I castelli erranti del Salento

Tre giorni a zonzo nel Salento, a visitare siti archeologici, cattedrali, mostre e musei.
Una vera scorpacciata di sensazioni belle e stimolanti, in una realtà che sta diventando sempre più importante nel panorama delle offerte turistiche italiane. Per questo, il gruppetto di villeggianti contava blogger di chiara fama e giovani giornalisti, tutti con la passione per il racconto (e con i mezzi per far arrivare il racconto molto lontano!).
Quasi senza accorgercene, nei vari giri siamo sempre stati accolti in un castello! La Puglia salentina, bizantina e normanna ci ha fatto da quinta teatrale e questo, con il senno di poi, mi pare già un particolare interessante.

Il #castellovolante
Il nostro quartier generale è stato Corigliano d’Otranto, un piccolo gioiello che ho avuto la fortuna di conoscere l’anno scorso. La cittadina bianca e pulitissima, nasconde i suoi preziosi segreti nel dedalo di viuzze che circonda il castello. Le impressionanti torri circolari aiutano a datare la fase attuale del castello: il passaggio da pianta quadrangolare a circolare è infatti uno dei tanti segni dei cambiamenti dei castelli nel ‘500, per adattarsi ai cambiamenti dell’arte della guerra. Così, tra il 1514 e il 1519, Giovan Battista de’Monti decide di ampliare il castello e mette ogni torre sotto la protezione di un Santo (che poi viene rappresentato). Nel 1667 si data invece un rifacimento più “estetico”, in linea con i tempi barocchi: la balconata e le immagini allegoriche dell’ingresso.
Ma perché “volante”? Perché da qualche anno il castello è al centro della vita culturale di Corigliano d’Otranto e ospita numerose iniziative. Quella che abbiamo seguito è “Il Festival dell’Inutile”: costruito attorno al presupposto dell’utilità anche di ciò che viene ormai considerato superfluo. Serate di concerti, presentazioni di libri, dibattiti, ma su tutte – a mio avviso – spicca quella del 2 giugno, con la premiazione dei giovani coriglianesi e la consegna della Costituzione.

Il Castello di Gallipoli
La storia del Castello a Gallipoli è davvero esemplare: fondato nell’XI secolo, a fortificare un isolotto di importanza strategica, anche per lui il ‘500 è il secolo del cambiamento. Nel 1522 viene costruito il cosiddetto Rivellino, un contrafforte che si allunga in mare, staccandosi dal corpo del castello. Ah..se quelle mura potessero parlare! Al castello di Gallipoli sono arrivati personaggi come Corradino di Svevia, Roberto d’Angiò, pare anche che ci sia nato Giuseppe Ribera, pittore passato alla storia come Lo Spagnoletto.
Poi, nel 1870 la decisione sciagurata! L’accesso coperto da una struttura che doveva ospitare il mercato…!
E così, oggi, entrare nel castello è una doppia sorpresa: prima di tutto devi trovare l’accesso e poi l’espressione si cristallizza in uno stupore incuriosito.
La castellana che ci ha guidato nella scoperta del castello, l’architetto Raffaella Zizzari, con voce gentile e sguardo entusiasta, ci ha illustrato il lavoro fatto dalla Società Orione: dopo trent’anni, in cui il castello era diventato sede della Guardia di Finanza, che aveva coperto affreschi e lasciato nell’incuria il monumento, è stato possibile riaprire il castello alla comunità. Oltre ad allestire sale che illustrino la storia del castello, la Società Orione ha puntato sul contemporaneo: resta ancora visibile l’impronta dell’installazione di Michelangelo Pistoletto, il Terzo Paradiso, che nel 2015 ha contribuito al rilancio; mentre nella mostra temporanea #SelfatialCastello, troviamo le foto di Clelia Patella.

