Un cuore matto

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La chiesa della Dormizione della Vergine, sulla strada per Kerà

La strada che dalla ethnikì odòs (la strada statale) si allunga verso l’altopiano del Lassithi è una continua ruga che procede tra la roccia e il mare.
Mochòs vive evidentemente del turismo attratto dall’altipiano e probabilmente anche dalle chiesette che costellano la roccia. Qui vanno molto i vari Ephraim e San Giovanni, ma la chiesa dedicata alla Dormizione della Vergine prepara il devoto alla tappa successiva, quella più importante, quella del miracolo della Kardiòtissa.

Non so perché, ma il nome mi fa venire in mente una draghessa, il cui cuore (kardio) va mangiato per garantirsi miracoli e grazie.

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Non sapevo cosa aspettarmi, ma forse qualcosa di più caratteristico rispetto al complesso, perfettamente ricostruito e restaurato, con quel “bel” colorino verikòko (albicocca) che caratterizza le anastilosi ecclesiastiche in Grecia.

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Superato il cancello, si entra nel cortile costruito tutt’intorno alla chiesetta.
Anch’essa è restaurata, ma in maniera meno invasiva.

mko_m-kera-kardiotisa-121All’interno, un vero miracolo: una iconostasi abbrustolita dal tempo o dai turchi (come suggerisce una piccola monaca) che sfoggia l’icona famosa della Madonna con bambino e quella meno miracolosa, ma immancabile, del Cristo.
Attorno alle due icone, una ghirlanda scintillante di ex voto in argento. tamata

Quelle sottili lamine, ritagliate a rettangolo, con impressi occhi, naso, mani, braccia, gambe, ecc. Messaggi brevi e chiari. Ma a decine, forse centinaia, legati tutt’intorno alle icone.

Sulla parete, a sinistra dell’icona della Madonna, sono appese delle catene. Si tratta di quelle che legarono l’immagine sacra a una colonna a Costantinopoli, nel tentativo di impedirne il rientro in patria.. per la terza volta!
La Kardiòtissa, infatti, è una Madonna che i Turchi trafugarono, togliendola alla chiesa del Lassithi e trasferendola a Kostantinoupoli. Ma, miracolosamente, l’icona riuscì a tornare in patria, nottetempo.

Quando, più per puntiglio che per rappresaglia, i rapitori si risolsero a incatenare l’icona a una colonna, il miracolo fece trasvolare colonna, catene e icona.
Oggi la colonna (piccola, per la verità) è infilata nel terreno, di fronte alla chiesa, circondata da una bassa ringhiera.

 

 

 

All’interno della chiesetta non c’è millimetro che non sia affrescato. Il tempo (o i Turchi, come ricorda didascalica la piccola monaca) ha fatto svanire molti degli affreschi; tra i superstiti si distingue quello, quasi ravennate nella sua ieratica nobiltà, di una donna che, mi ricorda la monaca, non è una santa, ma una ricca benefattrice, che ha finanziato la costruzione della chiesa.

La Panaghia Kerà (delle corna?) è oggi visitata da moltissimi fedeli e da Cretesi che non sono particolarmente religiosi ma non mettono in dubbio le doti di guaritrice dell’icona.
Ora, però, quale icona?
Quella che con tanta pervicacia ha cercato di sfuggire alle rapaci mani ottomane, si è dovuta piegare ai cugini cattolici: la “vera-icona” della Panaghia Kardiotissa è infatti oggi ospitata a Roma, nella chiesa di Sant’Alfonso sull’Esquilino. Da notare che la storia parla di un ulteriore rapimento veneziano, ma anche di un Papa che, approvata la natura taumaturgica, ha deciso di portarla a Roma (!)
Quella che rimane a Creta è una copia, che però sembra essere altrettanto miracolosa.

Forse è proprio questo che si intende con Kardiòtissa: la Panaghia ha il cuore a Creta, non importa dove sia la sua immagine, il cuore batte forte sulla piana di Lassithi; qui, e solo qui, va mangiato perché possa, miracolosamente, salvare.

p.s. non si possono fare foto all’interno della chiesa: ecco qui un video.

