Scimmia, bacchetta, felafel

“Scimmia, bacchetta, felafel”, chissà dove voleva andare…

Qualche anno fa, l’agenzia creativa Barton Graf 9000 elaborò uno spot pubblicitario per promuovere il motore di ricerca di viaggi economici “kayak“. Si trattava di prendere una coppia di viaggiatori e lasciare lui di fronte al computer, alla disperata ricerca della soluzione migliore per le vacanze: quando la ragazza lo raggiungeva, trovava un povero essere catatonico, alle prese con l’estremo tentativo di associazione mentale da digitare per trovare finalmente la soluzione alla sua domanda di esotico + economico.

Anche io cerco di trovare su internet la combinazione che mi offra viaggi mozzafiato a prezzi contenuti; lo faccio perché sono convinta di sapere quello che voglio e perché – diciamocelo – ho spesso la sensazione di essere “più in gamba” di una qualunque agenzia viaggi e di riuscire a trovare l’occasione che “nessuno mi ha proposto”.

Però, al contempo, lavoro con agenzie viaggio e riconosco facilmente quelle più serie. Per questo sono estremamente contenta di poter osservare da vicino il Workshop Buy Cultural Tourism organizzato da MarkPR di Nadia Pasqual.

Buyer & Seller

Un momento di incontro e di confronto, in cui agenzie di viaggio e CRAL siedono insieme alle aziende che promuovono territori, città, eventi, esperienze: l’idea di fondo è quella di unire le forze per creare nuovi viaggi all’insegna della cultura.

TourismA è anche questo, in effetti: l’opportunità di conoscere ciò che accade nei grandi e piccoli centri, in Italia e all’estero, riguardo all’offerta culturale. Perché la enorme ricchezza dei siti archeologici o delle città d’arte, sia piccole che grandi, risiede nel modo in cui questi si presentano al resto del mondo.

Primo passo sul pianeta rosso o miniere di bauxite fuori Bari?

Narrare è un po’ partire

Il trekking nei luoghi degli Etruschi di Maremma, ad esempio, può funzionare solo se a organizzarlo e guidarlo sono una guida ambientale esperta e un esperto storico; in alcuni casi si tratta della stessa persona, ma il punto è che i luoghi sono lì da sempre, continueranno a restare dove sono, perciò è la guida che può farli uscire dall’oblio e consegnarli alla memoria e all’esperienza dei contemporanei.

Perciò, ben vengano i workshop, le intese, i contatti, le collaborazioni, gli scambi. La circolazione delle idee può portare solo buone cose: forse non smetterò di cercare su internet da sola, ma la qualità di ciò che troverò sarà figlia anche di eventi come questo.

Fare i conti con la cultura

Nel pomeriggio, un convegno per confrontarci sul turismo culturale. Organizzato da CISET, il Centro Internazionale di Studi sull’Economia Turistica, è un appuntamento imprescindibile se si vuole parlare seriamente di turismo culturale. Ancora più emblematico se ad accoglierlo è una città d’arte tra le più aggredite, soprattutto negli ultimi anni.

Acropoli di Atene e turismo di massa: sono sicura che non era questo che il buon Pericle si aspettava, ma oggi è uno dei tanti aspetti del problema.Il convegno del CISET serve anche a scoprire offerte diversificate.

Il convegno è aperto a tutti e presenta, accanto a interventi più tecnici, interessanti anteprime e presentazioni di progetti ben avviati. Questo è – potremmo dire – l’angolo della “fucina tourismA”.

E ora, tutti a tourismA!

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Febbraio, andiamo, è tempo di tourismA!

Villa Vittoria, per tre giorni a febbraio si trasforma nella versione archeo dell’Overlook Hotel

Anche quest’anno Firenze si scopre capitale dell’archeologia e del turismo culturale per 3 ricchissime giornate: dal 21 al 23 febbraio, nelle Sale del Palazzo dei Congressi sarà un viavai di appassionati, professionisti e curiosi che si affolleranno nelle sale, salette e saloni e nel grande auditorium, per raccontare e raccontarsi cosa significa fare archeologia oggi.