 

Il Castello di Castro
Un gioiello. Non c’è altro modo di definire Castro: una cittadina che ci abbraccia tra le strade pulite e i negozi incastonati nelle case bianche, che ti sorprendono con i loro ricami o con vasetti di sottolio dai colori sgargianti. Bambini che giocano a pallone di fronte ai bastioni del castello, donne dalle mani parlanti impegnate nel tombolo…e poi la piazza della Chiesa dell’Annunziata: un vero rompicapo stratigrafico, un esperimento da dottor Frankenstein, ma sapientemente musealizzato. Il tour del piccolo centro parte proprio dall’Annunziata e poi si allunga nel fazzoletto di terra, prospiciente il mare, che ha dato risultati strepitosi. Gli archeologi hanno infatti trovato i resti dell’insediamento messapico e probabilmente quel che resta di una statua di culto: un’Atena, che avrebbe poi dato il nome a Castrum Minervae, una volta conquistata dai Romani. Il castello, che è il protagonista di questo post, conserva le vestigia dei tanti popoli che sono passati da Castro: le ceramiche bizantine, le lucerne romane e infine l’ultima arrivata, la statua di Atena.
Dall’alto del castello il nostro sguardo raggiunge il tacco dello Stivale, e in un’ora blu tutta salentina ci guadagniamo qualche minuto di silenzio, per riflettere su tanta bellezza.

Il Castello di Carlo V, a Lecce
Ultima sosta in questa carrellata di castelli è quella leccese. Il nome con cui è passato alla storia già ci chiarisce che l’impostazione medievale fu ristrutturata tra il 1539 e il 1549. Dunque, anche per il castello di Lecce intravediamo lo stesso destino: una struttura del XII secolo che viene rielaborata nel XVI per poi cadere nell’oblio intorno al XIX. Nel 1983 l’Amministrazione Militare lo ha ceduto al Comune, che ne ha fatto un polo culturale per la città. Quest’anno, il castello ospita un evento di portata internazionale: la prima retrospettiva di Elliott Erwitt, una delle colonne dell’Agenzia fotografica Magnum. In mostra sono raccolti gli scatti che hanno fatto la Storia: dall’assassinio di Kennedy, all’icona americana Marilyn Monroe, dagli scatti di denuncia per la segregazione dei neri, ai ritratti del Che e di Castro (Fidel).

Altro che “i castelli della Loira”, l’itinerario dei Castelli del Salento riesce a coniugare la suggestione del secolo della guerra fortificata con le più innovative personalità del secolo breve.
L’organizzazione impeccabile di questo nostro tour è stata opera di CoolClub e Swapmuseum, a Castro siamo stati accolti dal sorriso e dalla professionalità di Annalisa Nastrini e della Giunta Comunale.
Questi sono solo degli assaggi, presto tornerò a parlare di Salento con tre post dedicati. Nel frattempo, potete cercare su Instagram, Twitter e Facebook questi hashtag: #WeareinPuglia #WeHostinPuglia #FestivalInutile #castellovolante

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All’arrembaggio!

Toscana, estate di fine anni ’90: una madre e una figlia si aggirano tra l’erba alta, in località Populonia, antica città etrusca. Intravedono qualcosa in prossimità della boscaglia, cercano di raggiungere il casotto di alcuni guardiani e lì scoprono di aver sfiorato l’incontro con un cinghiale! La figlia è da poco iscritta all’Università, facoltà di Scienze dell’Antichità, indirizzo storico-archeologico. La madre voleva ingannare il tempo, nell’attesa di andare il recuperare il figlio minore, che a Follonica sta facendo ripetizione di latino.

Toscana, aprile 2018: la figlia è cresciuta, archeologa free lance, si fa chiamare “La figlia del Corsaro Nero” e torna a Populonia per… invaderla!

Potrebbe cominciare così, come un lungometraggio di avventura e mistero la mia domenica a Populonia, al seguito delle #invasionidigitali.
Appena ho saputo che le invasioni avrebbero “occupato” l’Acropoli del Parco di Baratti e Populonia, ho deciso di lasciarmi coinvolgere: l’esperienza delle invasioni la seguo da qualche anno con crescente curiosità. Si tratta di una iniziativa pensata 6 anni fa da Fabrizio Todisco e Marianna Marcucci e che oggi vanta centinaia di eventi, in tutta Italia (e non solo!).

Si può “pianificare” un’invasione? Beh, sembra di sì: la si può proporre, oppure iscriversi e quindi presentarsi il giorno stabilito. Nel “kit dell’invasore” è presente l’immancabile mascherina di Space Invaders, che servirà a lasciare il marchio nelle foto della giornata. Dopodiché si parte… all’arrembaggio! E si visita il sito invaso pubblicando sui social media le immagini più significative, con i tag e gli hashtag più indicati, primo fra tutti #invasionidigitali.

