Pausania sapeva scrivere. Il suo Baedeker è servito forse a qualche erudito antico, sicuramente a centinaia di viandanti moderni per entrare nel mondo affascinante del mito classico da vivere attraversando strade polverose, colonne sbrecciate, sterpaglie tatuate da frammenti di mosaici.
Proviamo allora a tracciare un percorso che abbia l’aspetto di un resoconto di viaggio e che si soffermi su luoghi che hanno catturato l’attenzione della sottoscritta, nel bene o nel male. [Pausania non ce ne vorrà..!]
Barcellona è una città sul mare. L’acqua è presente perfino nel nome più famoso associato alla città, le Ramblas, che una etimologia erudita vuole collegate ai ruscelli, che lambivano le mura medievali intorno al barrio gotico e che furono ricoperti quando si decise di dare una forma più moderna alla città. Il porto è protagonista dell’economia e del divertimento: ci sono le zone mercantili e quelle più turistiche; le spiagge e i catamarani che offrono un modo inedito di guardare alla città; il centro commerciale che, già dalla forma, sembra dar corpo agli stessi pescecani che spaventano e compromettono l’economia della povera gente…
Eppure, lasciata la barca ancorata al porto, Barcellona si scopre camminando e inoltrandosi tra le pietre, nelle pieghe più terrestri dell’antica capitale.
BARCINO
il nome latino del capoluogo della Catalogna è rappresentato in tridimensione su uno spiazzo vicino alla Cattedrale. Barcellona è un luogo in cui l’arte moderna e contemporanea riesce a saldarsi con le vestigia di un acquedotto, il tempio di Augusto, tombe patrizie. Una macedonia di cui si riescono a gustare i singoli frutti, senza rimanere perplessi dall’insieme.
Questo popolo (…) ha un rapporto materno-filiale con la propria città: sanno che è donna e si sentono figli di puttana e della Ramoneta, della Venere di Bronzo e della Pepita dell’Ombrello (la signora Josefina di Reus, volendo approfondire) …
Forse non si è mai realmente preparati per una città come Barcellona, la lettura di Montalbàn aiuta ad allontanarsi dal potere magnetico delle Ramblas e a cercare qualche vicolo laterale, soprattutto a scrutare i volti dei passanti. Ma luglio e agosto offrono soprattutto turisti, conviene buttarsi tra i tavolini di qualche locale del Raval e aspettare che, tra uno zaino North Face e una guida dal fiore colorato, spuntino i volti mediorientali o i colori sudamericani dei veri abitanti della città.
Molti sono nati qui. Altri sono giunti da lontano. Ma questa memoria possessiva ebbe inizio il giorno in cui, come gli antichi caldei, capirono che la parte essenziale del mondo terminava sulle colline che riuscivano a scorgere con i propri occhi.
Di giorno, il luogo migliore dove cercare questi occhi è forse la Bouqueria. Per ripercorrere almeno mentalmente le ricette di Carvalho, niente di meglio che lasciarsi sedurre dai colori del mercato coperto più famoso di Spagna.
Ma, come in molte città ad alta densità di turisti, Barcellona dà il meglio di sé di notte. Quando i “locali” (intesi come abitanti in loco) escono a popolare i vicoli trasandati. Le luci si concentrano sulle strade, creando affascinanti giochi di ombre con le massicce architetture del gotico spagnolo. Quel che di giorno ha offerto un riparo dal caldo, di notte si offre nella sua misteriosa imponenza. Colòm rimane in alto, superiore al caos cittadino e sempreconcentrato su di un mare ormai familiare: scruta l’orizzonte verso casa, con l’eterna sensazione di aver ancora una volta sbagliato rotta…
A Barcellona l’arte vive: gli emuli dei Maestri del passato riempiono lungomare, piazze più o meno grandi, viali, di statue dall’aspetto criptico, circondate dall’allure del “non capisco ma mi adeguo”. Altrimenti è l’anima politica a prendere il sopravvento e l’artista esprime la perplessità di molti in poche, efficaci, pennellate esposte in uno dei tanti locali ibridi della zona universitaria:
Ma fortunatamente i Maestri non hanno mai lasciato Barcellona. Picasso è re nel museo a lui dedicato, mentre nessuno o quasi sembra soffermarsi sul vicolo che ha dato il titolo ad uno dei quadri più famosi: les démoiselles d’Avignon.