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La luna bussò

“Muore giovane chi è caro agli dei”
So che questa frase ti piaceva, ma perché ti piaceva l’idea di essere caro agli dei…
So anche che leggevi con piacere le mie divagazioni mitologiche
Questa è solo per te

Crane_Diane_and_Endymion-largeUn’altra lunga giornata trascorsa nei boschi: Endimione si tuffava nel fiume con la gioia di un bambino e dimenticava i suoi vent’anni e le responsabilità che cominciavano a farsi sentire.
Gli piaceva scherzare con i bambini del paese, ai quali mostrava orgoglioso le prede delle sue battute di caccia.
Il fisico allenato e l’entusiasmo della gioventù: il ragazzo era l’idolo di grandi e piccini, tutti lo conoscevano e gli volevano bene.
Quel giorno, però, si era spinto un po’ troppo lontano, ormai faceva buio e non era il caso di rientrare, decise che si sarebbe coricato in una grotta, al riparo.
Per la prima volta in vita sua non riuscì a dormire bene, continuava a rigirarsi e ad aprire gli occhi; si accorse ad un certo punto che c’era un raggio di luna che lo illuminava in viso e dovette cambiare posto.. sembrava una luna piena molto più luminosa del solito.

Edward_Poynter_-_The_Visions_of_Endymion,_1902La mattina dopo si risvegliò con uno strano peso sul cuore. Cercò di non farci caso e riprese la strada verso il paese, senza mancare di abbattere un paio di lepri e una poiana.
Tornato a casa non riusciva a scacciare il velo di tristezza che lo aveva assalito all’alba. Uscì a giocare con i ragazzini del quartiere e per un poco tornò bambino spensierato, ma poi la sera a cena non riusciva a mangiare, si sentiva nervoso.
Decise di fare una passeggiata per distrarsi, e nel giro di poco si ritrovò nei pressi della grotta della notte prima. Si sdraiò per terra e, finalmente, si addormentò. Fu nuovamente un raggio di luna a fargli aprire gli occhi nel cuore della notte.

I giorni di Endimione si fecero più corti: cercava ormai riposo appena possibile, e si rendeva conto che il giaciglio – fatto alla bell’e meglio – all’interno della grotta era l’unico in grado di dargli un poco di ristoro. Il raggio di luna sembrava tuttavia insistere sul suo viso di notte, mentre di giorno non poteva fare a meno di individuare la pallida circonferenza avanzare tra le nuvole e scavalcare il disco dorato del sole, pur di occhieggiare nella grotta. Cominciò così ad osservarla, la luna. Ne studiava le fasi, il volto butterato dai piccoli crateri. Ne misurava i passi, le inclinazioni, le posizioni nel cielo.
Dopo qualche mese decise di comporre un poema in suo onore.

La sua vita spensierata, intanto, era finita: completamente irretito dal mistero luminoso della luna, trascorreva ormai più tempo in quella grotta che fuori a giocare oppure a cacciare.
Decise di occuparsi di un gregge di pecore, che però portava a pascolare per lo più di notte, affrontando lo sgomento dei suoi vicini.EndymionGrimshaw

Musée Bonnat - Diane et Endymion - Peter Paul Rubens (ca. 1636)

Musée Bonnat – Diane et Endymion – Peter Paul Rubens (ca. 1636)

La titanessa era disperata: un giovane mortale le aveva preso il cuore e ora lei non riusciva più a trovare pace, doveva averlo per sé.
Selene si rivolse a Zeus. Lo odiava, non aveva accettato di buon grado la sconfitta dei suoi fratelli e così cercava il più possibile di evitare contatti con la giovane generazione di divinità “a buon mercato”, come amava definirle. Tuttavia la situazione si era fatta insostenibile, così decise di scendere a patti col nemico.
Zeus ne rimase sorpreso e la guardò sgranando gli occhi. Poi sorrise, beffardo: così anche l’integerrima titanessa aveva un punto debole! Fu più per questa sottile forma di rivincita che decise di aiutarla. Anche Selene aveva capito quanto i mortali, con le loro imperfezioni, esercitassero un fascino potente sugli dei immortali.

Era fatta, anche Selene avrebbe avuto il suo amore mortale: il sonno notturno si sarebbe trasformato in un sonno eterno, per permettere alla dea di avvolgere in eterno il giovane amante con baci e abbracci appassionati.George Frederick Watts

In una notte di luglio, Endimione entrò nella grotta per riposare e non ne uscì più.

 

 

La tua bellezza, la tua fragilità, il tuo sorriso dolce e smarrito.
Non so perché sia successo, così. Ma cercherò quella grotta, e verrò ad abbracciarti.

