“Chi bussa, in nome di Belzebù?”

È il primo di gennaio del Duemilaediciassette.
L’aria fresca, il cielo terso, inducono a una passeggiata: tra un paio d’ore lascerò Edimburgo, fisicamente; ma l’atmosfera di una città di guerrieri mi rimarrà dentro a lungo e sarà la molla che mi spingerà a tornare.

Ultimo giro ai piedi della rocca, in quell’avvallamento che è stato un tempo acquitrino e che oggi ospita i binari della ferrovia, qualche giostra e poi l’enorme chiesa di San Cutberto, e il suo cimitero.
I rami compongono una scura cornice attorno alle ultime istantanee, atte a imprimermi meglio nella memoria la silhouette che si staglia sopra la rocca.
Scendo le scale e mi aggiro per il cimitero della chiesa, un luogo al di fuori del tempo, che sembra aprire una porta verso gotici romanzi ottocenteschi.

 

Un cartello avverte la presenza di almeno due figure di importanza scientifica e letteraria internazionale: l’inventore del “logaritmo” e lo scrittore Thomas de Quincey.

Un fumatore di oppio, Thomas, che ha pensato di affrontare una sorta di terapia personale elaborando la propria dipendenza in un romanzo autobiografico: Memorie di un fumatore di oppio, appunto. E bisogna aspettarsi memorie non troppo lucide, ma forse realtà distorta attraverso i fumi di questa affascinante droga.
Nato non distante da Manchester, ma sepolto a Edimburgo.
Thomas ha scritto numerosi saggi sulla morte, altrettanti articoli di critica letteraria, e alcuni pamphlet.

Continuo a girovagare tra le lapidi umide di muschio, calpestando un terriccio morbido, torba compatta fatta di foglie macerate dall’acqua della notte precedente.
I nomi sono poco leggibili, quel che conta sono gli scorci: attraverso le sagome rettangolari di pietra grigio-blu, si vede il castello, si distinguono le finestre, chiaramente. Ci si immagina un profilo di chi si ostina ancora a non lasciare questa terra, vagare al lume di candele settecentesche, nei piani alti delle torri di guardia.

La Scozia, perciò Macbeth: il Lord che volle farsi Re, aiutando il destino svelato da tre streghe, ma senza poter evitare la profezia finale, che lo condannava a una gloria effimera, velocemente spezzata dai colpi della giustizia. Il castello di Edimburgo evoca anche lui, forse proprio lui. Macbeth e Duncan, il re di Scozia, sacrificato all’avidità di Macbeth e di sua moglie.
Anche de Quincey conosce la tragedia scespiriana, e scrive un saggio.

Aggirandosi per il cimitero di San Cutberto possiamo forse immaginare la voce stessa dell’autore che ci illustra il suo punto di vista. Indicandoci, innanzitutto, il castello e il suo cancello.
La teoria di de Quincey è semplice: nel leggere Macbeth, fin da ragazzo, lo scrittore è sempre stato colpito da una specifica scena. Quella dell’arrivo di McDuff: almeno 20 versi impiega il guardiano delle porte del castello di Macbeth, prima di giungere ad aprirle, e nel frattempo la didascalia del testo teatrale ci dice che stanno bussando. “toc toc” il guardiano si lamenta, troppa gente che va e che viene. “CHI BUSSA, PER BELZEBU?!!

Shakespeare ha appena finito di descrivere l’assassinio efferato e tra solo poche decine di versi Macbeth entrerà nella stanza di Duncan e lo “troverà” morto, fingendo sopresa e uccidendo i servi del Re. Ma Thomas de Quincey rimane scioccato dal suono rimbombante e insistente al portone.

La spiegazione è tanto semplice quanto profonda: avete presente quando in un testo viene descritto uno svenimento? Qual è il momento di emozione più intensa? Non quando la dama sviene, ma quando leggiamo del sospiro che emette nel momento in cui rinviene. Così come in altre circostanze tragiche, il lettore non può concepire fino in fondo il gesto estremo (di un omicidio, di un suicidio), non può immedesimarsi con un omicida, ma trasalisce insieme ai protagonisti non appena la sospensione del tempo dell’assassinio viene spezzata dal ritorno alla realtà.

McDuff che bussa alle porte ci dice che quel che abbiamo letto è accaduto davvero. La morte è davvero stata somministrata, ora Macbeth dovrà fare del suo meglio per celare il suo ruolo, ma quella parentesi di follia si è chiusa: qualcuno bussa, lasciamo che entri e faccia continuare la concatenazione di eventi, scatenata da Macbeth e dalla consorte.

