Goditi il Silenzio

Words like violence
Break the silence
Come crashing in
Into my little world

E il momento era giunto, non poteva più aspettare: doveva sapere.
Psiche si concesse un ultimo indugio, voleva rimettere ordine nei pensieri, così confusi.
Soprattutto voleva ricordare con esattezza come fosse arrivata fino a lì, fino a quella fatidica notte.

Painful to me
Pierce right through me
Can’t you understand
Oh my little girl

Le sorelle che la prendevano in giro .. .no, non era quello l’inizio.
L’inizio era sempre lui, Eros.
Era stato l’inizio della notte dei tempi, e continuava ad essere il motore (in movimento) di ogni azione, anche di quelle di una ragazza di buona famiglia, come lei.
“Il primo incontro non si scorda mai”, dicevano, invece per Psiche era davvero difficile ricordare come si fossero conosciuti. Alla fine era come se si frequentassero da sempre.

La naturalezza con cui Eros si faceva spazio tra le sue lenzuola, accoccolandosi accanto a lei e iniziando ad accarezzarla. Ogni gesto, ogni sospiro, sembrava rispondere a un suo desiderio inespresso.
Non si era fatta domande, Psiche.
Solo una volta, distrattamente, guardandosi allo specchio, aveva cercato sul suo volto di fanciulla i segni di quelle notti… quasi selvatiche.
Ma la coscienza non era riuscita a scalfire la chiara, netta sensazione che ciò che stava vivendo era semplicemente un modo nuovo di concepire l’amore.
Nuovo e, possibilmente, temporaneo.
Destinato a svanire non appena all’orizzonte fosse comparso qualcuno che la amasse anche di giorno, non solo nel buio.

All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm

Le sorelle avevano cominciato a deriderla, Psiche pensava di potersi confidare con loro e per questo, dopo una prima esitazione, aveva condiviso l’emozione di quegli incontri. Eros in persona, in carne ed ali, si era invaghito di lei e visitava la sua stanza ormai da più di un mese, regolarmente.
La prima incredulità aveva ben presto lasciato il posto alla gelosia.
Le sorelle avevano cominciato a dire che non le credevano, quando invece sapevano leggere la sincerità nelle parole e negli occhi di Psiche. Perciò, lentamente, ma inesorabilmente, l’avevano spinta a chiedere una prova tangibile al giovane dio. In fondo, lei non lo aveva mai guardato in viso: lui era sempre arrivato di notte, volando via appena prima dell’alba. Come poteva essere sicura della sua identità?

Vows are spoken
To be broken

Feelings are intense
Words are trivial
Pleasures remain
So does the pain
Words are meaningless
And forgettable

Psiche non ne voleva sapere di queste meschinerie, tipiche degli screzi tra sorelle. Eros era stato chiaro fin dall’inizio: niente domande personali. Nessun contatto visivo. Doveva fidarsi.
Lui era un dio, lei una mortale: era ben noto come potesse essere pericoloso anche uno sguardo fugace, se non protetto dall’oscurità.
Ma la pulce nell’orecchio ormai era stata messa, minando le certezze di Psiche. Anzi no, quel che minava era la serenità che le aveva fatto affrontare in maniera così “sportiva” l’avventura sessuale che stava vivendo.
Ormai non riusciva più a godersi a pieno gli incontri notturni. Una parte di lei rimuginava sulle parole delle sorelle: e se non fosse Eros? E se in realtà fosse un essere demonico, pericoloso? E poi.. perché un divieto del genere? Non aveva senso, forse lui, in realtà, si vergognava di lei?

