Oh Fortuna! – intermezzo introspettivo

Alcesti si era decisa.
Non sopportava più di vedere il marito trascinarsi per casa con gli occhi rossi di pianto e un’aria disperata.
Ogni giorno, poi, alle cinque in punto, un rumore sommesso alla porta annunciava l’arrivo dei genitori di lui: entrambi lividi in volto, si univano al figlio nei singhiozzi. E Alcesti, che i primi giorni completava questo quadretto sconfortante, dopo una sola settimana già non ce la faceva più.

https://www.bbc.com/news/in-pictures-25743240 foto di Andy Gotts

Perciò aveva deciso.
Sarebbe andata lei.
Basta con tutte queste scene, bisognava agire, dare una risposta. In fondo si trattava di una questione di famiglia: “Nella buona e nella cattiva sorte“, non era questa la formula di rito del matrimonio? Apollo aveva pensato di fare un regalo al caro Admeto, ma la verità era che ogni uomo doveva essere in grado di plasmare il proprio destino e non di lasciarlo modificare da qualcun altro. Admeto, da bravo essere umano, doveva essere mortale, che senso aveva decidere di non farlo morire in cambio di qualcuno che si sacrificasse al suo posto? Come sapevano essere maleficamente crudeli gli dèi…
Un mercoledì mattina (le era sempre piaciuto il giorno sacro ad Hermes, il dio psicopompo) Alcesti aveva fatto chiamare i suoceri e, di fronte al terzetto che la guardava sgomento aveva annunciato che ci sarebbe andata lei, nell’Oltretomba.
Al posto del marito.

Il silenzio era durato diversi minuti.
Admeto e suo padre non sapevano cosa dire, mentre la vecchia madre aveva paura di rompere l’incantesimo: temeva che Alcesti potesse ripensarci.
Fu perciò lei la prima a parlare. Sapeva bene come fingere: paura, rispetto, gratitudine.. fece perfino finta di indignarsi con il figlio, che non si meritava una moglie così.
Alcesti se lo era aspettato, perciò seppe anche lei giocare la sua parte di nuora decisa al “sacrificio”.
In realtà ci aveva pensato bene: lasciare che Admeto fose trascinato controvoglia nell’Ade e vivere con i suoceri, che le avrebbero perennemente rimproverato di essere sopravvissuta? No, grazie.
Admeto e suo padre rimasero muti.
Non riuscivano a guardare in faccia Alcesti. Il vecchio la abbracciò con gli occhi lucidi, Admeto non fece nemmeno questo.
Si chiuse nella sua stanza e scoppiò in un pianto dirotto. Alcesti non se la sentì di andare a consolarlo, ci pensò la vecchia madre.
E così, seminascosta dal velo nero, la ragazza si presentò al cospetto di Ade e Persefone.
La regina sorrise, in cuor suo lo aveva previsto; il burbero marito, invece, tentò di capire e chiese se i due anziani suoceri non avessero almeno tentato di dissuaderla e proporsi al suo posto, sarebbe stato logico…
Alcesti aprì la bocca per rispondere, ma Persefone, con un cenno, la fermò. Voleva risparmiarle almeno questa umiliazione: spiegare come si era ritrovata in una famiglia tanto ingenerosa.
[…]
La prima cosa che avvertì fu l’odore aspro di cane bagnato. Eppure Cerbero non era nei paraggi, cosa poteva mai essere?
Alla luce delle torce intravvide l’ombra di un leone.. alto,molto alto. Per la prima volta da quando era scesa nell’Ade si spaventò.
Ma dopo poco comparve lui, il semidio: la chioma scompigliata, la barba incolta, molto muscoloso e dalla pelle bruciata dal sole. La grossa clava nodosa in una mano, nell’altra aveva una torcia.
Era venuto a riportarla indietro, disse.
Alcesti non sapeva cosa rispondere: fino a quel momento aveva solo sentito parlare di Herakles, ma vederlo così, da vicino, le metteva una certa soggezione e non era sicura di potersi fidare (se ne raccontavano tante sull’eroe semiferino!).