Mi ha fatto tornare in mente un interessante escamotage, adottato anche dai Greci: il resoconto dell’araldo. Nella fattispecie il resoconto dell’assassinio di Agamennone, nella tragedia omonima di Eschilo. Il compito dell’araldo è quello di descrivere minuziosamente l’agguato di Egisto e Clitemnestra. Certo, era impossibile pensare di rappresentare un omicidio sul palcoscenico, ma questa scelta obbligata del racconto di un terzo, in realtà crea ancora più pathos, perché non permette di fuggire dalla realtà degli eventi così orrendi.

Concludo il mio giro tra le tombe di San Cutberto: la luce smussa gli angoli vivi delle lapidi, mentre l’odore del muschio si mescola a quello delle foglie macerate e ad una leggera brezza di cenere, residuo delle celebrazioni della sera prima.
L’eco dei colpi che McDuff vibra al portone di bronzo e legno, risuona nella valle sottostante il castello e mi richiama alla realtà: le due ore sono passate, è tempo di salire sul treno e lasciare Edimburgo.

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Liebster Award 2016/2017, what else?

Piccolo momento autocelebrativo: sono stata nominata nella catena virtuosa dei Liebster Awards!
La mentore per eccellenza di questo blog, colei che mi ha aiutato a livello tecnico (e ancora lo fa!) e mi ha spronato a livello emotivo, mi ha inserito in un gioco interessante che permette di presentare meglio il progetto alle spalle del blog. Presentare non tanto al pubblico, ma proprio a me stessa!! Son passati 6 anni: ma che stai facendo con precisione??!

La mentore è titolare del blog “Reporter in viaggio” e, come da tradizione dei Liebster Awards (qui potete leggere di cosa si tratta) mi ha rivolto 10 domande cui mi accingo a rispondere!

1. Cosa rappresenta per te il viaggio?
Il viaggio è un’esperienza inevitabile. Se rimango a casa per più di un mese, comincio ad avere la smania, anche solo di un weekend fuori. Il viaggio mi fa sentire viva, mi fornisce una motivazione.
Al punto che, se forzata a rimanere ferma a lungo, deciso di organizzarmi viaggi sui generis, ad esempio andando a una mostra, leggendo un libro, insomma immergendomi in un’esperienza, qualunque sia, che mi ricrei le stesse caratteristiche di scoperta del viaggio.
2. Quali sono i tuoi libri di viaggio preferiti?
Il primo che mi viene in mente è Tiziano Terzani, Un indovino mi disse. Perché mi fu regalato quando fuggivo da ogni tipo di aereo (!) ed è un racconto splendido, che fa venire voglia di mettersi in marcia.
Di Terzani mi è piaciuto molto anche Buonanotte signor Lenin, un altro importantissimo viaggio alla scoperta delle Repubbliche Socialiste ex Sovietiche.
3. Qual’è il viaggio più bello di cui hai ricordo?
Mi verrebbe da rispondere: quello appena finito 🙂
In realtà penso spesso a un viaggio fatto ad Amsterdam nel 2007, una vera scoperta, una città quasi magica.
Tuttavia, devo ammettere che non ho così tante esperienze di viaggio: mi sono mossa per lo più nelle stesse aree.
Forse il viaggio più bello deve ancora arrivare?
4. In quale città del mondo ti piacerebbe vivere e perchè?
Beh, no, a questa domanda non posso rispondere, perché ho viaggiato troppo poco. Diciamo che, tra le città che conosco, Chanià (a Creta) ha la palma d’oro, per bellezza e vivibilità.. e poi è a Creta! Viaggiando, mi rendo conto che Firenze, per quanto complicatissima, ti vizia, ti mette in condizione di cercare una simile situazione di città a misura d’uomo, e tuttavia ottimamente collegata con l’esterno. Tra le città che conosco, molto poche rispondono a tali parametri.
5. Qual’è il luogo visitato che ti ha stupito di più (nel bene o nel male)
Ommamma .. di più? Sono appena rientrata da Londra e devo dire che la enorme carica di storia che trasuda dalle pietre di quella città non me la aspettavo! Non che non sapessi della storia di Londra, ma non pensavo che potesse essere così direttamente percepibile.
Forse, però, la città che mi ha più sconcertato (a oggi) è stata Praga: ci sono andata aspettandomi un’atmosfera quasi medievale, al più secentesca.. e mi sono ritrovata in un luogo completamente snaturato dal turismo!
6. Hai mai fatto un viaggio da sola/o?
Sì sì, se voglio viaggiare … io vado!
7. L’attuale situazione internazionale e il rischio terrorismo influiscono sulle tue scelte di viaggio?
Direi proprio di no. Ma qui è proprio perché sono un po’ incosciente.
Ora, io vorrei vedere Petra… perché non vado? non per una questione di rischio in sé, ma perché – a causa della situazione internazionale – è più difficile farvi un viaggio “alla mia maniera”, cioè con poca ingerenza da parte di agenzie di viaggio. Quindi la risposta è in realtà sì, l’influenza è economica, essenzialmente.
8. Come documenti i tuoi viaggi?
Fotografie, fotografie, fotografie. Spesso mi capita di fermarmi a prendere un té, un caffé, e scrivere appunti, per fermare alcune emozioni. Un tempo scrivevo lunghissimi diari, oggi molto meno, in effetti. Perché, alla prima occasione, scrivo un post! Ecco, una cosa che forse dovrei cambiare è il fatto di portarmi dietro il computer portatile, eppure lo uso come mezzo di comunicazione perché.. inutile nascondermelo … ogni volta che viaggio, ho la sensazione che non tornerò più indietro…
9. Il souvenir di un viaggio a cui sei più affezionata?
Un cavallo di pezza che nitrisce e un pupazzetto di bue che, premuto, riproduce il suono dell’OLE’, comprati ad Arles… lo so, sono pupazzi.. ma son fatta così!
10. Qual’è la tua prossima meta?
Non ne ho idea.
Il viaggio appena trascorso mi ha lasciato la voglia di esplorare meglio la Gran Bretagna e ho appena scoperto che due miei amici saranno a Oxford da aprile per 6 mesi… quindi.. chissà