Dalì…è altrove, nella vicina Figueres. Eppure c’è anche lui, in un piccolo museo seminascosto dall’immenso murale a firma Picasso, che troneggia sull’edificio di fronte. Tra i baffi impomatati, lo sguardo ipnotico di Dalì offre le sue visioni di carta, e qualche scultura.
Ma il vero spirito che aleggia è quello di Gaudì. Il vero visionario è lui, che architetta un palazzo a due strati: il primo, più vicino alla strada, grave e possante, il secondo stravagante.
L’inizio del mondo onirico più concreto che architetto abbia mai potuto creare.
Seguendo Gaudì ci inoltriamo in una selva oscura, alla maniera dantesca, ma forse più suggestionata dai mondi paralleli à la Lewis Carroll.
Il parco voluto dallo stesso Eusebi Guell del palazzo cittadino è una terra di esperimenti, qui Gaudì si cimenta con pietra, ferro, vetro, in una colossale morra cinese che riempie i vuoti dell’arte contemporanea, ma allo stesso tempo scava dentro il Maestro.
Gaudì finisce con l’essere schiacciato dal suo stesso genio. E, incapace di contenere il proprio pensiero innovativo, si rifugia nel più classico dei cliché per un Paese assediato dal cattolicesimo: il pentimento.
Ma dal pentimento di un visionario non poteva che scaturire un’immagine complicata e affascinante: la Sagrada Familia.
In questo bosco di pietra che passa dai minimi particolari della facciata della Natività a quelli appena sbozzati della facciata della Passione, Gaudì cercò di trovare l’espiazione più alta alle sue visioni. A noi rimane l’immagine di “incompiuto” che esprime forse il massimo fascino di Barcellona, l’imperfetta.
E tuttavia qualcosa di simile alla bellezza della miseria è rimasto inciso nel volto delle case costruite un po’ prima e un po’ dopo il Manifesto Comunista, ignorandolo, perché questa città ormai vecchia venne fatta o rifatta al di qua o al di là delle mura medievali abbattute a metà del secolo XIX.
E torna la notte, con i suoi tempi lunghi. Le Ramblas sono illuminate da luci violente, ma a poca distanza, in Plaça Reial, in una stanza apparecchiata si consuma il rito dei gitani: il flamenco.
Per i peperoni dolci ai frutti di mare, innanzitutto sono necessari i peperoni dolci, che siano rossi, non molto lunghi, e carnosi. Uno o due per persona, a seconda dell’appetito e della grandezza. Si arrostiscono i peperoni facendo attenzione che, nello spellarli, non si rompano. A parte si prepara un ripieno di gamberi, vongole e pesce di scoglio bollito, legato con una besciamella densa fatta in parti uguali con un brodeto di teste di gambero e latte, condito con pepe molto aromatico e dragoncello. Con questo ripieno si farciscono i peperoni, si coprono con la besciamella più liquida e si passano a forno basso, per poco tempo. La spalla di agnello è più complicata e proviene da una ricetta medievale raccolta da Eliane Thibaut i Comalade, specialista in cucina catalana antica. Una spalla di agnello, disossata e molto piatta; per il ripieno carne di agnello tritata, pinoli, uvetta, aglio, prezzemolo, pan bagnato nel latte di mandorla e sale. Inoltre, sempre per il ripieno c’è bisogno di pepe nero, comino, finocchio, ciboulette, una buccia di limone grattata, re uova, una cipolla grande arrostita, una grossa fetta di pancetta, olio di oliva e timo.
“Odora di Mediterraneo e di Medioevo.” “Odora, questo è tutto (…)”
nota: i brani sono tratti da “Il centravanti è stato assassinato verso sera” di Manuel Vàzquez Montalbàn, edizione Universale Economica Feltrinelli.
Il Baedecker….. è citato anche nel mio librone!!! che commozione.