Alla ricerca della…Sala Verde

Comincia la settimana della Sanremo dell’Archeologia: tourismA, il salone di Archeologia e Turismo Culturale, giunto alla quinta edizione.

Una kermesse che vede riuniti molti dei protagonisti dell’archeologia italiana, impegnati nell’incontro principale, cioè quello di Archeologia Viva, la pubblicazione bimestrale che gestisce la manifestazione. Ma non solo, tourismA è un collettore di eventi diversi, ovviamente con lo stesso minimo comune denominatore, articolati in convegni, workshop, conferenze, laboratori.

E tourismA è anche un modo per rivedere amici e incontrare persone magari frequentate solo sui social media. tourismA è una occasione importante per fare un po’ di public relations con enti nazionali e internazionali o realtà private e piccole, dalle grandi potenzialità.

Si tratta di una grande e variegata fiera dell’Est e alle fiere, si sa, ci si perde!

La grande quantità di eventi diventa infatti un problema, quando si vuole programmare la giornata al Palazzo dei Congressi: si vorrebbe seguire tutto, applaudire tutti, annotare ogni cosa, ma bisogna selezionare, oppure bisogna… correre correre correre! Perché con lo slancio giusto possiamo beccarci l’ultima mezz’ora di intervento e magari strappare un autografo sul libro del conferenziere, che abbiamo appena comprato… nello stand in Fiera!

Qui il programma

Questa è la Sala Verde
… direi che è intuitivo…

E allora proviamo a dare qualche indicazione di massima, per cercare di non perdere l’orientamento! Il Palazzo dei Congressi è attrezzato con tre ampie sale: l’Auditorium, che si raggiunge al piano seminterrato, dunque, una volta entrati e superato l’atrio di ingresso, dovrete scendere un altro paio di rampe di scale. Nell’anello esterno dell’Auditorium sono collocati gli stand, che si spalmano anche nel ballatoio e che sono davvero i punti di forza della manifestazione, perché permettono di percorrere in lungo e in largo la Penisola e di conoscere molte realtà dell’offerta culturale e archeologica italiana. Poi vi è la Sala Onice, che è al piano terreno. Quindi, superato l’atrio, ve la trovate più o meno davanti. Grazie alla sua capienza è scelta per ospitare eventi di respiro medio ampio, ma affrettatevi! Le sedie finiscono quando meno ce lo aspettiamo! Infine abbiamo la Sala Verde, situata al secondo piano della palazzina e raggiungibile sia con l’ascensore che tramite la monumentale scalinata. Qui sono allocati molti dei convegni collaterali all’incontro nazionale di Archeologia Viva. La Sala è infatti molto capiente, solo che rimane in una posizione un po’ defilata dal fulcro della manifestazione.

Le altre sale sono abbastanza piccole, quindi, se proprio non volete perdervi una conferenza o presentazione che si tiene nelle sale numerate, fate in modo di arrivarvi per tempo, perché i posti sono molto limitati!

Come scegliere cosa seguire? Beh, sicuramente il primo istinto è quello di cercare gli argomenti che ci stanno più a cuore, che conosciamo meglio. Un altro aspetto è la presenza di ospiti di grosso calibro, che abbiamo l’opportunità di ascoltare dal vivo. Ma il mio sincero consiglio è di scegliere anche qualcosa di assolutamente diverso e imprevisto: tourismA è l’occasione per ampliare gli orizzonti e scoprire argomenti ignorati oppure approfondirne alcuni che solitamente rimandiamo.

Io sarò presente a tourismA per curiosare tra stand e convegni e poi con Travelmark, sabato e domenica mattina, per presentare due rassegne di viaggi archeologici.

Tornerò qui sul blog a postare un piccolo vademecum, una selezione degli incontri fatta da me medesima! Ma troverete commenti e fotografie della kermesse sia su Twitter @archeomemorie, che su Instagram @lastefi5

Se poi volete sperimentare i brividi della manifestazione pur rimanendo comodamente seduti a casa, consiglio di seguire i vulcanici ragazzi di Let’s Dig Again!

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Passione etrusca

Siamo giunti alla Quinta giornata di Archeoracconto!

