E io non vedo più la realtà

Com’è fatto un eroe?
L’eroe sa di essere tale?

downloadIl piccolo Herakles non sapeva perché la mamma piangeva e lo abbracciava stretto. Ificle, il piagnone, non riusciva a smettere di tremare, ma quei due serpentoni ormai non potevano più fare male: penzolavano inermi tra le mani paffute del figlio di Anfitrione e Alcmena.
Il padre lo guardava dubbioso, e lo sguardo poi si posava sulla moglie… qualcosa doveva essere successo perché il gemellino fosse così forzuto.

C’è una ragione che cresce in me
e l’incoscienza svanisce

Il giovane Herakles non sopportava quella disciplina così rigida, e la musica non gli era Herakles uccide Linosmai piaciuta. Nessuno che chiedesse al figlio del re quello che veramente voleva fare. Quel giorno aveva deciso che sarebbe stato l’ultimo.
Ora basta.
La lira non gli era mai sembrata così leggera, mentre si fracassava sulla testa del maestro.

ed io non vedo più la realtà
non vedo più a che punto sta
la netta differenza fra il più cieco amore
e la più stupida pazienza no, io non vedo più la realtà
né quanta tenerezza ti dà la mia incoerenza
pensare che vivresti benissimo anche senza.

Herakles ne aveva abbastanza della gelosia della moglie: era abituato a fare quello che gli pareva, con chi voleva e quando gli andava. Un clima troppo pesante in casa. Questo pensava mentre ascoltava per l’ennesima volta le lamentele di quella donna. E i bambini, cresciuti all’ombra della madre. Erano ancora piccoli, ma di certo non sarebbero potuti cambiare, se non accadeva qualcosa… ora.
Non pensava sarebbe stato così facile spezzare il collo di una donna, sembrava un cerbiatto, uno di quegli animaletti impauriti che cacciava a mani nude nel bosco. I bambini piangevano. Lui voleva solo farli smettere …

una paura che nasce
l’imponderabile confonde la mente

Athena_Herakles_Staatliche_Antikensammlungen_2648Dicevano tutti che era facile riconoscere una dea, doveva essere una donna bellissima, alta, dallo sguardo tagliente. Herakles pensò che in fondo Atena non sembrava poi così diversa dalle ninfe che incontrava nelle sue battute di caccia solitaria: una bella ragazza, ma nulla di più. Certo, armata di tutto punto, e con quel volto di Gorgone stampato sul petto, faceva un certo effetto, ma Herakles era stanco, non si lavava da una settimana, completamente sfinito da quell’accesso di forza bruta (la chiamavano follia) che lo aveva fatto diventare un assassino, della propria famiglia: non c’era niente che potesse intimorirlo o scuoterlo.
Poi Atena lo guardò, fisso negli occhi scuri e cisposi: la dea li aveva molto chiari, gli occhi. E avevano la capacità di penetrare nei più nascosti recessi dell’anima. Herakles si sentì improvvisamente nudo, indifeso, un groppo in gola gli fece salire le lacrime agli occhi.
Poche parole e Atena gli spiegò in cosa consisteva la sua punizione: doveva combattere per difendere gli uomini, salvarne alcuni e proteggerne altri. Il suo primo scontro gli procurò un’armatura fuori dalla norma, la pelle di un leone. Non era possibile scalfirla con le armi convenzionali: diventò una sua seconda pelle. Era nato l’eroe

jeeg-robotCorri ragazzo laggiù
vola tra lampi di blu
corri in aiuto di tutta la gente
dell’umanita’