A Populonia gli organizzatori erano il gruppo di @igersLivorno e ho avuto il piacere di conoscere l’esplosiva Debora Marovelli (su Instagram @deboramarovelli), piena di energia…che non guasta mai durante un’invasione.
Ma naturalmente l’iniziativa non potrebbe riuscire se non ci fosse… come dire… un “contatto” all’interno del luogo da invadere. Il nostro gruppetto ha avuto il piacere di seguire la guida esperta e gradevolissima di Francesco Ghizzani che, beh, è nientepopodimenochè il Presidente dei Parchi della Val di Cornia.

Francesco Ghizzani è il primo a sinistra: ci sta spiegando come si svolgerà l’invasione!

Un vero privilegio, quindi, e per questo ancora più apprezzato: Francesco ci ha condotto attraverso i resti dell’Acropoli di Populonia, illustrandoci i lavori fatti e quelli in programma, e poi ci ha guidato nelle sale del Museo Archeologico di Piombino.

Una giornata splendida ha fatto da cornice e devo dire che se avessi saputo prima che invadere era così bello, ci avrei costruito una carriera, altro che archeologa free lance!!

Aggirarsi tra la boscaglia è cosa facile per la figlia del Corsaro Nero, abituata a farsi largo nelle inospitali e rigogliose foreste caraibiche. La sua meta sono “le logge”, arcate monumentali, vestigia di un terrazzamento romano e rimaste per secoli a guardia dell’Acropoli. Addossati alle arcate, alcuni muretti a secco testimoniano del terrazzamento ottocentesco, che ha trasformato il luogo sacro in una celebre vigna.
Il lavoro degli archeologi ha oggi ripulito tutta l’area, fino a scoprire resti di una domus prestigiosa, a giudicare anche solo dai mosaici della zona termale.Si continua a salire, fino ad arrivare al belvedere…l’occhio spazia sul golfo di Baratti e intercetta il promontorio con la cittadella e il castello, oggi luogo privato (visitabile, ma noi siamo corsari… o si invade o nulla!).Alle spalle del belvedere, ecco il tesoro! La figlia è tornata a Populonia principalmente per lui: un mosaico, anzi una porzione di mosaico, che sembra racchiudere un significato segreto.

Quando nel 1972 è stato riconosciuto e salvato da un’asta inglese, il mosaico – la cui storia lo dice scoperto nel 1842, andato in frantumi, restaurato circa un secolo dopo e poi “perso” nei gorghi del mercato antiquario – ha suscitato subito grande scalpore.

Questa è l’immagine che si vede quando si ammira il mosaico. Il significato recondito si coglie solo capovolgendola.

La teoria più accreditata al momento, riconosce in due figure nell’angolo in basso a sinistra una scena di sapore sacro: una nave travolta dall’onda, i cui marinai si sbracciano verso la colomba di Venere Euploia, la dea invocata per avere una buona navigazione. Ma la scena è leggibile solo capovolgendo l’immagine.
In un’altra area dello stesso ambiente gli archeologi hanno trovato un mosaico ispirato al culto di Iside, la vera intestataria del titolo “Euploia”, e quindi ecco spiegate le strutture di questa parte dell’Acropoli: ci troviamo negli ambienti di un santuario dedicato a Venere/Iside Euploia.
Il mosaico è, a buon diritto, il protagonista non solo della visita all’Acropoli, ma anche di quella al museo archeologico a Piombino: pannelli e ricostruzioni audio e video permettono di appassionarsi alla vicenda antiquaria e di partecipare alle elucubrazioni. Ma devo ammettere che già solo la passeggiata tra gli alberi per raggiungere le strutture del supposto santuario è altamente suggestiva.

Al museo si può ammirare il mosaico con la ricostruzione proposta nel 1932. L’occhio attento, aiutato dai pannelli, coglie lo stile diverso e alcune imprecisioni.

Al Museo di Piombino la figlia del Corsaro Nero sente di trovarsi nel suo habitat naturale: ci sono vestigia di relitti affondati a poca distanza dalla costa. Le boccette con il collirio a base di carota e zinco sono il ricordo di un medico di bordo altamente coscienzioso, mentre l’anfora in argento ricorda alla figlia cosa l’ha spinta a prendere il mare in cerca di avventura!