Mentre camminavano silenziosi nel bosco i pensieri di Alcesti cominciarono ad andare veloci: e ora? che fare? come tornare in quella casa? come affrontare Admeto e i suoi genitori?
E poi.. quanto tempo era passato? Persefone l’aveva avvertita che il tempo nell’Ade trascorreva con ritmi diversi da quello degli uomini. Erano cambiati? Si sarebbero riconosciuti? Ma soprattutto… dove mai stava tornando? Da chi e… perché?

Herakles era deciso ad accompagnarla fin dentro casa, ma Alcesti fu irremovibile: doveva lasciarla andare da sola. Grazie mille, riconoscente fino alla m..ehm, cioè, riconoscente per sempre, ma questo momento era privato e molto, molto delicato. Doveva essere da sola.

Affacciandosi alla finestra della casa, Alcesti scorse una mano bianca e delicata che giocava con un velo sottile di colore azzurro. Si mise a sbirciare e presto comprese che Admeto non era più solo, né tantomeno disperato. La giovane ragazza che rideva con voce argentina era bruna come Alcesti, dagli occhi profondi come lei, ma sembrava molto diversa: nel modo di camminare, nell’atteggiamento spensierato. Admeto sorrideva, anzi no, rideva forte, come mai aveva fatto prima con Alcesti.
La donna rimase a guardare per un tempo che le sembrò infinito.
Poi udì dei passi avvicinarsi e istintivamente si ritrasse, nascondendosi dietro ad un folto cespuglio di mirto (non era la pianta sacra ad Afrodite? Non si ricordava che crescesse così vicino a casa).
I due suoceri comparvero ben presto sul vialetto che conduceva alla casa, bussarono ed entrarono, accolti da Admeto e dalla ragazza. Tutti sorridevano sereni e tranquilli, ben presto le stanze risuonarono delle loro risate.
Alcesti tratteneva il respiro.
Fu quando le sembrò di sentire i vagiti di un neonato che decise di allontanarsi in fretta dalla casa.

Non c’era più posto per lei. Ma forse non c’era mai stato. Ora cercò il suo rude salvatore e lo trovò mentre si rimetteva per strada ad ampie falcate: lo fermò e gli chiese se poteva scortarla fino alla città più vicina. Anzi, no, gli chiese dove fosse diretto.
E se stava meditando di imbarcarsi per mare, tanto meglio.

N.B. questa che ho rielaborato non è la vera storia del mito di Alcesti: nel racconto mitologico Apollo deve espiare per qualche tempo presso la corte di Admeto, re di Tessaglia, e decide di ricambiare la gentilezza del mortale, permettendogli di sfuggire a Thanatos (la morte). Tuttavia, per mantenere l’equilibrio tra il mondo dei morti e quello dei vivi, Admeto dovrà trovare un sostituto, che muoia al suo posto. Tra lo stupore generale,gli anziani genitori si rifiutano e invece Alcesti, la moglie, decide di sacrificarsi. Lascia quindi il marito e il figlio e muore. Nel frattempo Herakles passa dalla Tessaglia e chiede ospitalità al re. Inizialmente non sa che la regina è morta e, come suo solito, si lascia andare ai suoi eccessi e si ubriaca. Un servo,però, lo informa del grave lutto che ha colpito la corte e così il semidio decide di rimediare alla sua condotta: scende nell’Ade e recupera Alcesti, che, in tal modo, può riunirsi al marito. Nella omonima tragedia di Euripide, Herakles porta una donna velata da Admeto, il quale non si fida a toccarla, tanto gli è rimasta cara la memoria della moglie. Quando però capisce che è Alcesti il re è contento di riaverla con sé.