Ora arriva il momento delle nomine fatte dalla sottoscritta…eh, beh, ho un po’ di difficoltà perché son pochi i blog che seguo assiduamente e spesso i loro interessi sono molto variegati, perciò è difficile scegliere domande da porre!
In ogni caso ne sceglierò 5 (sono sicura che la mia mentore non me ne vorrà) e quindi 5 saranno le domande cui, se vorranno, potranno rispondere.

Nadia Pasqual
Nati sotto Mercurio
ArcheoPop
Professione Archeologo
Il nuovo mondo di Galatea

Ed ecco le domande:
1) Divulgazione e comunicazione: esiste una differenza sensibile tra questi due termini, soprattutto in relazione ai contenuti del tuo blog?
2) In base a quali parametri scegli l’argomento dei tuoi post?
3) Un post che vorresti scrivere
4) Il post che ti ha impegnato di più in termini di ricerca e studio
5) Quale social preferisci usare?

Ringrazio ancora Reporter in Viaggio per la simpatia e la fiducia dimostratemi e auguro a tutti i blogger un anno pieno di .. idee!

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Flash Mob a Westminster

Metti un pomeriggio a Londra e una visita “in extremis” all’Abbazia di Westminster.

A Firenze amiamo dire che Santa Croce è il pantheon degli Italiani, perché la chiesa è celebre (e celebrata) non tanto per i divertimenti di Giotto o per un Donatello, artista “annunciato”, quanto per i sepolcri dei più importanti artisti, scienziati, musicisti, ecc. del genio italiano.

Poi si arriva a Westminster, e la sensazione è decisamente simile. Con la differenza che qui – a Londra – le foto sono assolutamente proibite.
Ciò che è concesso è camminare in silenzio perché impegnati ad ascoltare l’audioguida d’ordinanza, che in brevi ma illuminanti parole ripercorre la storia della città, forse dell’Inghilterra intera, dal momento che deve illustrare le decine, anzi centinaia, di tombe di famiglie reali, politici, poeti, artisti, scienziati, esploratori, letterati, ecc.ecc.

Io ho scelto di non prendere l’audioguida (ma la prossima volta lo farò di certo), e lasciarmi trasportare dalla curiosità e dallo spirito di osservazione. Così mi è capitato di imbattermi nella lapide di Darwin, in quella di Livingstone!! (ehm, ovviamente non il gabbiano…) e di scrutare ogni minimo anfratto, con l’eccitazione di un’Alice nel Wonderland un poco macabro di quella selva di sepolcri.
Intorno a me, decine di persone, attaccate all’audioguida, vagavano composte seguendo i ritmi della spiegazione registrata. Sembravano tanti Paolo e Francesca, portati via da un vento di parole, in un girone dantesco.