Un’anfora interamente decorata con gli stampi di medaglioni: all’interno di ciascuno una divinità, o comunque una figura legata a qualche culto. Un pantheon che sembra ispirato da qualche sorta di esoterismo, di culto iniziatico: forse quello del ragazzo dal berretto frigio, presente sullo stretto collo dell’anfora (Attis? Mithra?).

L’esperienza della visita all’Acropoli di Populonia è stata decisamente entusiasmante. Dialogando con Francesco Ghizzani ho apprezzato ancora di più il grande lavoro di coordinamento che è dietro alla gestione dei Parchi della Val di Cornia: una realtà archeologica che propone visite complete e diversificate, “pacchetti” per famiglie oppure scolaresche, iniziative speciali disseminate lungo tutto l’anno.
Un ringraziamento speciale va a Marta Coccoluto, cara amica e brillante coordinatrice del Parco. che ha giustamente insistito perché rompessi gli indugi e mi aggregassi al gruppo di invasori.

Finita la visita, il porto di Piombino viene inghiottito da una nebbia improvvisa: la figlia è abituata ai repentini cambiamenti del tempo, eppure rimane incantata di fronte allo spettacolo della natura, che riprende i suoi spazi.
I suoni della boscaglia, le pietre del mosaico, le illusioni delle ricostruzioni, tutto viene assorbito lentamente dalle gocce di nebbia che si condensano attorno al molo. E’ giunto il momento di riprendere il mare e volgere le vele verso la prossima…invasione!

p.s. verificate le date delle prossime invasioni digitali: calendario 2018

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#NonsoloIndianaJones: Firenze Archeofilm

Mercoledì 14 marzo è cominciato a Firenze il primo Festival dedicato a film e documentari di tema archeologico e ambientale.
Firenze Archeofilm è alla sua prima edizione e sta riscuotendo un buon successo di pubblico.

L’archeologia e il cinema vivono da decenni un rapporto conflittuale, un amore-odio che ci ha regalato capolavori assoluti, ma anche colossali ciofeche! Perché il cinema chiede un sacrificio: la verità si inchina alla verosimiglianza, la normalità scompare di fronte alla meraviglia, la lentezza è cancellata dal ritmo incalzante!

Tutto giusto, tutto vero, in fondo andiamo al cinema per vivere le vite di altri, oppure per guardare la nostra stessa vita, ma con una distanza che ci aiuta a essere più oggettivi.
Eppure, il mondo del documentario archeologico è ricco, vario, vivissimo, soprattutto all’estero (!) Ecco perché in Italia continuano a essere poco noti i Festival e le Rassegne che presentano molti prodotti stranieri e alcuni italiani, di altissima qualità.

Cosa chiediamo a un film archeologico? Esattamente le stesse cose che ci fanno innamorare di attori, attrici, registi del mondo hollywoodiano o di Cinecittà! Ebbene, i film in concorso a Firenze sono chiaramente figli dei loro tempi, cercano di tradurre un’emozione personale (del ricercatore) in un brivido collettivo. E ci riescono quasi sempre…

I ragazzi di Let’s Dig Again hanno intervistato il Direttore Artistico, Dario di Blasi, e ne hanno ottenuto un commento che ripone grandi speranze nel pubblico fiorentino!

Oggi pomeriggio il programma è ancora molto ricco:
Roma, Cina, Palermo ed Egitto!

Ma io vi invito soprattutto a seguire il filmato di stasera, sulla Città Proibita di Pechino!

E poi l’appuntamento più atteso è domani, con il documentario di Folco Quilici, presentato dal figlio Brando.

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Archeofilm: l’archeologia al cinema

Una curiosa serie di eventi negli ultimi 12 mesi mi ha riavvicinato a un aspetto importante, ma poco sbandierato, della mia famiglia: l’amore per il cinema.
Mio zio Franco Berutti, uno dei fratelli di mio padre, è stato un apprezzato critico cinematografico per il Corriere della Sera, e ricordo ancora i pochi aneddoti condivisi… di pranzi con Orson Welles a Cannes, per esempio (!). Poco più di un anno fa ho avuto la possibilità di recuperare alcune foto di mio zio, scattate da lui nella sede del Corriere e in giro per il mondo, tra gli anni ’50 e ’70. Ogni tanto spuntano un Fellini, un Mastroianni, sceneggiatori, attrici… Ovviamente il prossimo progetto riguarda questo zio schivo, ma dalla mente aperta e brillante.