Una giornata splendida, trascorsa nelle capaci sale del Museo Etrusco di Villa Giulia, a Roma. Guidati da Luca Mazzocco, che ha seguito paziente le indicazioni mie e di Marina Lo Blundo e ha organizzato una visita davvero interessante e votata al racconto che gli oggetti archeologici possono suggerire.

Una giornata salutata da Valentino Nizzo, il Direttore di Villa Giulia, e coordinata da Anna Tanzarella, che ringraziamo di cuore per la fiducia e l’entusiasmo!

Archeoracconto cresce, diventa sempre più solido nell’organizzazione e più suggestivo nel prodotto finale.

Un ringraziamento speciale va agli archeonarratori che hanno partecipato con…passione e si sono messi in gioco per raccontare la loro archeologia!

A noi non resta che lasciarvi alla lettura del quinto volume: una celebrazione dell’amore per gli Etruschi, proprio nel giorno della festa degli innamorati!

Ecco qui il volume in pdf, scaricabile gratuitamente:
Passione etrusca

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Il sole dentro

Lo scorso ottobre sono stata ospite della Rassegna del documentario e della comunicazione Archeologica di Licodia Eubea e, tra un film, un documentario e una presentazione, ho avuto la possibilità di girare nei dintorni. Ne sono scaturiti dei post, le Cronache di Licodia, ma il materiale raccolto in quei giorni non si è ancora esaurito…

Oggi ricorre l’anniversario della morte di Giovanni Verga, che si è spento a Catania il 27 gennaio 1922. Io ho avuto la ventura di inoltrarmi nelle “rughe” di Vizzini, il paese che gli aveva dato i natali.

Due passi nel Museo dell’Immaginario Verghiano di Vizzini.

“Una voce poco fa” Maria Callas gorgheggia sardonica: Rosina che ne sa una più del diavolo, trilla con astuzia e già pensa al suo Lindoro e a come riuscirà a “vincere” contro il burbero tutore che le impedisce il vero amore. La vanità (e forse vacuità? Ah, bricconcello di un Gioacchino!) femminile riempie la piccola sala all’ultimo piano della palazzina in cui è allestito il Museo dell’Immaginario verghiano, a Vizzini.

Quest’ultimo piano, come si confà a un piano nobile, è arioso e luminosissimo, in una ventosa giornata di fine ottobre: Margherita Riggio, collaboratrice dell’Assessorato al Turismo e curatrice del progetto espositivo al secondo piano, mi sta presentando il suo illustre inquilino, Giovanni Verga.

La mia conoscenza di Verga, lo confesso, è sempre stata piuttosto “antologica”, scolastica. Questa visita, per alcuni versi inaspettata, mi ha aperto gli occhi e ha sollecitato una certa qual curiosità riguardo all’illustre letterato.

Perché, in effetti, quello che si sperimenta nelle sale del museo a lui dedicato, allestite con cura e intelligenza, non è tanto la vita letteraria di Verga, quanto la sua passione e il suo spirito: indomito, curioso, impetuoso, scanzonato, buono, impertinente. Un uomo nato il 2 settembre del 1840 in questo paesino arroccato su una bassa collina, tutto pieno di saliscendi e di viuzze strette e ripide, di scorci da mozzare il fiato e di chiese, ah quante chiese (!), che svelano dietro ogni colonna gli occhi brillanti di una Madonna o di qualche Santo, secenteschi nelle fogge e moderni negli sguardi.

Facile comprendere il motivo che ha spinto Margherita a cominciare il racconto di Verga dalla sala in cui ci troviamo: è dedicata alle figure femminili che hanno attraversato la vita dell’autore verista. E cosa c’è di più “vero” della passione? Perché le ragazze, le donne, che Verga conosce sono una sorta di florilegio di passioni: la purezza (finta), l’audacia (vera), la ritrosia, l’intelligenza … sì, nelle donne di Verga l’intelligenza diventa un’arma di seduzione, qualcosa per cui rischiare il tutto per tutto, lontano da casa.

Nella sala si ricompone un sodalizio letterario, quello di Verga e Capuana, insieme nella Firenze capitale d’Italia, nel 1865. A scambiarsi idee e anche donne, a frequentare salotti letterari dove la passione per le lettere spesso sfociava in passione carnale.