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Oh Fortuna! – El CID

Herakles e Iolaos sgranarono gli occhi: dinanzi a loro un ragazzo, che si muoveva ancora a fatica dentro la pesante armatura di bronzo, stava bloccando il passaggio. Digrignava i denti, in un modo talmente ridicolo che perfino gli uccelli si erano appollaiati sui rami e guardavano curiosi, cercando di interpretare i suoni che uscivano dall’elmo corinzio.
Quando poi cominciò a parlare… zio e nipote non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono in sonore risate! Una vocina stridula, che, quanto più si indignava, raggiungeva suoni acuti decisamente femminili. Con le lacrime agli occhi Herakles gli intimò una volta di più di scostarsi, ché non avevano tempo da perdere. La strada era quella per Delfi, non esattamente una viuzza laterale… non appena ebbe finito di parlare, il semidio si trovò circondato da alte figure: Ares, con quell’espressione perennemente incazzata e la giugulare

Dietro a Kyknos si riconosce Ares, il padre affettuoso...

già pulsante, prima ancora di aprire bocca; Atena, armata di tutto punto e anch’essa decisamente corrucciata; infine Zeus, che sembrava sconsolato, sbuffante, mandato dal solito, ineluttabile destino, a svolgere un ruolo cui troppe volte aveva cercato di sottrarsi, quello di Padre degli Dèi, l’arbitro di ogni questione, il vero risolutore di ogni divergenza.
Subito la dea dagli occhi cerulei si avvicinò al rozzo eroe e gli sussurrò un’informazione importante: una volta battuto Kyknos (ecco il nome di quel giovanotto!) non si sarebbe dovuto avventare sulle sue spoglie, ma avrebbe dovuto affrontare il padre (nientemeno che Ares) e, in quel caso, si sarebbe dovuto trattenere… non poteva, non doveva ucciderlo, ma ferirlo e farlo andare via, solo a quel punto si sarebbe impossessato delle armi che gli spettavano di diritto, avendo ucciso il loro proprietario.
Al gruppetto si aggiunsero Apollo e Dioniso, richiamati dal divino assembramento: loro due si stavano ancora “giocando” la gestione del vicino santuario di Delfi, un diversivo era quel che ci voleva…
Kyknos era pronto, tenuto a freno solo dal padre Ares, Zeus allora fece piovere quattro gocce (ma era sangue!!) per dare l’inizio ufficiale allo scontro…. la terra tremò improvvisamente sotto ai loro piedi, era il segnale che Atena aveva scosso la sua egida dal petto: la questione era davvero seria.