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Barbablù

Questo non è un articolo scientifico.
Questo non è un post pieno di riferimenti dotti e puntuali.
Questi sì, sono disclaimer, sono cioè dichiarazioni che servono a mettere le mani avanti..

Questa è una suggestione: vorrei che vi imbarcaste in un viaggio nel tempo (e nello spazio, se farete i giusti sacrifici a Trenitalia o Italo o compagnia aerea compiacente) e raggiungeste Palermo, il Museo Archeologico Antonino Salinas.Salinas BludipintodibluDall’11 di maggio è esposta una testa in terracotta che raffigura una divinità, Ade.
Potremmo addentrarci nei dettagli del suo ritorno in Sicilia: giunto in circostanze poco chiare al Getty Museum, grazie all’intuito di due studiose il dio è rientrato alla base.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=943332899119291&set=a.943332092452705.1073742269.100003277695018&type=3&theaterSerena Raffiotta trova un ricciolo blu, resto vezzoso scampato all’espatrio, e lo studia e pubblica; Lucia Ferruzza studia le terrecotte del Getty Museum e trova una testa barbata cui manca un ricciolo. Le due studiose lavorano insieme (già da questo particolare dovremmo accorgerci che siamo nell’ambito di una favola) e individuano nella testa di Malibu un reperto che doveva appartenere all’antica Morgantina.

Ha fatto meno scalpore della Venere, ma anche il nostro Ade è un nostos, cioè un ritorno (insperato) di quell’arte che per i nostri governanti non è remunerativa, ma per il resto del mondo è un affare.https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1723706147867665&set=a.1694209327484014.1073741827.100006848888012&type=3&theater

Ecco, già mi sono impelagata in questioni tecniche. Invece no! Di tutto questo potrete leggere e commentare quando andrete a Palermo.
Ma quando vi troverete davanti al signore dell’Oltretomba... guardategli la barba, e ripensate alla favola di Perrault.
Siamo alla fine del ‘600 (1697) e Charles Perrault raccoglie e trascrive alcune favole popolari: Contes de ma mère l’Oye.
Uno dei protagonisti è un vecchio, ricco signore, chiamato Barbablù. Non è molto affascinante, ma riesce nondimeno a convincere una giovane e bella ragazza a sposarlo. Barbablù è molto ricco e la giovane comincia a vivere da signora benestante.

PergusaKore stava raccogliendo dei fiori – dicono – forse vicino a una caverna ad Eleusi, ma più probabilmente lungo le sponde di un placido lago a Pergusa, presso Enna.
Non lo sentì nemmeno arrivare, era intenta a godersi la giornata e a ridere e scherzare, cantare. Ad un certo punto però avvertì il silenzio intorno a sé: le compagne erano scomparse, il resto della campagna sembrava essersi bloccato in una fissità artificiale, soffiava ancora il vento? Le sembrava di no.
Finalmente si accorse del carro, dei cavalli scalpitanti e dello scuro cocchiere.vergina-ege-macedonia-tomba-di-persefone-il-volto-di-ade-dettaglio
Era molto alto, accigliato. I capelli scuri, folti, e la barba avvolta in riccioli scomposti, di un colore blu-violaceo. Kore si incantò per un attimo a guardarli, i riccioli. E lui la prese.

Affresco da Verghina

Affresco da Verghina

La giovane sposa si trova bene, non può lamentarsi. Ma è giovane e curiosa e il marito decide di impedirle di sbirciare tra le sue cose: le consegna un mazzo di chiavi, per gestire la casa quando lui dovesse assentarsi per lavoro. C’è solo una condizione: una stanza non può essere aperta. Non viene forse neanche resa esplicita la minaccia, basti sapere che aprirla è proibito, le conseguenze saranno terribili.
La ragazza è spaventata ma ovviamente obbedisce. Appena il marito si allontana, tuttavia, la curiosità prevale e la ragazza apre la porta proibita: di fronte a lei appare il segreto indicibile, le mogli precedenti, tante, che erano state brutalmente uccise e occultate nella stanza.