Brueghel ci agevola un’istantanea di come deve apparire tourismA a un visitatore distratto

Ci saranno convegni e comunicazioni, presentazioni e giornate di studio, rassegne e retrospettive, organizzate da enti pubblici come musei e parchi archeologici, oppure direzioni regionali e università, ma anche associazioni di professionisti dell’archeologia.

Tutti impegnati a farvi “venire voglia”: voglia di visitare un museo o un sito, di appassionarvi a una scoperta oppure a un laboratorio didattico e dunque, più in generale, a un ambito storico. Voglia di sapere qualcosa di più dei singoli personaggi o degli enti impegnati nella cultura, perché, la prossima volta che qualcuno vi dice che un museo è noioso, voi possiate controbattere con passione; oppure la prossima volta che qualcuno vuole togliervi la domenica gratuita voi vi ribelliate, o ancora la prossima volta che qualcuno decide di tagliare i fondi alla cultura voi vi indigniate.

Chissà se ci riusciranno, ogni volta è lo stesso terno al lotto e ogni volta io partecipo con la sensazione di guardare persone che si parlano addosso. Magari no, magari questa edizione sarà quella più coinvolgente, per questo andiamo a tourismA: perché noi ci speriamo ancora, ci speriamo sempre.

Memorie di qualche anno fa, quando finii sulla copertina del National Geographic, letteralmente.

Io sarò presente in due occasioni che non sono accademiche, ma che con la cultura hanno molto a che fare: venerdì 21 è infatti la giornata di un workshop per il turismo culturale, che mette fianco a fianco buyer e seller di cultura; sabato 22, invece, farò gli onori di casa di una rassegna di viaggi archeologici, uno dei modi più diretti e coinvolgenti di assaggiare la cultura (dei luoghi e delle persone).

A fare da contorno a conferenze e convegni saranno gli stand di musei locali o nazionali, laboratori di archeologia, istituti di cultura, case editrici.

Qui trovate il programma, che è ancora in fase di definizione: www.tourisma.it

Sulla mia bacheca instagram – @lastefi5 – troverete immagini e commenti, perché la fiera di tourismA è anche e soprattutto una fiera e come tale piena di luci, colori, icone, istanti, tutti da registrare e da seguire.

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Memorabili

Effetto origami 折り紙

Questo post è stato scritto pensando all’origami: la tecnica di piegare un foglio di carta in modo da ottenere una figura tridimensionale. L’idea è che, leggendo questo post, vi possiate perdere nelle sue pieghe e, svolgendole, vediate quali elementi hanno costruito l’articolo. Memorabili è costituito, infatti, dal ricordo di personaggi le cui vite avventurose e complesse si possono “svolgere” nelle pagine web linkate.

Targhe

Mi affascinano alcune manifestazioni di memoria che, più di altre, si attagliano alla definizione del titolo di questo blog: nella cittadina di Camogli (GE) sono le targhe commemorative a esprimere in pieno cosa significhi ricordare personaggi e avvenimenti legati al Mar Mediterraneo. La cittadina ne è piena, perché se è vero una via “Repubblica” e una “Mazzini” o “Garibaldi” non possono mancare in un borgo italiano, è altrettanto indiscutibile che, quanto più piccolo il borgo, tanto più importante sarà ricordare chi quel borgo lo ha fondato, formato, ampliato, fatto entrare nella storia d’Italia.

Persone o eroi

Passeggiando per le strade di Camogli, dunque, ci imbattiamo in personaggi che raramente rimangono oscuri, dato che la mano saggia della giunta comunale ha spesso aggiunto un accenno della storia relativa al personaggio o ai personaggi menzionati. Ci compaiono dinanzi agli occhi i protagonisti di una “Spoon River” urbana, priva dell’angoscia della tomba, ma capace di suscitare curiosità e poi affetto, orgoglio, stima, devozione e meraviglia. Il comune ha selezionato i suoi eroi in maniera attenta e ne ha collocato il ricordo spesso nel luogo che ha reso celebre quel o quella cittadino/a.