Siamo appena partiti dallo Ktel (la stazione degli autobus), vicino a me ci sono due francesi che ieri sera mi hanno ceduto il posto nella taverna già piena di gente, ma non credo si siano accorti che ci siamo già incontrati … (oppure è il simpatico modo francese di far finta di niente, vaiasapere). L’autobus è praticamente vuoto, ci sono solo una decina di locali, che si stanno muovendo tra Chanià e Iraklion; io mi fermo a Rethimno, in una botta di amarcord!
Passano forse 5 o 6 minuti… fermi ad un semaforo sentiamo qualcuno che urla.. che fortuna, è proprio dalla mia parte, così posso vedere benissimo che si tratta di un signore scuro e con i baffi neri (ah, già.. siamo a Creta), che esce dalla macchina e fa gesti inconsulti verso lo specchietto.. pur dietro il vetro affumicato del pullman si distinguono bene alcune parole “E NON PENSARE DI ANDARTENE!!! ASPETTAMI PIU’ AVANTI! BRUTTO COGLIONE GUARDA COSA HAI FATTO AL MIO SPECCHIETTO! ME LO POTEVI ROVINARE!!”.
Non ci vuole molto a ricostruire una manovra un poco azzardata del giovane autista (avrà sì e no 21-23 anni) che evidentemente si è stretto troppo sulla sinistra e ha sfiorato lo specchietto esterno destro dell’automobilista.
Va beh…
Va-beh.
Ma.. scherziamo?
Cioè, un attimo.. ma.. si fermerà?
Lo sventurato si ferma … scende dall’autobus e si appresta a essere riempito di improperi.
Cominciano a passare i minuti e sull’autobus si aggira un simpatico signore sulla sessantina (ma ancora perfettamente nero, nella carnagione e nella capigliatura) che, sorridendo, cerca di capire cosa stia succedendo. In un attimo riconosco il genere: è Mr Magoo! Solo più simpatico. Infatti è sordo come una campana e deve raccogliere indizi da più di una persona, per ricostruire l’incidente.
Le prime persone a cui chiede sono, naturalmente, i due francesi… una volta spiegato che non capiscono il greco ma che vengono dalla madre Gallia, l’omino apre il sorriso a tutti e 84 i denti: è stato marinaio di stanza in Canada! Nel 1975 (ommamma) è rimasto menomato a causa di una temperatura che ha raggiunto i -37°
I due sono veramente colpiti (sì, bum!) e lui è divertito.
Dopo un altro rapido giro di domande fatte un po’ a tutti sul bus (certo, anche alla sottoscritta!) con quella “k” schiacciata che caratterizza lo splendido dialetto cretese, torna alla carica dai due francesi e decide di regalare loro una perla, una battuta: “Quando mi chiedevano se parlavo francese sapete cosa dicevo?” Allo sguardo vagamente interrogativo dei due lui risponde con una fila di parole in francese (ho capito solo ascenseur) e scoppia a ridere, fortunatamente seguito dai due malcapitati che hanno optato per una botta di gentilezza. A quel punto lui ripete la battuta ad una signora greca, che sta sommessamente imprecando per il ritardo inaspettato, e poi torna al suo posto ripetendo “Eh! A me piacciono i calembour! Eddai, bisogna ridere, bisogna fare un po’ di calembour ogni tanto!”.
Nel frattempo la questione si è fatta seria per il giovane autista: sono passati già 20 minuti, perciò mi affaccio anche io, giusto per capire, e mi accorgo che sono arrivate un paio di persone dallo Ktel, i vigili e due periti che scattano foto alla targa del bus e, già che ci sono, a due ragazzine che sono scese dal bus per vedere che succede…. Ne conto almeno 6 che si agitano attorno al povero ragazzo, sempre più sudato sotto il sole che ci regala ben 13° oggi. Del suo antagonista, intanto, non c’è più traccia… Ormai è una questione burocratica tra l’autista e l’ufficio della Stazione degli Autobus.

Lo scontro durò forse 5 minuti (ma Iolaus ne aveva contati 3), poi, come aveva predetto Atena, sulle spoglie di Kyknos si avventò Ares, con il chiaro intento di proteggere il cadavere del figlio e contemporaneamente vendicarlo. Herakles a questo punto era decisamente arrabbiato e si lanciò contro il dio della guerra, ferendolo ad una coscia. Solo così Ares si decise a lasciare il campo (e le armi del figlio).
Il corpo del povero Kyknos venne trasformato nel Cigno: l’animale noto per l’aggressività e per il vezzo di innalzare un canto poco prima di morire …

Dopo 1 ora vigili e assicuratori si dichiarano soddisfatti: ora l’autobus può ripartire… e io rimango con il dubbio sull’esistenza del CID a Creta…

Francisco de Goya, 1816 El Cid Campeador lanceando otro toro

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Oh fortuna! – 2° giorno

Gustave Moreau - 1880

Mentre attraversava il canneto con scatti nervosi, Herakles si chiedeva cosa avesse fatto di male per finire in quel luogo putrido… poi, dopo solo un istante di esitazione, tutto gli fu nuovamente chiaro: quei figli uccisi, sangue del suo sangue, in un attimo di follia.

Ci sono attimi che possono durare anni, oppure attimi talmente intensi da rovinarti per sempre.

Herakles sapeva di dovere espiare, in cuor suo già si era pentito.. ma non abbastanza, perché, in fondo, non era colpa sua, c’era comunque sempre lo zampino di Hera, la moglie di suo padre.

Nella notte battuta dalla pioggia, mentre il molo si confonde con le onde e la schiuma ancora attende la sua Afrodite, vago in cerca di un posto dove cenare. E così mi imbatto nel “Cormorano“.