Il film di Gabriele Mainetti si mantiene in equilibrio perfetto tra la realtà e il paradosso. Naturalmente, oltre al Jeeg Robot del titolo, cui si fa riferimento esplicitamente durante il film, sono tanti i personaggi “super eroi” che ci affiorano alla mente mentre seguiamo empatici le (dis)avventure di Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria): la casualità che lo rende fortissimo e invincibile, il suo lato (dis)umano, quasi bestiale, e l’incontro con la (dis)illusa figura femminile, che stentiamo a definire ragazza, perché è quasi un simbolo più che una persona in carne e ossa. C’è pure il tempo di creare l’antagonista, con le sue idiosincrasie e il protagonismo che lo avvicinano terribilmente a un Joker, rendendocelo personaggio da compatire più che da odiare.lo-chiamavano-jeeg-robot-trailer-lo-chiamavano

Ma non scrivo tutto questo per rovinare il gusto di vedere il film. Scrivo queste poche righe perché la costruzione di un’eroe come Enzo Ceccotti è, a mio avviso, perfetta: il mondo in cui cresce e vive sembra assente dalla sua quotidianità, fino a quando non lo proietta sugli schermi (monitor di computer o televisivi). Prima di accorgersi di Enzo è solo un mondo che si sta autodistruggendo, creando i propri mostri. Enzo è uno di quei mostri, ma ad un certo punto sceglie di cambiare pelle e si accorge improvvisamente delle facce che lo circondano, delle persone che vivono attorno a lui. E io ho pensato a quel gigante buono che è Herakles, selvatico eppure generoso, violento ma coraggioso. Un eroe suo malgrado.

Qui l’emozionante versione di Santamaria della sigla di Jeeg Robot.

Invece la colonna sonora di questo post è Anna Oxa nel 1978, perché nel film c’è una bellissima interpretazione à la Renato Zero interpretata da Luca Marinelli.

 