Proserpina - Dante Gabriel Rossetti 1874

Proserpina – Dante Gabriel Rossetti 1874

Kore non sapeva bene dove si trovasse: tutto intorno era buio, eccetto per qualche torcia che illuminava debolmente lunghi corridoi. Il rapitore misterioso le spiegò che gli uomini lo chiamavano Ade, ma anche Pluto: la sua ricchezza, come indicava questo nome meno usato, consisteva nella fertilità della terra, perché lui risiedeva sotto, la terra.
Ecco quindi spiegata l’oscurità. Eppure Kore riuscì ad aprire un lontano cancello e si ritrovò in un giardino, con alberi da frutto. Riconobbe qualcosa di noto e si rilassò un poco. Le mancava la madre, ma in quel luogo distante non si rendeva conto del passare del tempo… in fondo erano trascorse poche ore da quell’incontro lungo il lago (o erano mesi?). Giunta di fronte a un melograno decise di spaccarne un frutto e cibarsi del rosso nettare.

La fanciulla non voleva toccare quei corpi straziati, ma la chiave le cadde di mano e si macchiò di un sangue rosso rubino. Fuggendo a perdifiato la giovane chiuse velocemente di nuovo la porta a chiave e così si accorse che la macchia non se ne andava. BarbebleueFu questione di un attimo: appena rientrato, Barbablù capì tutto e decise di ucciderla. Le concesse pochi minuti per l’ultima preghiera… la ragazza fu svelta, riuscì a chiedere aiuto alla sorella e ai fratelli e insieme uccisero il crudele marito. Erede di una ingente fortuna, la ragazza non ebbe difficoltà a trovare un nuovo consorte.

Kore capì che qualcuno la stava cercando: le urla si levavano altissime, Ade era fuori di sé dalla rabbia. Demetra reclamava la figlia! Ancora che giocava alla “Dea Madre“.. non aveva capito che le regole erano cambiate? Un rapimento matrimoniale, in piena regola, in che lingua doveva spiegarlo? Zeus cercava di farlo ragionare e alla fine arrivarono a un compromesso: se la ragazza non aveva mangiato nulla dei frutti del regno di Ade, come le era stato detto, sarebbe stata libera di andarsene da sua madre. Kore giunse proprio in quel momento… le dita erano ancora macchiate, anche attorno alle labbra aveva un alone rosso..e poi c’era la metà del frutto, che stringeva nella mano sinistra.
Ade la guardò con un ghigno: la nipote aveva disobbedito, ma ciò tornava a suo favore. Zeus scosse la testa e si preparò alla furia di Demetra.

FredericLeighton-The Return of Perspephone 1891

Frederic Leighton-The Return of Perspephone 1891

Fu Persefone a presentarsi alla madre, il giorno successivo: era passato quasi un anno dalla sua scomparsa. Il mondo aveva rischiato l’estinzione, gli uomini avevano patito la fame. Kore/Persefone aveva sfiorato la morte, aveva vissuto con il dio della morte, ne aveva assaggiato i dolci frutti.

Demetra sembrava invecchiata di dieci anni. La madre e la figlia avrebbero vissuto separate per sei mesi, gli altri sei li avrebbero invece trascorsi insieme.

Andate a vedere quel volto dalla barba bluastra e cercate negli occhi muti un frammento di eternità

https://www.facebook.com/events/993504324032846/

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“La Sicilia è fimmina”

Locandina-documentario-Tà-gynaikeia.-Cose-di-donne-1Era febbraio, ho visto il trailer di un documentario, o forse era un film, per me si trattava di una mano che si allungava verso il mio petto, ne estraeva il cuore e lo lasciava lì, palpitante e sanguinolento, di fronte a tutti.
Per un attimo ho sentito le lacrime affiorare agli occhi, poi ho ricordato di trovarmi in mezzo a molte persone, le ho deglutite e ho semplicemente battuto le mani, quasi a scacciare con il suono quell’umido troppo intimo per poterlo condividere con estranei.

Era “Cose di donne”, un film breve presentato lo scorso autunno alla rassegna di cinema archeologico di Rovereto e premiato con la coccarda degli archeoblogger. A tourismA, in febbraio al Palazzo dei Congressi di Firenze, veniva presentato al pubblico appassionato di archeologia, ma era già stato offerto in visione in alcune sale sicule.

-cose-di-donne-donne-sicilianeHo avuto la fortuna di conoscere la sceneggiatrice e il regista, e ho subito trovato una sintonia particolare con Alessandra Cilio e Lorenzo Daniele: complice una cena toscana, ci siamo ritrovati a scambiarci conoscenze siciliane e sogni archeologici, ma non solo.