E quindi ecco la sera fatidica. Psiche si era attrezzata, era pronta.
Aveva aspettato che Eros si addormentasse, aveva atteso che il respiro si facesse regolare fino a sconfinare in un leggero russare. Quindi prese la lucerna, nascosta in precedenza sotto al letto.
La accese e, tremando, la sollevò sul ragazzo.
La prima cosa che vide furono le ali, ma non era una sorpresa.
Se le era immaginate bianche, come di un cigno, invece intuì i riflessi cangianti delle piume, sembravano traslucide.
La nuca e i capelli, corti, eppure di un colore molto simile ai suoi. Anche i riccioli, minuti dietro le orecchie, vezzosi sul collo, sembravano ricordare a Psiche quelli che, con pazienza, si sistemava ogni mattina.
La pelle ambrata, pochi peli, Psiche accostò il suo braccio a quello del ragazzo e non poté fare a meno di notare lo stesso colore, quasi fossero due ulteriori paia di braccia che la ragazza avrebbe facilmente potuto confondere con le proprie.
In quel momento Eros si voltò supino e Psiche dovette fare uno scatto indietro, per evitare che le ali urtassero la lucerna.
Quindi si riavvicinò.
Il corpo era glabro, aveva un ché di effeminato, non fosse stato per quella parte inequivocabilmente maschile che, in ogni caso, non suscitava ormai più la curiosità della ragazza.
Psiche si fece più audace, l’alone di luce risalì velocemente verso il volto e a quel punto ebbe un sussulto …

Era lei.

Era la sua gemella.
Era la riproduzione esatta dei suoi tratti.
Non vi era nulla di diverso: la linea del volto ovale, il naso, il taglio degli occhi, il disegno delle labbra.
Perfino le orecchie piccole …

Fu in quel momento che la lucerna tremò e fece cadere una goccia di olio sul petto del giovane addormentato.
Il liquido bollente ebbe l’effetto di svegliare di soprassalto il dio.
Quando Eros aprì gli occhi Psiche pensò di trovarsi di fronte a uno specchio.

Un urlo soffocato fece spegnere la fiamma, mentre il suo riflesso esclamava addolorato:
“Che cosa hai fatto?”

All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm
Enjoy the silence

-TO BE CONTINUED …

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Il tizzone ardente

Il fruscio la fece voltare di scatto.. oddio.. ancora lui! Meleagro la guardava con il sorriso inebetito, lo stesso che si era messo il giorno precedente, quando si erano incontrati per la prima volta.

In fondo, quella moglie magra dai riccioli composti sotto il velo leggero, le faceva un po’ di tenerezza. Come si chiamava? Cleopatra? Che nome strano, non le si addiceva: sembrava un nome importante, mentre la ragazzina che aveva accolto il gruppo di cacciatori nel palazzo di Oineo era piccola, mingherlina, con gli occhi sempre bassi.

Appena arrivata Atalanta aveva sentito gli occhi di Meleagro su di lei, subito le era stato offerto il posto d’onore al banchetto che salutava il gruppo di valorosi giovani, pronti a confrontarsi con il terribile cinghiale.
Lei non era avvezza alle smancerie, lei voleva cacciare, voleva essere considerata alla stregua degli altri ragazzi che si erano presentati a Oineo. Meleagro le aveva dato corda in questo senso, anzi, le aveva confessato di ammirarla moltissimo per il suo coraggio.
Poi era arrivato il momento della partenza per la foresta di Calydon: Meleagro sembrava non volersi allontanare, mai, nemmeno per un istante. Le girava intorno come un cagnolino, e spuntava all’improvviso. Atalanta non lo sopportava: lei aveva i suoi tempi e poi, a differenza della quasi totalità dei cacciatori, usava arco e frecce, aveva bisogno di spazio attorno a sé.

La ragazza riprese a mirare di fronte a sé, ma Meleagro le si avvicinò: “Voglio sposarti“.
Non era la prima volta che glielo diceva, già la sera prima, accompagnandola alle stanze che le erano state riservate, l’aveva costretta ad ascoltare queste parole prive di senso. Atalanta decise di cominciare ad ignorarlo e continuò a puntare tra gli alberi, cercando di concentrarsi per poter avvertire meglio gli indizi che la aiutassero ad individuare il grosso cinghiale aggirarsi rabbioso.

Poi arrivò il momento dell’assalto. Atalanta aveva visto il cinghiale e lo aveva colpito di striscio, ma certo.. non era da sola… né con le compagne che ogni tanto Artemide le mandava per allenare la sua naturale predisposizione alla caccia. Qui c’erano rozzi giovanotti, che non ne sapevano molto di tattica, ma che non vedevano l’ora di sfoggiare muscoli e forza bruta, soprattutto di fronte a una ragazza come lei.