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tourismA2016 – Intro

Firenze-palazzo_vecchio_24Ci ritroviamo dunque nuovamente a tourismA. L’opportunità di conoscere modi sempre nuovi di vivere l’archeologia: da turisti, sì, ma partecipanti curiosi e interessati.
L’inaugurazione ci riunisce nella Sala “più famosa del mondo”, come ricorda giustamente Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva e quindi padrone di casa dell’iniziativa fiorentina.
Ma il Salone dei Cinquecento è simbolo sommo del governo fiorentino, perciò è Dario Nardella, sindaco della città, a fare gli onori di casa. Non viene di persona, ma invia l’assessore Bettarini allo Sviluppo economico, Turismo, Città metropolitana; Bettarini esordisce facendo riferimento alla norma “unica in Italia” che pur di preservare l’arte va contro agli interessi economici dei privati. Incuriositi apprendiamo che la fantomatica norma, quasi marxista nell’enunciato, sarebbe quella che prevede la chiusura di luoghi non consoni alla “decenza” della città. Un riferimento inopportuno, ci sembra, e poco corretto, che sorvola sulle diverse pecche dell’amministrazione, da sempre in prima linea per una gestione privatistica del bene culturale fiorentino (si pensi alla famosa cena sul Ponte Vecchio oppure al Museo Gucci, piazzato a bella posta accanto a Palazzo Vecchio).
Ma non vale la pena di impantanarsi in sterili polemiche.
pruneti_adCon il discroso di Pruneti tourismA2016 prende forma e ciò che si scorge è un’archeologia collettiva, di ampio respiro.
Pruneti ricorda infatti che il successo di iniziative come tourismA e prima ancora di riviste come Archeologia Viva è legato alla partecipazione calorosa e sempre interessata dei principali fruitori: i lettori, i viaggiatori, coloro i quali si alimentano di cultura. Quindi tourismA siamo tutti noi.
Con il primo relatore della serata capiamo subito a cosa siamo chiamati. Se ancora ha gr_2eurovalore il sogno europeo, ebbene, esso passa attraverso la cultura, inevitabilmente, e la storia dell’Acropoli di Atene ne è la dimostrazione più viva.
godartLouis Godart, già Consigliere del Presidente della Repubblica per il patrimonio culturale, ma soprattutto sapiente decifratore della civiltà micenea, ci guida, aedo d’altri tempi, attraverso le tappe della democrazia ateniese, così particolare nella sua struttura.
Egli cita Eschilo, drammaturgo immortale, che scolpisce ogni suo personaggio proprio come Fidia ha dato anima ai suoi marmi. Prometeo, Clitemnestra, Oreste, le Danaidi… ognuno evoca un pensiero di democrazia partecipata: il libero arbitrio dell’uomo greco di fronte al destino e alla legge, il processo celebrato di fronte alla comunità riunita, oppure la storia che sempre si ripete di migranti africani che in Grecia cercano un modo nuovo di essere cittadini. Perfino la risposta alle devastazioni in Medio Oriente sembra essere stata prevista da Eschilo, nei Persiani: chi distrugge templi è destinato ad essere distrutto. Forse oggi il “tempio” non è solo il monumento in pietra, ma la nostra coscienza storica e la capacità di riflettere la grande Storia negli episodi anche più piccoli delle nostre storie quotidiane.
5Il discorso di Godart ci avvolge e il punto d’arrivo è lui, il Partenone: una “luce dell’Attica” il cui riflesso serve anche a dare vita ai marmi. Ma quali marmi? quelli che faticosamente sono rimasti in terra greca oppure quelli che combattono con le brume del nord, nella sala del British?Elgin-Marbles_2703279k
Giunge il saluto del Presidente della Repubblica greca, che guarda fiducioso alla nascita del comitato italiano per la restituzione dei marmi ad Atene. A seguire, un giovane ricercatore legge l’intervento di Dusan Sidjanski, del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Ginevra. L’anziano professore novantenne ha un sogno, quello di vedere riuniti i marmi strappati con l’inganno ai Greci, quando erano sudditi e non ancora cittadini.Fidia Lawrence_Alma-TademaI tre interventi spiegano in poche, incisive immagini una verità che a volte non riusciamo a vedere: la cultura è di tutti, la partecipazione deve essere quanto più estesa possibile. Il Colosseo, Pompei, la cupola del Brunelleschi, non appartengono al popolo italiano, proprio come il Partenone e i suoi marmi non appartengono né al popolo greco né a quello inglese. Sono espressioni massime di un genius loci, vanno lette e apprezzate nel contesto che le ha prodotte.
Per questo, l’impegno di riportare i marmi ad Atene non deve essere quello di pochi illuminati studiosi, ma l’impegno di tutti noi.

tourismA siamo noi: troviamo finalmente la forza di scendere in campo e partecipare al grande gioco della cultura!tourisma (1)

Già questa mattina sono cominciate le attività del convegno ed è quindi possibile ascoltare, chiedere, informarsi presso il Palazzo dei Congressi di Firenze. Tra le iniziative mi piace ricordare il convegno e workshop di domani, con il quale si affronterà la grande sfida 2.0: portare arte, archeologia e cultura al maggior numero possibile di persone attraverso i cosiddetti “social media”. Non mancate.. anzi.. stay tuned!

Qui trovate il programma completo: http://www.tourisma.it/programmazione

 

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Il castello del Basilisco

Castello_Ruggero-870xAl nord della città superiore, in distanza di cento canne in linea retta, su d’un poggio s’erge un antico castello baronale guarnito di quattro torri circolari. Le mura di questo castello sono della spessezza di dieci palmi, e sono in buono stato. E’ dominato solamente dalla città superiore e potrebbe servire come un avamposto che si può vigorosamente difendere (…) in esso si posso alloggiare di passaggio 360 uomini, e 200 di permanenza e 36 cavalli.*

Questo era l’effetto che doveva fare a un viaggiatore di – probabilmente, non ci sono date Lauriacerte – metà ‘700 il castello di Lauria. Della cittadina, divisa in inferiore e superiore, sappiamo che era stata costruita in una posizione strategica, dominante la Valle del Noce e non distante dalla strada romana che collegava Capua a Rhegion, ma le notizie relative al castello rimangono sporadiche e confuse.