Tra i volti che mi guardano in questa sala ci sono due donne che hanno incrociato in modi diversi, ma ugualmente intensi, la vita di Verga: Giselda Fojanesi (4) ed Evelina Cattermole (5). La prima, infelice moglie del poeta Mario Rapisardi e felice (?) amante di Verga, la seconda, felice (?) amante di Mario Rapisardi e poetessa dalla vita avventurosa come un romanzo… ottocentesco.

Io ricambio lo sguardo trasognato e rimango colpita dalla presenza di così tante fotografie: molte sono opera dello stesso Verga e ritraggono le donne che ha conosciuto, ma anche e soprattutto le persone della sua famiglia e chi viveva nel suo palazzo, i contadini e le loro famiglie, gli amici, i vicini…

Affascinante anche il solo pensiero che il “padre” del Verismo fosse un così convinto e abile utilizzatore dell’invenzione che più di ogni altra ci ha posto di fronte al quesito sull’essere e l’apparire.

E così attraverso le sale, la musica intanto cambia e rimanda le note della Cavalleria Rusticana, ambientata poco distante da Vizzini, in un luogo oggi fatiscente, fagocitato da una natura non domabile. Osservo le teche con il panciotto, i pettini per i baffi, la macchina fotografica, le lettere…e dalla parete mi fissano docili gli occhi di chi immagino sia stato un po’ la cavia di questo scrittore-fotografo.

Gli elementi della macchina fotografica, qui in primo piano e nella vetrina in secondo piano.

Mi domando se, proprio questo gioco della fotografia, non abbia suggerito allo scrittore punti di vista diversi, più intimi, dai quali osservare i soggetti dei suoi racconti.

Riprendo a scorrere i volti delle amiche: Maria Brusini (6), che ebbe con Verga un rapporto epistolare durato nove anni e che non poté incontrarlo perché osteggiata dalle zie, le quali avevano raccolto informazioni su quel siciliano con la fama di sciupa femmine. Paolina dei Greppi Lester (2), dell’alta nobiltà di Milano, che Verga incontra a quarant’anni (lei è di poco più grande) e alla quale invia questo primo biglietto: “Basta un vostro sorriso per farmi nascere il sole dentro”.

Altre tre donne sono riunite nel “catalogo”: una è Eleonora Duse (7), con la quale Verga parla di Cavalleria Rusticana, poi c’è Lidia Cristofori Piva, (3) musa di Carducci, il quale diventa – anch’egli – rosso di passione e rabbia per il favore che Lidia mostra verso il lestofante siculo, e infine c’è Dina.

Un nome altisonante quello di Dina Castellazzi di Sordevolo (1), giovane contessa che fa vivere a Giovanni Verga anni di grande – di nuovo – passione … che il “generoso” scrittore condivide con Paolina Lester Greppi.

Sì, non c’è dubbio che in queste fotografie Giovanni Verga ci è restituito in tutto il suo splendore di poeta, romanziere, amatore, un perfetto personaggio da feuilleton.

Eppure, quel “sole dentro” non si accende in maniera indiscriminata: attraversando le sale del museo notiamo anche le parti scure del carattere di Verga, ne leggiamo i momenti bui, entriamo nel mondo di una borghesia siciliana che ha ancora indosso l’aura della famiglia nobile (i Verga pare risalissero a un ramo cadetto dei Fontanabianca) ed esercita il potere della proprietà terriera: una responsabilità gravosa e delicata nella Sicilia dei Vespri e dei Fasci.

Le campane delle mille chiese di Vizzini suonano mezzogiorno, l’orario tipico per i duelli. Chissà quanti ne avrà suscitati Giovanni Verga, l’uomo giunto dalla Sicilia per rubare i cuori delle donne più conturbanti e tormentate di quei primi anni del Regno unificato. Un uomo inquieto, che, in quelle terre così distanti dalla sua, cercava chi potesse restituirgli il sole, cui costantemente anelava.

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La dodicesima notte

Esiste un modo per sognare senza paura di essere svegliati bruscamente: basta decidere l’inizio e la fine del sogno, regalarci un sicuro perimetro e, all’interno di questo, lanciare la nostra fantasia a briglia sciolta.