Herakles cominciò a mostrare segni di nervosismo, sapeva che era essenziale coordinare i movimenti: un colpo di nacchere di bronzo, forse due, e poi subito la freccia pronta a scoccare! Si appostò tra le canne attorno alla palude e attese l’arrivo degli uccelli sanguinari…

Una stanza grande, ma ben addobbata, con cinque tavoli di avventori che mangiano al ritmo della più tradizionale musica greca.
Entro sicura, c’è un tavolo vicino alla finestra e mi accomodo contenta.
Si può anche fumare! Scopro velocemente che il locale è colonizzato da italiani! Ma, finita la cena (non il cenone, che qui pare non esista), chi saluta augura anche buon anno, rivelando così la propria nazionalità, e io finisco in un altro bar con una coppia catalana!

… Herakles si guardò intorno, sudato ma soddisfatto: non ne era rimasto nemmeno uno. Quando i primi avevano cominciato a cadere, avvelenati dalle frecce con il sangue del mostro di Lerna, gli altri subito avevano oscurato il cielo, e il clangore dei becchi di bronzo che cozzavano gli uni con gli altri nella concitazione della fuga, aveva quasi stordito l’arciere, ma non era riuscito a distrarlo dal compito, il sesto per la precisione.
Non era però ancora giunto il momento di riposare, si era ancora solo a metà dell’opera: Creta era il luogo della settima fatica.

Mentre cerchiamo un posto dove bere qualcosa, la pioggia diventa più intensa e la scena si fa quasi surreale: io e Noura cerchiamo di ripararci come possiamo, mentre Manél avanza sicuro verso il porto. C’è un bar che sembra aperto, quasi quasi… ma l’intrepido catalano non ci sta ascoltando, lui va avanti e… viene completamente investito da un’onda anomala.

Euristeo non era si era speso molto nel descrivergli l’impresa successiva, si trattava di un toro da braccare e catturare, meglio se vivo. Herakles non capiva cosa ci potesse essere di così difficile, soprattutto dopo aver affrontato il leone e l’Hydra.

Il primo bar ci avverte che apre tra mezz’ora, ma noi stiamo morendo di freddo, vogliamo fermarci ora, tanta è la voglia di continuare la nostra conversazione “corsara”. Seguiamo quindi l’indice del greco che si allunga oltre le nostre teste, dalla parte opposta del porto: ci sono delle luci, qualcosa è aperto in questa notte buia e assai tempestosa.

Giunto al palazzo di Minosse, Herakles cominciò a capire di cosa si trattava: il re era furioso, le sue urla risuonavano dalla sala del trono fino al più lontano dei magazzini. La moglie, Pasifae, teneva il velo ancora più calcato sul capo e vi si nascondeva, Herakles pensava che si vergognasse degli accessi del marito…
Non ci volle molto, al rude semidio, per comprendere che si trattava di un affare alquanto delicato: Poseidone aveva mandato un toro dalle profondità marine perché gli fosse sacrificato, ma Minosse non aveva compiuto il proprio dovere e quindi l’animale si era ribellato, sovvertendo le norme che regolano le vite di uomini e bestie … aveva devastato campi e villaggi.. aveva soggiogato la bella Pasifae, aveva ingravidato la

Dedalo fa accomodare Pasifae nella finta mucca, perché possa accoppiarsi con il toro

splendida regina, e il frutto di questo atto snaturato sarebbe stato a breve rinchiuso in un labirinto

Finalmente raggiungiamo la meta: tra due piccole discoteche scure e rumorose spicca la luce quasi bianca di una gyrosteria. Le pareti tappezzate di immagini di navi, porti, cartine di Creta, medaglie, quasi fossero ex voto i quadretti riempiono il locale, mentre la televisione è sintonizzata sulla versione greca di un programma di Raul Casadei, e tra una canzone e l’altra si attende la mezzanotte.

Siamo solo noi due (Manél ci raggiungerà, è andato a cambiarsi) e pochi altri chanioti che ogni tanto entrano a salutare il proprietario. Fuori, intanto, alla pioggia si aggiungono lampi e tuoni.
Quando Manél ci raggiunge, la conversazione prende il volo..lui vuole parlare di politica, vuole parlare di separatismo, vuole parlare di capitalismo e comunismo (ma l’anarchia va altrettanto bene). Vuole parlare di storia e di storie, di viaggi e di persone. Ha lo sguardo fermo, di chi ascolta ma sa anche già la risposta. Noura è più possibilista, ma, forse senza accorgersene, dopo un inizio in castigliano (Manél parla italiano) scivola inesorabilmente nel catalano e io mi aggrappo alla mia birra, per cercare di attivare completamente il piccolo pesciolino di Babele, che mi faccia comprendere qualunque lingua, senza indugi o tentennamenti.