Sirene controcorrente

Alle sorelle è intitolata la rotonda, cioè il punto da cui partirono al recupero dei soldati in mare.

Il 24 aprile del 1855 un piroscafo inglese, avviato alla volta della Crimea, carico di viveri e di soldati piemontesi, viene avvolto dalle fiamme nel golfo di San Fruttuoso. Il nome Croesus già rimanda a un passato mitico, fatto di ricchezze orientali e a un monarca smanioso di dimostrare al mondo la propria superiorità. Ma nella realtà del golfo ligure, i marinai del piroscafo si gettano in mare per sfuggire alla morte nel fuoco (impossibile non pensare alla pira su cui trova la morte il lidio re Creso) e trovano la salvezza nella prontezza e nell’altruismo di due sorelle: Maria e Caterina Avegno. Il link che vi invito ad aprire riporta l’avvenimento con il piglio epico delle cronache della Domenica del Corriere! Quel che resta è il riconoscimento dell’estremo sacrificio che le due donne affrontano pur di salvare i poveri fanti poco avvezzi all’acqua e presi dal panico: Caterina sopravvive a stento, a Maria verrà attribuita una medaglia al valore, la prima a una donna, nonché varie altre onorificenze e un indennizzo ai numerosi figli.

Coloni per caso

Esiste un’isola, nell’Oceano Atlantico meridionale, considerata uno dei luoghi più remoti al mondo e dalla storia piuttosto singolare. Il nome glielo diede un marinaio che non vi sbarcò, ma la vide dalla sua nave nel 1506 mentre si dirigeva al Capo di Buona Speranza: il portoghese Tristão da Cunha battezzò così “l’isola di Tristan da Cunha”. Probabilmente data la sua posizione e i fortissimi venti, l’isola non ha un faro: anche per questa ragione, quando, a partire dal 1811, cominciò a formarsi la prima comunità di abitanti, molti di questi erano marinai che avevano fatto naufragio sulle sue coste. Non fu il caso del primo abitante, proveniente da Salem – la città delle streghe! Ma fu quello che capitò a Gaetano Lavarello e Andrea Repetto, naufragati il 3 ottobre del 1892. I due camoglini sono ricordati in una targa non distante dal Museo Navale e oggi, tra i 300 abitanti della sperduta isola, si contano anche cognomi liguri.

Miracolo nel bosco

Io sono rimasta incantata dall’abito della Madonna e qualcosa mi dice che anche Angela non riesce a distogliere lo sguardo da quel tessuto damascato…

A proposito di cognomi, Camogli è la casa di una famiglia tanto antica quanto ramificata: gli Schiaffino. La prima Schiaffino a diventare famosa fu una pastorella, nel lontano 1518. Angela è infatti la protagonista di un miracolo che ancora oggi campeggia nei tondi di ceramica affissi sopra alcune porte e nel gruppo statuario (nonché nell’affresco sul soffitto) di una cappella della Basilica dell’Assunta, sulla c.d. isola del borgo camoglino. La Madonna apparve alla piccola Angela in un bosco, presso il quale si costruì il Santuario del Boschetto: la Vergine inviò Angela in paese con messaggi di pace e oggi la Madonna del Boschetto è spesso invocata nelle situazioni di crisi.

Patriota

Un altro Schiaffino famoso osserva oggi gli abitanti di Camogli e i tanti turisti mentre attraversano il corso principale del borgo (non la passeggiata a mare).

A Simone Schiaffino è dedicata una piazza che egli domina dal burbero ritratto di marmo: alfiere dei Mille, il rude soldato sembra scrutare con severità chiunque entri in città, oppure è solo estremamente infastidito dal fatto di dare le spalle al mare!