Prendete allora una mattina di sole in un dicembre dalla temperatura mite, e arrampicatevi sulla rocca del castello di Lauria. Bisogna innanzitutto raggiungere un rione dal nome arabeggiante: il Cafaro, come al Cafar, che in arabo significa “cittadella fortificata” e che oggi è il nome di un torrente, su cui si sporge la parte più antica del paese. Le facciate delle case seguono un andamento curvo, quasi aderenti al profilo della rocca; i colori si mimetizzano con la pietra calcarea, tranne nei rari casi di ristrutturazione dai toni pastello, e durante la salita ci si incanta a osservare abbozzi di archi e di porte, ormai integrati nelle abitazioni.

IMG_20151230_125914Attraverso una porta in legno si accede a quelli che sembrano campi privati, oliveti e abbozzi di terrazzamenti. Quindi si comincia a salire. Un percorso impervio e affascinante allo stesso tempo ci introduce tra i tronconi di muro fondati sulla roccia calcarea: la porta di accesso è ormai solo intuita, mentre i piani in cui si articolava il castello hanno lasciato la loro impronta negli incassi quadrati che alloggiavano le travi a sostegno dei pavimenti in legno.IMG_20151230_125653
Dall’alto della rocca Lauria scompare… l’occhio spazia ben oltre i confini del paese e abbraccia quello che, un tempo, dovette essere il gastaldato longobardo, fondato dal Principe di Salerno nell’849. La rocca è sempre stata lì, sospesa tra cielo e terra, sentinella preziosa, parte integrante della costellazione di posti di guardia nella regione.

Se ne contano infatti ben 30: trenta castelli i più antichi dei quali sono quelli di Stigliano, Muro Lucano, Castelsaraceno, Pescopagano, Tricarico…e naturalmente il “nostro”, quello di Lauria.***

Cercare notizie su un castello lucano è un’avventura degna del miglior racconto di Giambattista Basile: ci si immerge nelle carte di antichi archivi e spesso le si trova annerite da incendi fortuiti, quasi episodi di autocombustione, che cancellano in una vampa secoli di storia. Serve dunque una certa tenacia, e soprattutto un sincero amore per la propria terra, sentimenti, questi, che caratterizzano le due guide dell’escursione decembrina al castello: Francesco Fittipaldi e Gaetano Petraglia.
Insieme costituiscono l’avanguardia dell’associazione Amici del Castello Ruggero, e raccontano una storia fatta di passione e di storia, di scoperte e di lotte.
Il toponimo del Cafaro si riferisce con certezza alla fase saracena del IX secolo, ma Petraglia, insieme ad Antonio Boccia, ha individuato nel Chronicon Salernitanum una indicazione interessante, che potrebbe spostare la fondazione del castello all’età longobarda, nel corso dell’VIII secolo. Se le origini longobarde sono ancora in fase di studio, le fasi successive del castello sono meglio documentate e così è più chiaro il legame Ruggero di Lauriacon Ruggiero d’Aragona, nato a Lauria e divenuto famoso come ammiraglio aragonese.
Le bianche pietre diventano finalmente colonne possenti, archi incrociati, finestre ogivali, e per un attimo, il lungo attimo che occorre al lettore meno esperto per addentrarsi in alberi genealogici dai nomi affascinanti, le sale del castello si riempiono nuovamente e i nitriti dei cavalli annunciano l’arrivo di nuovi ospiti.