Licodia Eubea (CT)

Mentre ancora riflettevo su come rendere omaggio all’avo cinefilo, ecco che mi arriva l’invito a partecipare come giurata all’assegnazione del premio Archeoblogger, nell’ambito della Rassegna di Cinema Archeologico di Rovereto.
Entro così, quasi in punta di piedi, in un mondo che non conosco, e che mi affascina.
Comincio a comprendere gli orientamenti, a riconoscere gli stili, a distinguere i tipi di narrazione.
Trovo i miei preferiti e, ovviamente, anche i filoni che proprio mi annoiano!

Un paio di mesi dopo vengo chiamata come ospite alla Rassegna del Documentario e della comunicazione archeologica di Licodia Eubea.

Licodia Eubea (CT)

 

 

 

 

 

Un’esperienza entusiasmante! Non solo per il gruppo di lavoro, alcuni amici e molti nuovi amici (!), non solo per il luogo splendido, ma anche per l’opportunità di conoscere un paio dei registi dei filmati in programmazione. Ecco che la mia necessità di storica viene appagata: cosa fa scaturire la spinta a mettere in filmato una ricerca archeologica oppure a inoltrarsi in foreste inesplorate, per filmare popolazioni dagli usi così “cristallizzati” nel tempo dei millenni?

E non sapevo che queste tappe successive mi dovevano portare all’avventura delle ultime settimane: Firenze Archeofilm. Festival internazionale del cinema di archeologia, arte e ambiente.
Alla sua prima edizione, il Festival presenta 70 film spalmati in un ricco programma nel corso di 4 giornate.
A me un doppio onore/onere: la traduzione di una trentina di filmati e il coordinamento del Web Award!

Tradurre i film è stata un’avventura bellissima… mi sono sentita come il giovane protagonista di Nuovo Cinema Paradiso, ma il mio valore aggiunto era il tuffo in profondità nella vita di ogni filmato, grazie proprio all’incontro con il testo.

 

E poi il Web Award, un premio assegnato da chi comunica l’archeologia sul web.
Ho raccolto attorno a me 11 valorosi e così abbiamo formato una classica.. giuria popolare americana!
Insieme valuteremo 8 film, selezionati per poter eleggere quello che, più degli altri, avrà saputo coniugare tre aspetti: quello didattico, quello divulgativo e poi un aspetto che definirei più “sociale”, cioè la capacità di collegare il soggetto della ricerca al tessuto sociale in cui la ricerca prende corpo.

I miei compagni di viaggio hanno tutti un “pallino” che è quello della comunicazione della storia e dell’archeologia. Ognuno di loro condivide riflessioni e notizie sul proprio blog e su Twitter, nonché su Facebook.
Eccoli, in rigoroso ordine alfabetico:
Andrea Bellotti
Giovina Caldarola
Marta Coccoluto
Astrid D’Eredità
Antonia Falcone
Marina Lo Blundo
Mattia Mancini
Domenica Pate
Paola Romi
Michele Stefanile
Alessandro Tagliapietra

La giuria “web” non è l’unica a esprimersi sui film proiettati: saranno raccolti i voti anche della giuria popolare e poi della giuria che fa capo all’Istituto di Preistoria.

Il Festival fiorentino è organizzato da Archeologia Viva, con Piero Pruneti come direttore e Dario di Blasi come direttore artistico. Il cinema che lo ospiterà è un luogo storico per Firenze: il Teatro della Compagnia (ex Cinema Eolo). La manifestazione sarà dedicata alla memoria di Folco Quilici, da poco scomparso: il figlio Brando presenterà un filmato del padre nella giornata conclusiva del Festival.
Accanto a Folco Quilici sarà omaggiato anche Alfredo Castiglioni, anch’egli esploratore e documentarista, scomparso due anni fa, ma ricordato sempre dal compagno di mille avventure, il fratello gemello Angelo.

Cercate il Festival a Firenze, oppure su Facebook e Twitter, seguendo gli account dei 12 giudici e, naturalmente, l’account di tourismA!
Saranno presenti anche i ragazzi di Let’s Dig Again, pronti a raccogliere commenti a caldo e interviste.

Domenica 18 marzo proclameremo il vincitore del #WebAward!

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