Mi sono subito diretta nell'”angolo dei poeti“, vale a dire quel ritaglio di transetto dove si sono ritrovate, in una sorta di circolo (oltre)mondano, le menti più brillanti del firmamento letterario inglese. Mi ha decisamente commosso intravedere la piccola lapide di Jane Austen tra la statua di Wordsworth e il monumento a Shakespeare. Ma sono rimasta anche colpita da Laurence Olivier, un grandioso Antonio (tra gli altri), che giace – è il caso di dirlo – ai piedi del Bardo.
Margot Fonteyn, che tanto mi ha fatto sognare da bambina, non me l’aspettavo proprio. E poi la sensibilità di porre Dickens e Kipling l’uno accanto all’altro!

Sono sicura che se mi capitasse di fare un corso anche piccolo di letteratura inglese, cercherei di organizzare una lezione qui, a Westminster, perché è davvero un compendio eccezionale…e tanti altri potrei citare .. non ultimo Lord Byron, of course!

Finito il momento di contemplazione letteraria, sono tornata nella bolgia, per completare il giro attorno all’abside e nelle cappelle adiacenti.
La sensazione principale che mi ha assalito, mentre mi incuneavo tra i monumenti di pietra e gli stretti ambulacri lasciati per agevolare il passaggio, è stata quella di “ingombro“: quelle tombe sono ingombranti. La pietra con cui sono fatti i sepolcri e le figure che spesso ritraggono vestito di tutto punto il defunto, rappresentato sdraiato a mani giunte e, con un tocco davvero lugubre, a occhi aperti, non ispirano armonia e arte, ma pesantezza e impaccio!
Curioso che i “residenti” siano tutti membri di famiglie reali e nobili, sembra proprio che anche dopo morti non abbiano rinunciato a marcare la loro presenza.

Ma tutto questo “ingombro”, tutto questo volume e la presenza di una massa in perpetuo movimento nella chiesa stracolma di…mobili, mi hanno spinto a una riflessione, da non religiosa quale io sono: è possibile avvertire lo spirito religioso in un luogo come Westminster?

Proprio mentre facevo questa riflessione, è accaduta una cosa secondo me bellissima.
Una voce di vecchino gentile si è diffusa da un punto imprecisato sopra le nostre teste. Con fare pacato ci ha salutato e ci ha chiesto di fermarci, un attimo, lì fermi in piedi dove ci trovavamo.
Ha continuato dicendo che, per quanto felice di vedere tanti interessati all’Abbazia, doveva ricordarci che quello era nato come luogo di preghiera. Perciò ci ha invitato a unirci a lui in un rituale vecchio di secoli: una preghiera a Dio. In poche parole (il tutto sarà durato un paio di minuti al massimo) ha ringraziato Dio per ciò che ci concedeva, gli ha ovviamente chiesto di continuare così.
Quindi, dopo averci ringraziato, ci ha detto di riprendere pure la nostra visita.

Un effetto davvero eccezionale: per un paio di minuti il vortice si è fermato, quindi è ripartito (ovviamente qualcuno se ne è fregato, accanto a me, manco a farlo apposta, un paio di gruppi di italiani hanno “approfittato” per sguisciare meglio tra i turisti).

E io non ho potuto fare a meno di pensare che…era giusto così. Non si può pretendere che quello sia un luogo di preghiera, come una piccola chiesetta di campagna. Ma la tecnica utilizzata ha avuto un effetto benefico e interessante. Mi chiedo se non possa essere applicata anche in Italia e mi viene in mente un posto in particolare..
… la CAPPELLA SISTINA! Dove scorbutici “assistenti di sala” urlano SILENZIO! ogni poco, a visitatori spauriti e stanchi, alla fine di un tour de force attraverso i Musei Vaticani.
Pensiamo a come sarebbe bello se, invece di SILENZIO, si suggerisse un momento di raccoglimento.

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Nei secoli, fedeli

Il motto dell’Arma dei Carabinieri sembra concepito ad hoc per definire la missione di uno dei suoi Comandi più prestigiosi: la Tutela del Patrimonio Culturale.
Costituita il 3 maggio del 1969, tale sezione dell’Arma è stata la prima nel mondo a destinare forze investigative pubbliche per tutelare la salvaguardia dei beni culturali di una nazione e per perseguire, spesso con rogatorie internazionali, i trafficanti di opere d’arte.
I successi del Comando Tutela si sono moltiplicati, anno dopo anno. Indizio, ahimé, di un problema serio e di ampio respiro, quello del mercato illecito di opere d’arte, ma anche della tenacia e della capacità, nonché della lungimiranza di chi è addestrato a difendere l’identità di una nazione.