 

Glorioso cavaliere, sanza lo tuo valore or non sarebbe quivi a ringraziarti et salutarti con tutte le sue genti Brancaleone da Norcia, patrone e signore di Aurocastro, sue vigne et suoi armenti. Concedimi dolce signore la permissione di ospitarti per lo manducare et per lo bevere allo mio castello.**

220px-BaziliszkuszE’ in questo momento che ci sembra di scorgere un basilisco, immobile sul punto più alto del muro smozzicato della torre Nord. Il corpo lucente di scaglie verdi e blu ci trae in inganno, pensiamo a una lucertola, ma il basilisco è una creatura strana, che non appare mai uguale a chi la scorge; può avere zampe di gallina, coda di serpente, becco di rapace, eppure teme un animale tanto simpatico quanto subdolo, il furetto.basilisco
Il basilisco è ritratto nello stemma di Lauria, ovviamente accanto a un albero di alloro, simbolo e forse etimologia del nome del paese. Lo sguardo fiero del basilisco ci scruta, umili viaggiatori del tempo, e cerca di capire se di noi si può fidare.

Tradizionalmente legato a storie lontane, di paura e di morte, il basilisco è il simbolo per eccellenza di quei bestiari medievali che cercavano di distrarre il servo della gleba con storie di creature magiche e invincibili, così da evitare ogni possibile velleità di affrancamento da una schiavitù decisamente più terrestre e meno magica.
4899_ibasilischi02Ma il basilisco è anche storicamente il simbolo di un’indolenza pervicace, che l’intenso film di Lina Wertmüller ha tratteggiato con dovizia di particolari.
E di indolenza, ahimé, si tratta quando cerchiamo di capire le sorti del castello di Lauria: lasciata alla cura dell’Associazione, ma senza il sostegno che ci si aspetterebbe dagli uffici ministeriali, la rocca rischia di franare. Nonostante gli sforzi dei privati, di disboscare, documentare le strutture e mettere in sicurezza, tanto ancora bisogna fare perché lo spunzone roccioso sveli tutti i suoi segreti e la ricerca d’archivio, che non si è mai fermata, promette interessanti rivelazioni da un’indagine sul campo.

L’auspicio è che la kermesse di Matera 2019 possa far confluire qualche fondo nel progetto degli Amici del Castello di Ruggero, perché l’occasione che si presenta è quella di un affascinante salto nel tempo, alla riscoperta di uno spirito genuino, che ci fa ricordare quello sgangherato di Brancaleone e dei suoi compagni:

mario-monicelli-armata-brancaleone-vittorio-gassma-webLo patre mio, barone di Norcia, morette quando io era in età di anni nove. Mia madre riandette a nozze con uno malvagio, lo quale avido dei beni miei mi consegnò ad uno sgherro, homo di facile pugnale, acché mi uccidesse. Ma non lo facette: preso di rimorsi mi abbandonò in uno bosco, ov’io sopravvissi, solo, e crebbi libero e forte come una lonza. Arrivato all’età degli anni venti mi appresentai allo castello per reclamare il mio, ma infrattanto matre et patrigno si erano morti dopo aversi scialacquato cose et ogni bene. Tanto che quando io dissi: “Brancaleone sono, unico legittimo erede di ogni cosa che avvi”, lo capitan de’ birri gridò: “Bene, e tu pagherai li debiti! Afferratelo!!”. Al che io brandii l’arma, ferii due guardie e fuggii… da allora vado errando e pugnando… **

 

*tratto da “Modello d’una memoria descrittiva riguardante una città del Regno”, un documento conservato presso la Biblioteca Nazionale di Potenza, consultato da G. Petraglia e A. Boccia e da loro citato in “Il castello di Lauria. Elementi per la storia e il recupero”, Taccuino di storie lucane n.3, Lauria 2009, p. 63-64.
** Brani di dialogo pronunciati dal personaggio di Brancaleone, interpretato da Vittorio Gassman, nel film omonimo, regia di Monicelli.
***Da “Il castello Ruggiero di Lauria. Ovvero il castello del gran giustiziere”, di Vito Pasquale Rossi, in “Il castello di Lauria. Elementi per la storia e il recupero”, Taccuino di storie lucane n.3, Lauria 2009, p.15.