La sua è una storia densa di nomi illustri e di gesti eclatanti: è compagno di Nino Bixio, prima nella Loggia massonica e poi sul campo. Gli viene affidato il tricolore cucito dalle italiane di Valparaiso per Garibaldi nel 1855. Così lo descrive Cesare Abba nella sua Storia dei Mille: «… bel capitano di mare, che pareva andasse studiando Garibaldi, per divenire simile a lui nell’anima come gli somigliava già un po’ nel volto; biondo come lui, assai più aitante di lui, con un petto da contenervi cento cuori d’eroe.» Io guardo la sua statua e devo rileggere più volte il dato biografico della sua morte, ad appena 25 anni!

Partigiano

Camogli borgo antifascista: uno dei suoi cittadini è ricordato in ben due luoghi. La “calata” a lui intitolata e poi la targa commemorativa, nella piazzetta sotto l’isola. Si tratta di Baciccia, tradizionale soprannome genovese che in questo caso si riferisce a Prospero Castelletto.

Santi in trasferta

Baciccia solitamente si riferisce a Giovan Battista e ne è una contrazione dialettale, ma il nome del partigiano Castelletto mi permette un breve excursus in questa carrellata di personaggi camoglini: Prospero è infatti il nome di uno dei due santi patroni di Camogli. Li troviamo nella chiesa dell’Assunta, ritratti sulle rispettive lettighe processionali, pronti a lanciarsi sopra la folla di fedeli: Prospero abbigliato da vescovo e Fortunato ancora con la divisa da legionario. Le loro storie sono molto interessanti perché entrambi si sono ritrovati a Camogli per caso. Prospero stava viaggiando da Tarragona, in Spagna, dove era vescovo, alla volta di Roma, per incontrare il papa e morì nel borgo ligure, correva l’anno 409; mentre per Fortunato la storia è un po’ più curiosa: verso la fine del Seicento i fedeli pescatori camoglini cominciarono a chiedere a gran voce un Santo patrono cui affidarsi nelle pericolose uscite in mare. Clemente XI finalmente rispose riesumando le ossa di un anonimo inumato in una delle catacombe romane e inviandolo a Camogli nel 1710: dopo un periodo di “sosta” a Genova, finalmente nel 1714 il nuovo santo venne accolto nella Chiesa dell’Assunta, spodestò Pietro e Paolo dal loro altare e venne battezzato dai camoglini “Fortunato martire“.

L’uomo che inventò il drago

E infine arriviamo a Ido Battistone: un personaggio dalla vita avventurosa e pieno di voglia di fare e di strafare. Vi consiglio di leggere la splendida conversazione che ho messo nel link, perché vi permetterà di tuffarvi indietro nel tempo, non solo di Camogli, ma di un’Italia e forse anche di un’Europa dove era possibile vivere sogni di gloria. L’infanzia e la giovinezza di Ido sono segnate dalla fatica, dal lavoro e dalla mancanza (di mezzi, di una figura paterna…), poi arriva la maturità e una responsabilità importante, quella di una figlia. Ma il gruppo di amici camoglini non riesce a farsi bastare il tran tran del porto e della pesca e dei lavori di artigiani e dei contatti con l’entroterra e con il capoluogo; ecco dunque che si accende la scintilla che farà divampare una piccola rivoluzione! Ido modifica un vecchio modello di scialuppa e lo fa diventare un’agile barca, che battezza “Dragun”, dal nome del castello della Dragonara, quello che domina l’isola e che contraddistingue Camogli. A partire da quell’aprile del 1968 (ma Ido ricorda primo maggio, una data ancora più emblematica) il Dragun diventa in poco tempo il simbolo di Camogli e ambasciatore di una “ligurità” che sa di sfida (nella regata veneziana, unica barca “straniera”) e di tenacia (nelle imprese sul Po o su altri fiumi europei). Oggi il suo dragun dorme coperto accanto alla enorme padella usata per la sagra del pesce di San Fortunato.