Io e la Sicilia ci siamo incontrati molti anni fa, all’ombra di una colonna del tempio G di Selinunte, e da allora non ci siamo più lasciate. Ho avuto la ventura di conoscere alcuni abitanti sparsi, e poi di fidanzarmi con un figlio di Palermo e frequentare la trinacria per 8 anni. Poi è stato il turno del versante orientale, che ormai da 5 anni mi cattura ogni estate, per quello che io chiamo lavoro, ma in realtà è solo una faccia del mio essere più profondo.
E poi questo film che nasconde in un titolo bilingue (Ta Gynaikeia è la formula greca che Trinacriaesprime le “cose di donne”) una profondità rara da trovare in 50 minuti di racconto per immagini e suoni. Se l’idea iniziale era quella di raccontare la contiguità tra antico e moderno nelle opere e nei volti delle donne sicule, beh, il risultato finale è andato – secondo me – ben oltre.
Io non posso qui dilungarmi troppo, perché il fine di questo post è di spingere quante più persone possibili ad andare a vedere “Cose di donne” il 13 e il 14 maggio a Pisa.
Quindi non vi spiegherò quanto è rassicurante ascoltare i racconti che emergono dalle rughe sorridenti di due signore, che parlano di guerra e di cura dei bambini handicappati; non mi dilungherò a elogiare la forza di una giovane imprenditrice che un giorno ha deciso di entrare nel mondo (maschile) dei produttori di vino; tralascerò la facile emozione suscitata da una fotografa, una scrittrice e un’attrice note al grande pubblico, non solo italiano; non mi lascerò commuovere dalla tenacia di una ricercatrice che dall’Inghilterra guarda con amore sconfinato il Paese che ha dovuto abbandonare, per studiarlo meglio.

La kourotrophos di Megara Hiblea

La kourotrophos di Megara Hiblea

Preferisco farvi riflettere su una figura di donna che compare, scompare e riappare in più punti dell’isola: è una dea, che si sdoppia nella figlia, una dea madre, ma che non rinuncia alla propria femminilità. Una dea vendicativa, se privata della figlia, ma che decide di rivelare agli uomini il segreto della panificazione. Questa dea è Demetra, con la figlia Kore. Il suo culto è il sale di questa terra sicula: lo si trova nei luoghi più improbabili, rupestre oppure irregimentato in un santuario urbano.
Perfino la statua celebrata perché ritornata

17/05/2011 Enna. Museo archeologico di Aidone. Il ritorno della Venere o Dea di Morgantina. Nella foto una visione della antica scultura nell'ambito della sua prima esposizione pubblica.

Enna. Museo archeologico di Aidone. Il ritorno della Venere o Dea di Morgantina. Nella foto una visione della antica scultura nell’ambito della sua prima esposizione pubblica.

alla base dopo un rapimento americano, la cosiddetta Venere di Morgantina, per molti sarebbe una Demetra. Perché solo in una terra come la Sicilia la donna è madre ma anche terribilmente sensuale, e si arricchisce a ogni passo, ogni peso, ogni dolore.
Le immagini ci presentano statue, statuette e vasi, nel tentativo di dare loro vita. Il soffio che le anima è quello dei Cordasicula, musicisti che sottolineano la continuità tra passato e presente con canzoni che sembrano provenire dagli anfratti fertili della terra di Sicilia.

 

I Cordasicula

I Cordasicula

Alle scelte “archeologiche” si alternano scene di un passato moderno: quella superstizione religiosa che, di nuovo, ha come principali attrici delle donne, sante. Rosalia, Agata e soprattutto Lucia, ma anche la Madonna di Betlemme di Bitalemi: non sono solo un riferimento al culto femminile, ma occasioni per celebrazioni quasi “di genere”.

Alma Tadema On the road to the temple of Ceres 1879

Alma Tadema
On the road to the temple of Ceres
1879

I riferimenti culturali giungono perciò fino alle Tesmoforie, di nuovo feste per Demetra, ma celebrate da donne-che-non-hanno-bisogno-degli-uomini.
Altro filo rosso è certamente il matrimonio: gabbia eppure luogo di potere femminile, definito da un velo, che esclude il mondo esterno e racchiude il ricco mondo interiore delle donne per bene.

Non perdete l’occasione di appassionarvi intensamente di una terra e della (nostra) Storia.

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