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Le notti (fiorentine) di maggio…

Eccolo maggio pian pian pian piano
con l’acqua in grembio e lle mezzine in mano
– e bene venga maggio, e maggio ll’è venuto –

Palazzo_Medici_Riccardi_by_night_01Era una notte… bella e luminosa! Via Larga risplendeva della luce riflessa dal Palazzo dei signori Riccardi.
Tutto era pronto per accogliere due ospiti d’eccezione: l’Arciduca Ferdinando FerdinandKarlBeatrixEsted’Austria, Governatore di Milano, e l’Arciduchessa sua consorte Maria Beatrice d’Este, naturalmente non da soli, ma con i Granduchi Pietro Leopoldo e Luisa, Granduchessa e Infanta di Spagna, nonché l’Arciduca Francesco loro figlio primogenito.

via LargaUna festa in pompa magna, nel bel mezzo di Firenze, a pochi passi dal Duomo, nel palazzo che era appartenuto alla famiglia Medici: progettato da Michelozzo nel Quattrocento, un esempio di architettura tra i più eminenti, il Palazzo di via Larga era stato venduto ai Riccardi nel 1659 e ora, in questa sera di maggio del 1780, si apprestava a vivere uno degli ultimi momenti di gloria, infatti i Riccardi lo avrebbero venduto al demanio nel 1814.

Eccolo maggio, fa fiorì lle zucche,
date marito alle belle, datelo anche alle brutte
– e bene venga maggio, e maggio ll’è venuto –

Della festa di quel 21 maggio parlarono non solo tutti i fiorentini, ma anche le cronache dell’epoca… i Riccardi non volevano badare a spese! Famiglia curiosa, quella dei Riccardi: da sempre presenti accanto ai Signori di Firenze, in qualità di consiglieri di Stato, avevano un albero genealogico alquanto eterogeneo. C’erano uomini d’affari, altolocati, studiosi e collezionisti, e poi, naturalmente, quelli come Giuseppe, che amavano vivere nel lusso e circondarsi di bellezze costose. Mentre gli zii cercavano di tamponare le spese sempre più ingenti, Giuseppe meditava di organizzare una festa memorabile… e in effetti ci riuscì!

Leopoldo di Toscana

Leopoldo di Toscana

Gli invitati seduti alla tavola imbandita erano 27, tutti nobili e aristocratici che accoglievano gli Arci e Granduchi austriaci: i Pandolfini, i Ricasoli, gli Strozzi, i Corsini, e così via.
Ma i biglietti di invito stampati furono 1800 e Giuseppe voleva che, dopo la cena, il Palazzo rimanesse aperto a chi volesse visitare le stanze magnificamente decorate, proprio come una sorte di “notte al museo” contemporanea.

E piano piano avvicinar mi voglio,
quei giovani belli salutar li voglio.
E piano piano ci avvicineremo,
quei giovin belli li saluteremo.

I documenti di archivio ci permettono di ricostruire numerosi dettagli dei preparativi di quella serata e del suo svolgimento: abbiamo infatti un elenco minuzioso delle maestranze coinvolte e di quanto fu pagato ciascuno di loro, dal “nolo di abiti serviti ai sonatori dell’Orchestra e per la festa di ballo, oltre alla mancia data ai sette uomini che vennero a vestire tutti i sonatori”, a “per fiori assortiti di più colori e foglie; per la mettitura di fiori; per il filo di ferro impiegato per la legatura di dozzine di fiori e fogliame”; dal nolo delle stoffe di Damasco, all’acquisto di mazzi di carte, e così via.
Lo svolgersi del ricevimento viene seguito passo passo e così la cronaca si fa quadro antico:

Lady-Violet-Downton-Abbey-QuotesFurono ammessi tutta la nobiltà con invito pubblico al Casino e una quantità di cittadini e uomini e donne con invito particolare a Biglietti e con la libertà della Maschera.
Fu aperto tutto il primo piano composto da 32 stanze, tra cui due Sale, una stanza dei bassorilievi, un’altra a stucchi, un’altra a galleria, un’altra a libreria, sette di velluti, tre di quadreria, quattro di arazzi, quattro di damaschi, ricetti e quattro gabinetti.
Fuori nella strada, sia dalla parte di via Larga che di via dei Ginori furonno posti negli anelloni di ferro tante torce a vento per illuminare la strada per il comodo di carrozze e pedoni. Le carrozze dovevano venire solamente di via Larga dalla parte di via dei Martelli e tornare dalla parte di San Marco (…)
Alla porta principale di via Larga vi erano, oltre a due sentinelle, quattro staffieri a livrea con quadro in mano, due ufizziali di teatro e di casino per riconoscere i biglietti e la nobiltà ammessa al Casino e una maschera in osservazione.

Era ovviamente una festa danzante e ben due sale da ballo accoglievano i numerosi partecipanti, in una era sistemata l’orchestra:orchestra-barocca

il Palco per l’Orchestra fatto costruire dalla Casa Riccardi per tali occasioni (…) Sull’orchestra vi erano 43 strumenti, i professori dei quali erano stati vestiti alla croata di seta a più colori con tracolle, fusciacche e cappello.

In questa atmosfera sfarzosa e a passo di danza, dobbiamo immaginare un via vai di persone, i cosiddetti “uomini neri“, vale a dire i camerieri e il personale della servitù: lacché, palafrenieri, ecc. Seguiamoli nei loro andirivieni e scopriamo dove scompaiono, tra un servizio e l’altro.
Come in una Downton Abbey nostrana, esiste un “piano di sotto”, fatto di stanze, stalle, cucine, laboratori di pasticceri, dispense e credenze. In questo vero e proprio labirinto si aggira il personale di servizio che, in occasione della festa in questione, venne più che raddoppiato:Waiter

Oltre la copiosa servitù, et ufizialità della casa Riccardi, furono presi ancora 93 uomini neri di fuori, quasi tutti di servizio di altre case nobili

Data l’importanza degli ospiti presenti, furono chiamati ben 45 militari, tra soldati semplici e caporali, per il “servizio di sorveglianza”, inoltre fu necessario prendere

altri 30 uomini per la lavorazione di gelati, et altri 10 uomini in aiuto alle cucine,

In totale si contano ben 250 persone, che si incrociavano in un complicato minuetto. I resoconti ci parlano ovviamente anche del menu selezionato per gli invitati d’onore, ai quali non fu fatto mancare il latte “appena munto“, da una mucca fatta arrivare per l’occasione dai possedimenti dei Riccardi in via Valfonda. I vini serviti furono di ben 35 tipi, e la tavola imbandita vide avvicendarsi, nell’ordine:

sei terrine con zuppe, le quali di poi furono rilevate con altri sei piatti di arrosti e tra i quali due gran piatti di ortolani (?) assai rari nella corrente stagione e altri diciotto piatti tutti coperti con campane d’argento, tra i quali alcuni di magro e in specie di storione, con altri piatti di ostriche. Terminata la portata dei caldi, con grande destrezza fu bandita e dispedita la tavola e immantinente ricoperta di nuovo servizio di porcellane con posate dorate e di biscotterie nobili, frutte gelate e frutte fresche tutto scelto e di preziosa qualità col quale ebbe fine la mensa

Gli invitati cominciarono ad arrivare alle nove di sera, ma la cena venne servita intorno alle undici e mezza. La festa finì alle quattro del mattino, perché, naturalmente, dopo la cena (ricordiamoci, preparata esclusivamente per i 27 convitati d’onore), il ricevimento continuò con danze e giochi di carte e intrattenimenti vari.