Alla fine ne rimasero molti a terra. E quel pazzo di Peleo?! Se non fosse stato per lei sarebbe stato sicuramente sventrato dal cinghiale! Un folle insensato.. Fortunatamente Meleagro aveva deciso di passare all’azione e, lasciando da parte per il momento i progetti di matrimonio, aveva cambiato preda, rendendosi finalmente conto di essere il “padrone di casa” in quella caccia principesca. Aveva abbattuto il cinghiale. Evviva. Ora tutti a cas.. no! No, non questo, non lo fare Meleagro…

La pelle del cinghiale va alla principessa Atalanta, la prima a colpire la bestia. Sarebbe stata sicuramente in grado di abbatterla, se non si fosse intromesso Anceo. Inoltre ha salvato la vita a Peleo!

Atalanta non aveva il coraggio di guardare i compagni di caccia, ma poteva avvertire distintamente il loro sguardo posarsi su di lei e poi fissare Meleagro, con odio. In pochi minuti si avventarono tutti sulla pelle del cinghiale, strappandola dalle mani di Atalanta e mandando il principe etolo su tutte le furie. A farne le spese furono due tizi che, solo in un secondo momento, Atalanta seppe essere gli zii di Meleagro.
La questione sembrava essere finita. Si trattava di uno screzio fra parenti.

Ma la sera, durante il banchetto, Atalanta vide chiaramente Altea, la madre del giovane principe, uscire in fretta dalla sala, insieme alle sue ancelle. Meleagro era tornato alla carica, voleva a tutti i costi convincere Atalanta che erano fatti l’uno per l’altra. Era infiammato da una passione folle, quale la ragazza non aveva mai sperimentato…. era così infervorato mentre parlava che Atalanta cominciò a spaventarsi. Meleagro beveva e parlava, parlava e beveva, ad un certo punto si voltò verso gli altri invitati e cominciò a dire che doveva fare un annuncio.
Si alzò dalla kline e urlò a gran voce di fare silenzio. Ma appena provò ad aprire bocca, si aprirono le porte della sala e arrivò Altea, come una furia, brandendo un tizzone acceso.
La scena sembrò quasi comica ad Atalanta e per un attimo la ragazza sperò che quel “fuori programma” potesse distogliere Meleagro dallo stupido proposito di ripudiare pubblicamente Cleopatra per lei.
Invece, inaspettatamente, il principe impallidì e aprì la bocca e gli occhi come se avesse visto lo spirito di un morto.
Altea lo guardava senza parlare, puntando verso di lui il tizzone che si consumava molto rapidamente. Meleagro si portò la mano sinistra allo stomaco, mentre dalla destra cadeva la coppa che aveva alzato. Una smorfia di dolore gli deformò i tratti del volto. Un suono basso e prolungato uscì dalla bocca, mentre il giovane si ripiegava su se stesso e cascava per terra.
Il padre scattò in piedi e guardò la moglie inorridito. Le urlò di spegnere quel legno e piangendo le chiedeva perché.. perché stava facendo una cosa del genere.
Altea era stravolta e cominciò ad urlare che doveva vendicare i suoi fratelli.

Nel giro di pochi minuti il tizzone era ridotto in cenere e Meleagro, beh, lui era morto.

Atalanta non sapeva bene cosa accadde in seguito. Si ritrovò insieme ai fratelli sulla strada di casa e solo qualche giorno dopo le venne spiegato il legame magico tra la vita di Meleagro e quel tizzone.
Non fu semplice, per la giovane, superare il trauma di una morte così tragica. Non riusciva a togliersi dalla mente che, forse, era stata un po’ colpa anche sua.
Non era stata lei a chiedere ad Artemide di aiutarla a sbarazzarsi di quello spasimante così inopportuno e insistente …?

