire…  Appena varcarono la soglia si fece incontro la giovane greca della reception, annunciava che avevano ricevuto una telefonata dall’Italia. Le due amiche trasalirono, possibile che fosse una coincidenza? Guardarono il messaggio che era stato lasciato, era di Clizia e chiedeva loro di chiamarla il prima possibile. Incerte sul da farsi, e constatato che di Asia non c’era traccia nemmeno all’ostello, Elena e Cassandra scesero nella piazzetta e si apprestarono a chiamare Clizia.

“Eccovi! Meno male, temevo che non sareste rientrate prima di sera, ma non sapevo come raggiungervi!” “Clizia, che c’è? Senti, spero sia una cosa urgente perché, per la verità, qui siamo in un bel casino”  – “Casino? Che è successo?” “Si tratta di Asia, non la troviamo più e non abbiamo idea di dove sia”. Dall’altro capo del telefono si udì un silenzio di ghiaccio. “Clizia? Ci sei? Hai capito cosa ti ho detto?”

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