Questo deve essere stato il pensiero che ha portato al processo di organizzazione del Natale. La nascita di un bambino divino è solo l’aspetto esteriore di una tradizione molto radicata (ramificata, direi) nei secoli. Come nella ricetta di un dolce goloso, partiamo dal nucleo, il solstizio di inverno, e aggiungiamo ingredienti che hanno a che fare con il periodo invernale, così come viene vissuto da società agricole in età medievale: una festa di luce (il 13 dicembre) e il lusso di concedersi riposo e feste durante quel periodo dell’anno in cui la terra stessa riposa e il seme cresce, indisturbato, e le attività all’aperto si riducono drasticamente. Otterremo un periodo di 12 giorni (in alcune tradizioni anche qualcosa di più) che i Cristiani decidono di dedicare a Gesù Cristo, ma senza rinunciare alle gioie di Saturno e delle feste che lo celebravano nell’antica Roma, i Saturnali.

Dei Saturnali manteniamo l’aspetto ludico e quella farsa che vede il sovvertimento dell’ordine sociale: lo schiavo eletto rex saturnalicius e il patrizio costretto a indossare gli abiti del servo. Feste, schiamazzi e regali e tanto, tanto cibo…

Gentile da Fabriano, L’Adorazione dei Magi, 1423.

La conclusione di tutto ciò sarà la dodicesima notte dopo il Natale: una notte associata al viaggio di tre Magi, uomini sapienti che dall’Oriente odoroso giungono a Betlemme in cerca del “re dei re” e finiscono per offrire doni preziosi a un piccolo bambino in mezzo alla paglia.

Io però preferisco rimanere un po’ più pagana e, anziché celebrare gli uomini saggi, decido di ricordare la magia che loro portano con sé: questa notte diviene perciò un luogo sospeso, un momento in cui le identità di ciascuno vengono mescolate e forse, in questa mascherata, riusciamo a dire alcune verità che la vita quotidiana ritiene “fuori luogo”.

William Shakespeare sapeva bene cosa chiedere alla Dodicesima notte e così scrisse l’opera omonima, che sottotitolò “What you will” (Ciò che volete), proprio a sottolineare l’arbitrarietà degli eventi: Viola si traveste da uomo, il conte Orsino non riesce davvero a riconoscere la donna sotto le mentite spoglie? Oppure è più comodo per lui temporeggiare? E la contessa Olivia? Davvero è così cieca da confondere la ragazza con un affascinante giovane? O forse è un gioco delle parti così ben congegnato da sfuggire di mano ai protagonisti… fino a quando questa “notte” lascia il posto a un’alba piena di promesse di felicità e i due gemelli, Viola e Sebastian, diventano i compagni ideali, anche se di modeste origini, dei due nobili in cerca di emozioni vere (e plebee).

Quindi cosa sta accadendo in questa “dodicesima notte”? Tre Magi seguono una stella, una vecchia sorvola i tetti dei bambini a cavallo di una scopa, una donna si traveste da uomo per stare accanto a colui che ama.

Walter Howell Deverell, “Scena da La dodicesima notte di William Shakespeare, atto II scena IV”, 1850

Una mattina d’inverno del 1850, Walter Howell Deverell entrò con la madre in un negozio di modista a Cranborne Alley, a Londra. Fu catturato dalla visione di una delle commesse e quella sera stessa si recò dagli amici William Hunt e Dante Gabriel Rossetti in preda all’eccitazione per aver trovato una vera musa ispiratrice.

Si trattava di Elizabeth Siddal, che, nei giorni successivi, fu convinta a posare per la Confraternita dei Preraffaelliti e segnò il suo destino: di donna, di poetessa, di musa. Il primo quadro in cui comparve fu proprio uno di Deverell, ispirato alla piéce scespiriana: Elizabeth è ritratta nei panni da uomo di Viola.

La dodicesima notte è la notte in cui tutto è possibile: seguiamo anche noi la nostra stella e per una notte (e per l’ultimo giorno del Natale) sovvertiamo il destino, forse ne troveremo uno migliore!

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