… ma Atalanta doveva capire ben presto che neppure il suo rapporto privilegiato con la dea cacciatrice avrebbe potuto proteggerla
[to be continued]

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“…la chiamano pace”

E va bene, d’accordo, scriverò anche io qualcosa.
Interrompo il flusso di pensieri mitici e mi immergo nella realtà, sempre polverosa.. anche se si tratta di polvere di gesso.
La vicenda delle “barbare distruzioni” (ho preso una definizione a caso tra le decine che circolano on e off line in questi giorni) al museo di Mosul ha scatenato le dure reazioni di .. chiunque. Direi davvero che il fenomeno è riuscito a mettere d’accordo persone che si occupano di storia e archeologia a livello professionale, oppure che si ritengono degli appassionati, o ancora persone a cui non gliene può fottere di meno di quel che è storico e/o archeologico, ma.. “cavolo! quei musulmani che si prendono gioco di..” va beh, non sappiamo di che si tratta con precisione, ma sono dei tizi con la barba lunga che distruggono e si divertono a distruggere.. in pratica, la versione digitalizzata del bambino rompicoglioni che, in spiaggia, si divertiva a saltare a pié pari sui castelli di sabbia che avevamo appena completato, per poi correre via ridendo sguaiatamente.

Io no.
Io non ce l’ho fatta, mi dispiace.
E molto prima di sapere che, in realtà, per la maggior parte si trattava di calchi in gesso. A dirla tutta, anche un calco in gesso ha una sua dignità e, se è stato fatto, probabilmente ha avuto anche la sua utilità.
Ma, questa volta, l’atto vandalico mi ha lasciato indifferente.

Epperò, mi sono spaventata di questa mia reazione. In fondo io mi entusiasmo (e lavoro) con la divulgazione dell’importanza della storia e del suo studio e quindi anche della sua conservazione e tutela. Perciò non ha molto senso che utilizzi due pesi e due misure quando si parla di distruzioni compiute al museo di Mosul. Forse si tratta di un mio malcelato razzismo??!? “In fondo che ci si può aspettare da quei barbari?“.

No, non è questo. Ci ho pensato un po’ e alla fine ho trovato un suggerimento interessante in questo articolo:
http://www.archaeology.org/exclusives/articles/779-national-museum-baghdad-looting-iraq#art_page2
L’autore dell’articolo, Andrew Lawler, analizza gli imbarazzanti accadimenti che hanno sconvolto il museo di Baghdad e che hanno visto come protagonisti i soldati americani:

Looting, particularly in southern Iraq, which was the center of ancient Mesopotamia, had already begun in earnest in the late 1990s and grew to alarming proportions by 2004 and 2005, long after the National Museum was secured. The United States, its allies, and the fledgling government of post-Saddam Iraq did little to address the sources of the problem.

Non solo “è stato fatto ben poco per capire l’origine del problema”, ma è stato chiaro fin da subito che si trattava di “saccheggi su commissione“, tanto è vero che ancora oggi capita di ritrovare oggetti provenienti dal Museo in casa di facoltosi magnati, in giro per il mondo.

Un brano, in special modo, mi ha aiutato a mettere a fuoco la sensazione che si era insinuata nel mio cuore di ghiaccio al vedere le teste barbute distruggere le teste barbate:

More ominously, a new generation of Iraqis has grown up without any access to the impressive network of museums across the country that were once crowded with schoolchildren. They know little of their ancient past. Many Iraqi politicians today have a bent toward Islamic fundamentalism that is no friend to secular archaeology.