Minosse non andò tanto per il sottile, spiegò velocemente e a gran voce che, dato che sua moglie era una puttana, non era possibile tenere il toro ancora sull’isola, bisognava farlo sparire. Herakles rimase perplesso, ripensò alle proprie disavventure matrimoniali e, per la prima volta in vita sua, si sentì meno sfortunato … Decise di muoversi subito e si diresse presso il villaggio dove era stato avvistato l’animale due giorni prima.

La conversazione è davvero avvincente, quei due hanno viaggiato tanto, a Creta ci sono stati 8 anni fa (questo numero ce l’ha con me…), proprio per un ultimo dell’anno, a Chanià.. pioveva anche allora.
Mentre chiacchieriamo sento un paio di botti scoppiare fuori nella stradina, nonostante la pioggia: automaticamente do un’occhiata all’orologio e quindi annuncio “Ragazzi, mi sa che è mezzanotte, buon anno!

Con il toro saldamente legato nella stiva della nave, l’eroe tornava da Euristeo in una giornata di mare decisamente burrascoso. Decise che si sarebbe rifiutato di rimettersi per mare: le prossime fatiche potevano essere anche le più difficili, ma avrebbero dovuto svolgersi sulla terra ferma!

Ah, naturalmente la birra con cui abbiamo brindato al 2015 era la.. Mythos!

Piccolo update: il 1° mi sarei dovuta trasferire nella stanza bella, finalmente con la vista tanto agognata sul porto. Stamattina, mentre facevo la colazione che mi era stata offerta, Sofia mi raggiunge, sorride, chiede se si può sedere un attimo ..e mi spiega che, a causa del tempo da lupi, i due signori che dovevano lasciare la stanza bella… sono rimasti bloccati in albergo. Sono francesi e molto anziani (lui ha 91 anni) e dovevano andare a Rethimno, ma la strada è stata chiusa… allora.. niente stanza bella nemmeno oggi, perché loro si sono offerti di lasciarla libera, ma l’unica libera è al terzo piano (senza ascensore) e lui non riesce neanche bene a deambulare.. Così stasera sono di nuovo senza vista sul porto, ma in una stanza per tre persone, tutta per me! Domattina mi sarà di nuovo offerta la colazione.. e poi.. ean o theos mas boethai .. mi trasferirò finalmente per le ultime due notti nella stanza tanto sognata.

Herakles non credeva ai suoi occhi: dinanzi a lui c’era un vecchio, brutto, rinsecchito .. ma cosa voleva da lui?

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Oh fortuna! – 1° giorno

pleon ep’oinopa ponton
ep’allotrous anthropous
*

Una discussione su fiumi e mari ha cominciato questa storia, perciò appare logico che finisca in una città affacciata sul mare, mentre infuria il nubifragio perfetto e i vicoli si trasformano in pericolosi ruscelli.

Sulla sinistra, le sorgenti del Lete

C’era una volta un fiume che si chiamava Lete e che … aiutava a dimenticare. Se si beveva la sua acqua, si poteva cancellare qualunque ricordo, bello o brutto. E così, era possibile ricominciare da capo: Virgilio ci dice che solo bevendo le acque del Lete le anime potevano sperare di reincarnarsi, perché si ripulivano e quindi potevano accogliere nuove esperienze, nuovi ricordi.