La Triade Capitolina. Simbolo di Roma, ma che rischiava di rimanere ignoto, perché recuperato da tombaroli e subito immesso sul mercato d’arte svizzero. Per fortuna il Comando Tutela vigilava.

Prima di ogni iniziativa volta a “fidelizzare” il cittadino-cliente nei confronti del bene comune; prima di ogni retorica che ha cercato di suscitare un senso di responsabilità, se non di appartenenza, culturale; prima di ogni evento che “socializza” la fruizione di luoghi della cultura; il Comando Tutela del Patrimonio ha saputo convertire forze di investigazione in veri e propri archeologi del crimine internazionale.
Ho avuto la fortuna di assistere ad alcune lezioni del generale Roberto Conforti, figura storica che ha guidato il Comando Tutela in molte, appassionanti battaglie: ricordo la semplicità e la passione con cui ci spiegava il ruolo del Comando e il rapporto complicato con i musei di mezzo mondo (come il Getty, dove, informati dell’arrivo del generale, sparivano temporaneamente dalle vetrine i pezzi più “scottanti”).

In questi giorni a Firenze è in mostra una selezione di alcuni degli oggetti recuperati in anni di attività del Comando Tutela del Patrimonio; la “Tutela Tricolore” è visibile nella nuova sezione di mostre temporanee degli Uffizi, è ad accesso gratuito e rimarrà allestita fino a metà febbraio.

Bartolomeo Manfredi (1582-1622) – Concerto

Il percorso, in realtà, non riguarda la sola attività dei Carabinieri, ma è piuttosto un viaggio attraverso i tanti attacchi che il nostro patrimonio culturale ha subito nei decenni, e per i quali si sono mobilitate le forze dell’ordine.
Il primo impatto è, a dir poco, devastante: una tela di grandi dimensioni, completamente sfregiata… si tratta di un quadro rimasto tremendamente rovinato dalla strage di Stato di via dei Georgofili, il 27 maggio 1993.
Un messaggio chiaro per chi entra in mostra, gli attentati ai Beni Culturali lasciano ferite difficili da rimarginare, a volte impossibili, come testimonia bene la riproduzione fotografica di un altro dipinto andato distrutto, e i frammenti di altre tele, briciole non più ricomponibili.

Rodolfo Siviero con il quadro di Bronzino “Pigmalione e Galatea”

Forse seguendo il filo rosso di una “guerra all’arte”, la sezione successiva è dedicata alla figura di Rodolfo Siviero. Noto come “l’agente segreto delle opere d’arte”, Siviero, figlio di carabiniere, divenne celebre per la tenacia con cui decise di recuperare le numerose opere trafugate dai nazisti durante il secondo conflitto mondiale. In mostra possiamo ammirare alcuni dei suoi più celebri recuperi e così accedere al livello più profondo della Tutela Tricolore.

Particolare del quadro “Pigmalione e Galatea”, in mostra. Non sembra un personaggio Disney, pronto a prendere vita come i Gargoyles di Notre Dame?

 

 

 

 

 

Perché, in effetti, quel che ci viene proposto non è un percorso storico-artistico, o meglio, è anche questo, ma ogni opera esposta è presentata attraverso le peripezie che l’hanno fatta ritrovare, strappata alle grinfie dei più smaliziati trafficanti, tolta agli ambienti asettici di qualche caveau, ripristinata alle sale frequentate e pubbliche di musei importanti.

Un Masaccio recuperato da Siviero

Così, seguendo i successi di Siviero, veniamo trasportati negli anni della guerra, quando l’UNESCO stava per fare la sua comparsa e nel frattempo i Nazisti si sentivano padroni di uomini, donne, bambini e “suppellettili” di pregio, e venivano scambiati per amanti dell’arte…

Risale a quegli anni la prassi di tagliare l’oggetto

Un quadro trafugato dai Nazisti nel 1943 in un comando dei Carabinieri, e ritrovato solo in parte.

 

 

 

 

trafugato, per poterlo trasportare meglio, o per farlo arrivare più velocemente e in sicurezza sul mercato.