La prima immagine che mi è venuta in mente è stata la lunga fila di bambini che attendevano il proprio turno all’ingresso del Museo Archeologico di Istanbul, e le altrettanto lunghe file di bambini che, all’interno del museo, passavano davanti a statue e vasi (capendoci il giusto, diciamocelo) quasi che si trattasse di rendere omaggio a immagini di culto, senza accendere candele, ma lasciandosi “toccare” dall’orgoglio nazionalista per la storia dei propri avi.
Comunque, senza divagare, il punto è proprio quello: non stiamo parlando del Louvre, dei Musei Capitolini, nemmeno del Museo Archeologico del Cairo .. dove, per inciso, qualche atto vandalico è stato perpetrato durante gli scontri di qualche anno fa.. salvo poi “scoprire” che il buon Zahi Hawass era uno dei ricettatori delle opere trafugate..
Stiamo parlando di una terra che è stata oggetto di razzie da.. decenni, più o meno da quando sono state scoperte le prime città antiche.
Poco tempo fa mi è capitato di imbattermi nell’affascinante figura di Gertrude Bell, la quale è stata anche la  fondatrice del Museo Archeologico di Baghdad. Ma cosa ha spinto una brillante storica, innamorata del deserto e arsa dalla voglia di conoscenza e di condivisione della saggezza millenaria dei capi tribù, a costruire un museo per reperti archeologici?
Il suo primo pensiero è andato al continuo saccheggio che gli archeologi europei praticavano sui reperti da essi stessi scavati: Gertrude non voleva più che i musei europei si abbellissero di testimonianze di storia che appartenevano in primis ai popoli che le avevano prodotte. Gertrude era una storica coscienziosa, ritrovatasi a giocare un ruolo forse più grande di lei nell’enorme Risiko geopolitico che Churchill imbastì in medio oriente.. e di cui subiamo ancora oggi le conseguenze.
Gertrude era una cittadina britannica, londinese, e aveva dentro di sé quella sensazione di superiorità culturale, propria del più grande Impero del mondo occidentale, quello Britannico, appunto.
Eppure, pur nella sua superiorità culturale, Gertrude si era arrogata il ruolo di tutor, di questi “barbari”, che le avevano regalato la possibilità di essere se stessa, lontana dai condizionamenti della società vittoriana.

Oggi noi, non solo abbiamo dimenticato la figura di Gertrude Bell, ma, quel che è più grave, abbiamo dimenticato il senso profondo della storia e della cultura. Oggi noi ci lasciamo condizionare da immagini impostate ad arte, proprio per farci urlare allo scandalo e alla vergogna, senza, tuttavia, informarci sui motivi che sono alla base di certe immagini.

Spero davvero che quelle scene di devastazione, degne della miglior puntata di Jackass, possano cominciare a insinuare nel nostro cervello il tarlo dell’autocritica. Intere generazioni sono cresciute vedendo nell’oggetto archeologico una possibilità di affrancamento e di fuga: trafugarlo e venderlo a qualche signore straniero. Che problema c’è? E’ solo un pezzo di pietra. E se invece di venderlo lo distruggiamo? Se ci pagano, tanto vale, anzi, è meno rischioso.

“Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”
il buon vecchio Tacito lo aveva capito bene, c’è chi decide di conquistare un Paese straniero, e nel farlo deve annullare completamente la personalità dei futuri sudditi, altrimenti ci sarà sempre il rischio che si vogliano affrancare dal nuovo padrone.

La guerra culturale che si combatte oggi in medio oriente ha un’origine lontana. Io ho la fortuna di conoscere diverse persone che hanno contribuito a salvare e studiare capitoli importanti della storia di Turchia, Siria e Iraq. Il loro sgomento e la loro rabbia di fronte alle scene che ci sono state propinate sono anche i miei.

Però c’è una cosa che mi spaventa ancora di più: il rischio che rimaniamo ostaggio di una propaganda becera e spesso raffazzonata. E’ importante che manteniamo la lucidità che ci viene dalla conoscenza della storia: è essenziale che almeno noi guardiamo il disegno d’insieme, senza rimanere ostaggio di un terrorismo psicologico che ci ferisce proprio là dove abbiamo riposto le nostre speranze, nella cultura materiale salvata, tutelata e divulgata. Non si giustificano gli atti vandalici, ma per lo meno vanno tracciati nella loro genesi più profonda. Se poi viene fuori che chi li commette sta “recitando una parte” a uso e consumo nostro.. beh.. qualcosa nella nostra indignazione non ha funzionato.

Indignez vous! urlava Stéphane Hessel… Sì, indignamoci, ma cerchiamo di capire bene per quale motivo e in quale modo. Eventi come quello dei filmati girati a Mosul ci infiammano, ma la nostra pietas non vada verso le statue distrutte, bensì verso persone che vengono – da decenni – private della propria storia fino al punto da non fargliela più riconoscere. Poveri Aiaci che stanno ammazzando montoni e pecore perché una divinità non meno pagana dei classici dèi sta annebbiando loro la vista…

“Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”

Tacito lo aveva capito… noi quanto ci metteremo?