Epilogo

Camogli è ricca di lapidi e di strade intitolate a illustri concittadini: accanto a quelli che vi ho citato troviamo una serie di personaggi locali, pediatri, educatori, sindaci, una serie di figure importanti per la comunità. Questo è, in fondo, ciò che più si avvicina al concetto di eternità: assolutamente impensabile sfiorarlo per un essere umano, per definizione limitato nel tempo, eppure afferrabile da parte di chi si prodiga per il benessere dei propri concittadini.

L’eternità si compie nel ricordo dei posteri.

Il tramonto a Camogli è un’esperienza che va vissuta
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L’italiana ad Atene

Una scienza giovane

Quando pensiamo all’archeologia dell’Ottocento ci immaginiamo la frenesia di Heinrich Schliemann – un non archeologo appassionato di Omero – e la calma coscienza scientifica di Carl Blegen, che ha dato ordine agli sterri del mercante svizzero e ci ha restituito la storia di Troia, al di là della leggenda. Oppure scrutiamo sotto la terra che ricopre il piccolo paese di Kastrì e contiamo i riccioli di Antinoo emerso sotto i colpi di pala e piccone diretti da Théophile Homolle, fino a quando lo spirito stesso della Pizia non ci indichi il luogo del tripode e sollevi il sipario sul tempio delfico di Apollo. Il Novecento archeologico si apre invece con la costruzione della leggenda minoica e Sir Arthur Evans impegnato a ridisegnare – letteralmente – il profilo dell’antica Cnosso.

Da sinistra: Arthur Evans, l’architetto Theodore Fyfe e l’archeologo Duncan McKenzie.
In questa immagine mancano i Gilliérons (padre e figlio) pittori e restauratori che contribuirono a ridisegnare l’immaginario minoico. Celebre l’affresco del c.d. Principe dei Gigli, ricomposto con frammenti di vari affreschi dal soggetto affatto diverso.

In questa prolifica stagione di scoperte eccezionali l’Italia si inserisce in punta di piedi e si ritaglia un posto di rilievo, ma distinguendosi per due aspetti: la raffinatezza delle scoperte e l’impostazione politica della ricerca scientifica.

L’Italia protagonista

A fine Ottocento, l’archeologia è una scienza ancora piuttosto giovane e un trentenne di Rovereto, Federico Halbherr è di certo la punta di diamante tra gli studiosi italiani: scopre a Creta, isola greca ancora sotto controllo ottomano, la grande iscrizione greca di Gortina e comincia a tessere una trama complicata, ma dal magnifico disegno, per far diventare l’archeologia italiana protagonista della ricerca nel Mediterraneo.

Gli intellettuali italiani di fine ‘800 sono estremamente attivi a livello internazionale: questo nuovo regno sabaudo deve a tutti i costi emergere e smarcarsi da un certo provincialismo, dovuto a secoli di frammentazione e di sottomissione politica.

Domenico Comparetti

Halbherr può contare sull’appoggio di Domenico Comparetti: filologo romano di stanza a Firenze, importante studioso dei papiri di Ercolano e convinto patrocinatore delle ricerche cretesi, inoltre estremamente influente nella politica del regno. Comparetti è legato a Pigorini da interessi culturali e a Luigi Adriano Milani, Direttore del Regio Museo Etrusco di Firenze, anche da stretta parentela – ne è il suocero – perciò costruisce una rete di contatti che lavorino di concerto per il medesimo, glorioso, fine: la costituzione di una Scuola Archeologica ad Atene, che affianchi le altre scuole straniere già presenti su suolo ellenico e protagoniste di celebri scavi (si pensi, oltre a quelli citati in apertura, anche agli scavi nell’agorà greca di Atene, opera della Scuola Archeologica Americana).

La Scuola dovrà essere finanziata dal Ministero della Pubblica Istruzione, perché il suo ruolo nel panorama culturale internazionale dovrà essere di primo piano; sarà ambasciatrice dell’eccellenza italiana e permetterà di avere in ambito culturale ciò che la politica estera ancora non permette: un ruolo colonialista di prim’ordine. La tappa ateniese è solo la prima del disegno di Halbherr, in seguito arriverà Cirene e la Tripolitania.