O7CBTavolini da gioco: 22 erano i tavolini sparsi in tutte le stanze per uso di gioco con attorno otto sgabelletti e con gli arredi necessari per i giochi, cioè con le fisce, ma non con le carte che le custodiva l’uomo che guardava la stanza e che teneva ordine a non dare le carte ad altre persone che alla nobiltà per rendere la festa più nobile e brillante

Ma seguiamo uno dei cosiddetti “uomini neri” e lasciamo i nobili, gli aristocratici e la gente del popolo che per una notte vuole sognare in grande. Seguiamo il nostro lacché e vediamo cosa accade nei “piani bassi”, cosa viene offerto al personale di servizio, mangiano qualcosa anche loro?
Ebbene sì, e ne abbiamo testimonianza dalle stesse relazioni della festa:

fu data cena d’un piatto in umido, un galletto arrosto, et una pasta frolla al testa con pane, e vino, e paoli 10 per ciascuno è parimente fu data cena a 45 soldati per servizio delle sentinelle consistente in galletto arrosto, una pasta frolla, et una grossa fetta di salame, con pane e vino e paoli due per ciascuno con il doppio ai caporali e sergenti (…)

servantshallEcco, soffermiamoci su questo particolare della cena “sotterranea” e leggiamo ancora:

A questo fine furono aperte due cucine, una per la cena dei Reali Arciduchi, altra sotterranea per le persone di servizio, alle quali fu assegnata una stanza terrena contigua per le dette cene che facevano a brigate per non lasciare il servizio e alla quale assisteva il Canoviere della Casa con altri uomini per apparecchiare e sparecchiare con una sentinella perché non si rendesse tumultuosa dall’altra servitù (…)

Proprio i resti di questa seconda cucina sotterranea sono oggi visitabili a Palazzo Medici Riccardi.
Gli scavi condotti dalla società B&P Archeologia hanno messo in luce diversi ambienti al di sotto dei cortili del Palazzo e quindi è possibile riconoscere non solo l’antico forno, ma anche le stalle medicee, poi trasformate in laboratori di pasticceria, e i diversi pozzi cui si attingeva l’acqua necessaria per i diversi servizi svolti nel sotterraneo. Non mancano sorprese interessanti come le vestigia di tombe tardo antiche e, spingendoci ancora più in basso rispetto alle fondazioni michelozziane, la probabile villa di un medico, cittadino di Florentia, la colonia di età romana.maids-fe

Le visite saranno possibili nelle seguenti date:
venerdì 1 gennaio 2 visite negli orari 15.00 e 16.00
lunedì 4 gennaio 2 visite negli orari 11.00 e 12.00
mercoledì 6 gennaio 3 visite negli orari 10.30, 11.30, 12.30
venerdì 8 gennaio 2 visite negli orari 11.00 e 12.00
lunedì 11 gennaio 2 visite negli orari 11.00 e 12.00
lunedì 25 gennaio 1 visita negli orari 11.00

e il valore aggiunto di queste visite sta nel fatto che a condurvi per mano attraverso quasi venti secoli storia fiorentina sarà proprio l’archeologa che ha condotto gli scavi: Carlotta Bigagli. Dunque, non lasciatevi sfuggire un’occasione davvero speciale e lasciatevi tentare dalle suggestioni del Palazzo e dei suoi sotterranei!

La prenotazione non è obbligatoria, ma il consiglio è di chiamare prima per essere certi di non perdere il turno di visita: http://www.palazzo-medici.it/ita/info.htm 055 2760340

41260_3834539Dopo la festa il marchese Riccardi acconsentì a far visitare il suo Palazzo a chiunque indistintamente e si presentarono al,palazzo ben 30.000 persone.
Prodigiosa e più rimarchevole sopra tutti i prodigi si può segnare la presente festa, poiché tanto nella molteplicità delle maestranze e per i preparativi che nella sera della festa, in cui si contavano sopra trecento persone di servizio e sopra quattromila persone ammesse alla festa medesima, con un innumerabile popolo nei due giorni successivi della mostra; non è seguito nessun benché minimo disordine.

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