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23 Febbraio

Dicen que por las noches
No mas se le iba en puro llorar;

Il rumore sordo dell’ascia che tagliava il possente ramo di quercia, scandiva la canzone che Atena aveva in mente dalla mattina…

Dicen que no comia,
No mas se le iba en puro tomar.

Una nave, questa volta sul padre le chiedeva di aiutare un carpentiere! Pare che si trattasse della prima vera nave seria, che quei ragazzotti dovevano costruire per poter andare a prendere un po’ di oro… Atena scuoteva la testa, mentre le note risuonavano chiare nella… mente! La mente.. la testa… sempre lei, sempre in attività, qualunque cosa stesse facendo.. era una maledizione (?)
A volte le capitava di ricordare, o forse stava solo rievocando, quei colpi disperati battuti contro il cranio di suo padre. Per uscire. Per nascere.
Il primo ferro che aveva scalfito il suo elmo era stato il filo dell’ascia di Efesto, sempre pronto a correre alle urla di Zeus tonante: un colpo netto, e la fessura si era creata, permettendole di uscire.

Juran que el mismo cielo
Se estremecia al oir su llanto, Como sufría por ella,
que hasta en su muerte la fue llamando

Nascere dalla testa di tuo padre. Quanto le aveva pesato questa nascita così strana, così innaturale. Le era mancato il contatto materno, l’idea di maternità non l’aveva mai sfiorata. Solo la mente, la testa, solo quello contava per lei. Avrebbe potuto perdere all’improvviso qualunque fattezza antropomorfa e ritrovarsi a vagare, puro spirito intellettivo attraverso città, foreste, montagne, mari ..

Ay, ay, ay, ay, ay cantaba,
Ay, ay, ay, ay, ay gemia,
Ay, ay, ay, ay, ay cantaba,
De pasion mortal moria.

Zeus l’adorava.
Certo.
Facile.
A parole.
In realtà lei faceva di tutto per lui, sempre ligia, sempre pronta a rispettare le richieste paterne.
I ragazzi, come li chiamava lei, “i miei figli”, come sottolineava lui: ragazzotti di campagna o boriosi principini, da accompagnare nelle avventure più disparate. Evitando che si facessero troppo male e aiutandoli a sconfiggere mostri di varia natura.
Non sapeva nemmeno lei come si sentiva accanto a loro: sorella, madre, compagna, amante? A volte era brusca, altre volte addolciva i suoi tratti per poter consolare quegli spiriti indomiti, ma inevitabilmente giovani.

Que una paloma triste
Muy de mañana le va a cantar
A la casita sola
Con sus puertitas de par en par;

A Dodona il vento non smetteva mai di scompigliare le fronde delle alte querce. E le sacerdotesse, candide colombe, volavano irrequiete da una parte all’altra, prese dal loro compito speciale di comunicare ai mortali le profezie del loro padre, di Zeus.
Le parole di suo padre, qual era stata l’ultima volta che si erano messi a parlare? Non se lo ricordava più. Ormai si trattava solo di dispacci, ordini dati in maniera melliflua, con quell’aria suadente che utilizzava per conquistare le sue donne. Lei non era una delle sue donne, ma di certo si lasciava conquistare.

Juran que esa paloma
No es otra cosa mas que su alma,
Que todavia espera
A que regrese la desdichada.

Ora si ricordava il motivo per cui era arrivata a Dodona: non le interessava il legno per la stramaledetta nave…non le era mai importato niente..
Lei voleva di nuovo ascoltare la voce di suo padre…

Cucurrucucù paloma, cucurrucucù no llores.
Las piedras jamas, paloma,
Que van a saber de amores?

Diventare colomba, non per sempre, solo il tempo che le occorreva per riascoltare quella voce profonda, che le si rivolgeva facendola sentire l’unica persona davvero importante, sulla faccia della terra…

Cucurrucucù, cucurrucucù,
Cucurrucucù, cucurrucucù,
Cucurrucucù, paloma, ya no llores

il 23 febbraio era il compleanno di mio padre

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