Ma c’era una volta anche un secondo fiume, Mnemosyne: alla fonte di Mnemosyne ci si abbeverava per ricordare… che cosa? L’adepto non lo sapeva, egli beveva e riusciva a vedere nel proprio passato, riconoscendo che era da sempre stato un devoto di Orfeo, oppure di Persefone, o anche di Dioniso, e che quindi aveva diritto alla vita eterna, quella che le divinità gli avevano promesso quando era in vita! .. ah già, perché, se stava avvicinando la bocca all’acqua di Mnemosyne.. allora significava che era morto!

pleon ep’oinopa ponton
ep’allotrous anthropous

La mia memoria ha bisogno di spazio: è fisiologico, non posso contenere tutti questi ricordi in una mente sola! Ma di quali mi voglio disfare?
Gli ultimi mesi sono stati dedicati al trasloco definitivo: quello dei ricordi. Dalla memoria di uso quotidiano, a quella “esterna”. Ho dovuto gestire emozioni e ricordi così inestricabilmente legati, che a volte è stato necessario agire di forza: un sorso di Lete… com’era quel film? “Se mi lasci ti cancello”, titolo tanto ridicolo quanto fuori luogo, eppure la tentazione di una bicchiere colmo di Lete è stata molto forte.
Poi, quasi all’improvviso, è prevalso il senso del predestinato: ho deciso, voglio ricordare. Ho deciso, voglio conoscere, voglio sapere…

pleon ep’oinopa ponton
ep’allotrous anthropous
navigando sul mare color del vino
verso genti straniere

Il porto di Chanià, dalla mia stanza

Approdo a Chanià, un piccolo gioiello che si presenta al turista in tutto il suo splendore veneziano e anche un poco turco. Riesco a beccare i giorni più turbolenti dell’anno!! L’acqua invade le strade, le piazze, si confonde con le onde che, rabbiose, si frangono sulla passeggiata attorno al molo.
Il nome dell’albergo è invitante: Porto Antico, in italiano. La stanza che ho prenotato è quasi una scelta obbligata: vista sul porto.
Faccio appena in tempo a sistemarmi, scattare qualche foto da diramare come un comunicato stampa al parterre di facebook (e non solo) che, assiepato dinanzi alla mia bacheca (!), aspetta trepidante di capire dove sono finita.
Poi, dopo appena 10 minuti, la corrente elettrica decide di andarsene, sbattendo la porta.
Non tornerà più, o meglio … tornerà dappertutto ma non in quella stanza tanto carina, sul porto.

Il rakomelo (sulla sinistra) potrebbe essere una versione aggiornata del Lete...

Basta, ho cambiato idea.. datemi un calice colmo di Lete!! Voglio dimenticare questo annus horribilis, pieno di domande retoriche di cui si conosceva già la risposta..
Ma…
inaspettato arriva il punto di svolta: per questa notte, l’ultima del 2014, dormirò in un altro albergo, poi rientrerò al Porto Antico e, per scusarsi dell’inconveniente, mi daranno la loro stanza migliore, con colazione abbondante!
Dove muove i miei passi il dio che mi accompagna da anni, quel caro vecchio Ermes, che se ne inventa una più del .. ehm .. demone, per evitare che mi annoi?
L’albergo si chiama Nòstos: il termine che indica il ritorno degli eroi, soprattutto quelli della guerra di Troia, soprattutto l’eroe che non riesce a tornare, che non vuole (?) tornare…
Il caro Ulisse non può più farne a meno: ha bevuto l’acqua di Lete per troppo tempo, ora è giunto il momento che ricordi dove sta di casa! Entra nella stanza n.2 (questa sono io) e trova il letto.. quello che Omero descrive così:

Una bella e rigogliosa pianta di olivo
Sorgeva nel mio cortile, con la larga fronda
E molto grossa, quasi come una colonna.
Io intorno ad essa con pietre ben costruite
Costruii l’alcova matrimoniale

E la coprii con un bel letto, e salde
Porte vi imposi, adattate con maestria.
Poi, tagliata l’ampia chioma,
il tronco, molto in alto,
tagliai di netto, e con la pialla
la lavorai bene […]
Così mi feci il sostegno del letto

Ed ecco il letto…

E ora, concluderò questo 2014 forte della certezza che mi dà questa stanza “ricordata”…

*i due versi sono tratti dall’Odissea: sono utilizzati in diversi momenti del poema, per descrivere il mare solcato da Odisseo durante le sue peregrinazioni.

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