La terza sezione si apre con alcuni oggetti che meriterebbero una mostra a sé. Si tratta della grande opera di investigazione che si originò da un fortuito controllo in autostrada! Venne fermata l’auto di un uomo, Giacomo Medici, il quale si rivelò essere un trafficante d’arte a capo di una rete molto estesa di acquisizioni indebite e illecite compravendite. Come nei più classici dei film dell’orrore, il trafficante “seriale” aveva nel portabagagli una quantità spaventosa di polaroid che ritraevano vasi, statue, quadri. Spesso interi, spesso in frammenti (per la ragione pratica esposta sopra).

Dalle indagini emerse un traffico internazionale che aveva in Svizzera il centro di smistamento (grazie soprattutto alle maglie molto larghe nella legislazione locale) e nei principali musei del mondo gli acquirenti più prestigiosi. I frutti di questo scandalo li godiamo ancora oggi, si chiamano “Nostoi”, “Venere di Morgantina” ecc.ecc.

Ma, senza dilungarmi sulla Medici Conspiracy (vd. libro pubblicato), vorrei sottolineare il pregio degli oggetti esposti in mostra: da Vibia Sabina, strappata alla placida residenza di Tivoli, all’hydria del Pittore di Micali, caposaldo dei corsi di archeologia e di mitologia greca, con la celebre immagine dei pirati tramutati in delfini (chissà che non sia un desiderio recondito dei nostri difensori dell’Arma!).

 

 

 

 

Un cratere mi ha colpito più degli altri: si tratta dell’opera del pittore Assteas, come dice l’iscrizione, che ha ritratto il ratto di Europa.

Il mito fondante del nostro continente, ricco di messaggi e interpretato in mille modi già in età antica. Assteas decide di ritrarre la personificazione di Creta, tra le divinità che assistono al ratto, prefigurando la fine della folle corsa del toro/Zeus; inoltre, a suggellare l’unione di Europa e del suo rapitore, il pittore mette “Pothos“, il desiderio, una divinità forse più sensuale di Eros, sicuramente meno comune.

Si passa quindi a una sala in cui i reperti sono solo riprodotti, perché il vero protagonista è un video delle teche Rai: si documenta il rientro di tre importanti dipinti rubati ad Urbino nel febbraio del 1975 e recuperati dai Carabinieri nel marzo del 1976. La partecipazione della cittadinanza è quasi commovente e scalda il cuore, ma segna anche una tremenda distanza con l’epoca odierna. Io ho visitato la mostra proprio nel giorno della conferenza stampa per il recupero dei quadri di Castelvecchio, quelli finiti in Ucraina: le poche decine di tweet, a commento dell’evento, stridevano a confronto del bagno di folla dei cittadini urbinati, raccontato prontamente dalla televisione di Stato.

A questo punto, anche per non rovinare la visita che raccomando caldamente, sorvolerò su alcune sezioni e darò conto dell’ultima vetrina esposta.

Si tratta di una collezione di gioielli, rubata a Villa Giulia nel 2013. Non è solo l’efferatezza del furto a colpire (fumogeni, vetrine fracassate), ma l’individuazione di chi ha commissionato il furto: “una facoltosa signora russa che desiderava possedere proprio quei gioielli“!

Psyche e Eros, oggi avrebbero scritto i loro nomi su di un lucchetto …

 

 

 

 

 

Devo ammettere che un poco mi è mancata, nella narrazione della mostra, la parte dedicata alla preparazione scientifica dei Carabinieri del Comando Tutela del Patrimonio: perché potrebbe sembrare che, soprattutto in alcune circostanze, i Carabinieri intervengano senza alcun supporto scientifico, archeologico o storico-artistico. D’altro canto è chiaro che il messaggio della mostra è un altro.

I curatori ci chiedono di riflettere sul danno che viene subito dall’intera collettività, ogniqualvolta un oggetto, grande o piccolo che sia, viene sottratto illegalmente. Se il semplice cittadino non se ne accorge, o decide che non sia un danno grave, c’è chi invece si prende l’incarico di vigilare, tutelare e recuperare.

Splendida phiale ellenistica, ritrovata nel 1980 a Caltavuturo (Palermo) ma trafugata e venduta sul mercato americano per 1milione e 200mila dollari. Nel 1999, grazie alla collaborazione con la polizia di New York, il Comando Tutela recupera la phiale. Ma quanto vale un oggetto come questo..?

Chi commercia in opere d’arte rubate non è un appassionato d’arte, ma solo una persona che vuole dimostrare un potere effimero, economico, con cui decide di schiacciare un diritto di tutti. L’identità di un popolo passa attraverso la sua cultura, dovrebbe essere interesse di ciascuno di noi il preservarla.

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