Il primo Direttore

Una volta tessuta la complessa struttura della ragnatela, il passo più delicato è la scelta del Direttore: un uomo che dovrà unire all’alta considerazione in ambito scientifico, la capacità di destreggiarsi diplomaticamente nelle piccole trappole politiche che il sistema dell’Accademia italiana è pronto a disporre per intralciare la nascita di questa nuova istituzione, foraggiata dallo Stato e dunque temibile concorrente. Luigi Pernier è studioso rispettato, formatosi a Roma e stretto collaboratore di Milani nel giovane museo fiorentino. Comparetti e Halbherr sono decisi, hanno trovato il loro Direttore. Milani si convince quando capisce che potrà ottenere dal suo protetto quei pezzi egei che gli mancano per provare la contiguità tra la civiltà etrusca e quella anatolica.

Luigi Pernier

Pernier diventa il primo Direttore della SAIA, ma il suo nome è ricordato soprattutto in connessione con il c.d. Disco di Festòs, da lui scoperto e studiato. I suoi anni ateniesi trascorrono in perfetto accordo con la sua personalità schiva e solo la lettura delle lettere e degli appunti permette di comprendere a fondo quanto essenziale sia stato il suo ruolo nel cucire rapporti e costruire relazioni, nell’impostare il lavoro di studio e nell’organizzare la biblioteca della Scuola.

Ma siamo in Italia, benché su suolo greco, e le insidie della burocrazia sono più forti di qualsiasi merito: gli anni alla SAIA non gli sono riconosciuti e Pernier deve rientrare in Italia e sperare di guadagnare punteggio lavorando per il Museo di Firenze, la Soprintendenza fiorentina, l’Università degli Studi. La figura di studioso serio e meticoloso diventa il suo biglietto da visita allorché cambia ambito accademico mantenendo ruoli direttivi di grande responsabilità.

La Scuola Archeologica Italiana di Atene deve molto a Luigi Pernier e nel 2009, celebrando il centenario della fondazione, ha pubblicato un numero speciale dell’Annuario dove ho avuto il piacere e l’onore di ricordare la figura dello scienziato e dell’uomo: destinato a rivestire luoghi direttivi per dare una veste seria a giochi di un potere giovane e già corrotto.

Questo il mio articolo:

Nota a margine

Nel 2002 arrivai in odòs Parthenònos, archeologa piena di speranze, già bagnata nelle acque dell’Egeo durante l’Erasmus a Salonicco del 1999. Nel cuore il corso accademico sulle stele funerarie attiche del professor Luigi Beschi e la lettura di Zorba il Greco di Katzanzakis, l’idea di poter studiare archeologia a stretto contatto con quella Grecia – classica, romana, bizantina, romantica – che aveva dato forma alla mia idea di umanità era per me fonte di grande emozione e costante stupore. Nell’estate di quel mio primo anno la Lega si scagliò, dalle pagine della Padania, contro gli sprechi del governo e, tra le tante voci, si sottolineava la follia di finanziare una istituzione straniera…proprio la nostra Scuola Archeologica che, ancorché Italiana, aveva sede ad Atene (!). Ma non si trattava di una situazione limitata al 2002: la apparente “incongruenza” emerge periodicamente nelle interrogazioni parlamentari e in qualche articolo di colore, volto a far sollevare sopracciglia annoiate.

Ebbene, la storia della SAIA parla di eccellenze, di studiosi fondamentali per la comprensione del nostro passato. Scorrendo i nomi dei Direttori e degli allievi, ripercorriamo le tappe della conoscenza delle nostre radici e nei confronti di quegli uomini e di quelle donne dobbiamo essere grati; le pastoie burocratiche hanno sempre assediato le stanze e la biblioteca della Scuola, ma quelle sale hanno continuato a produrre il meglio della ricerca archeologica italiana.

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