Sabato santo, Radio Tre trasmette il Parsifal, uno dei racconti elaborati da Richard Wagner intorno al tema della ricerca del Graal. La musica riempie la stanza di ineluttabilità, c’è un senso profondo di predestinazione negli accordi, interrotti dal canto austero o disperato dei protagonisti.
Il Graal si può dire che abbia accompagnato il mio percorso educativo: la “coppa di un semplice falegname” nella versione di Indiana Jones, la ricerca sgangherata dei Monty Python, le trame d’opera di un vecchio libro enciclopedico appartenuto alla prima arpa del Comunale di Firenze, il ciclo arturiano nei quadri preraffaelliti e infine la versione di Marion Zimmer Bradley.
L’eroina della Bradley è Morgaine, quella che da tutti gli altri autori viene utilizzata come antagonista, e la scena dell’apparizione del Graal è estremamente suggestiva, un colpo di teatro, si potrebbe dire: Morgaine è la sacerdotessa del lago che torna a Camelot dopo anni, ma l’energia che promana dal suo gracile corpo la trasfigura, perciò gli astanti non si rendono conto di chi hanno dinanzi e pensano di essere testimoni dell’apparizione di un angelo. La coppa in questione era stata conservata ad Avalon, nel luogo più sacro, utilizzata per i rituali delle sacerdotesse. Solo distrattamente veniamo ricordati del fatto che probabilmente era stata portata lì da Giuseppe di Arimatea.
Allora è davvero il “vaso”, il recipiente (vd Graal in Treccani) sottratto dalla tavola dell’ultima cena di Gesù di Nazareth? O forse, ancora meglio, quello utilizzato per raccogliere il sangue di Gesù morente? Un oggetto che il buon Frazer avrebbe senza dubbio definito magico, un collettore di energia, il simbolo di un sacrificio estremo, dato che il vino rosso che ha contenuto è immediatamente associato al sangue versato dal Cristo. Parafernalia di un culto orientale che cerca di distinguersi dai cugini pagani, il Graal approda ad Avalon insieme ad altri strumenti di culto, ma è l’unico a guadagnarsi la fama di reliquia inestimabile.
In fondo, nel vaso/calice, risiede il potere più grande di un culto: quello di essere condiviso e di con/av – vincere altri adepti. Così, il calice passa di bocca in bocca in quella mattina assolata a Camelot, e a porgerlo è una figura angelica, che subito dopo scompare – insieme al Graal.
Ritrovare quel calice, bere nuovamente da quella coppa, sperimentare di nuovo quella sensazione appagante di condivisione, ecco cosa significa la ricerca del Graal. E così, la leggenda che vanta il maggior numero di varianti nella storia della tradizione, offre ai monarchi cristiani il canovaccio su cui mettere in scena il proprio potere divino e ai cavalieri fornisce il codice etico cui uniformarsi.
Il Graal ha il potere di guarire. Le leggende che nascono intorno al Graal parlano di malattie fisiche, solitamente ferite che non si rimarginano, ma non si accontentano di presentare un’allegoria facilmente manipolabile, aggiungono che, chiunque abbia la ferita inguaribile, è anche afflitto da una tristezza profonda, inconsolabile, e da un male di vivere che toglie luce agli occhi. Dunque il Graal guarisce l’anima, prima che il corpo. Perciò il cavaliere che lo raggiungerà dovrà essere decisamente un puro di spirito, nella versione ripresa da Wagner addirittura un “folle”, inteso come ingenuo e innocente.
L’innocente in questione – Parsifal – entra in scena dopo aver ucciso un cigno: la leggenda parla di un “animale sacro”, senza dare ulteriori spiegazioni, ma il cigno è l’animale associato alle Valchirie, è un candido animale acquatico che può trasformarsi in fanciulla, è, in altre parole, la versione norrena delle ninfe mediterranee. Il cigno è una creatura che accompagna rivelazioni e trasformazioni, dello spirito soprattutto. Per questo è sacro. Senza cigni ma circondato da donne che lo tentano, ecco come Parsifal si prepara a superare le prove che lo dovranno definire degno di ricevere il Graal.
Ma noi che “leggiamo avanti” sappiamo che tutto l’affannarsi di cavalieri, re e dame, è cosa ridicola dinanzi al Graal e al suo potere taumaturgico e rinnovatore: il Graal è sempre stato lì. Il re lo deve “disvelare” (anakalypto/apokalypto) e per convincerlo è necessario rivolgere la giusta domanda al sovrano, oppure bisogna essere inondati dalla Grazia divina e allora il velo cadrà dinanzi ai nostri occhi.
Cosa che, puntualmente, accadrà al giovane Galahad, figlio di Lancillotto del Lago, nipote – perciò – della Dama del Lago, versione anglosassone di quelle ninfe mediterranee che rapivano giovani uomini in prossimità di specchi d’acqua nei boschi: di solito si moriva (vd Hylas e le Ninfe), ma l’idea di fondo era che i giovani diventassero gli iniziati di un culto sacro di rivelazioni (vd. il commento di Servio al libro IV delle Georgiche di Virgilio, quando fa riferimento a rapimenti rituali in Egitto, dove i ragazzini erano tenuti lontani dalla città per un anno, accuditi da donne in grotte).
La ricerca del Graal è la ricerca di Sé declinata secondo la sensibilità cristiana, che rifiuta il ruolo di guida che da secoli le donne avevano esercitato sui giovani uomini. La protagonista femminile del Pasifal, Kumry, viene esorcizzata attraverso la conversione.
Nel racconto di Eschenbach, cui si rifà Wagner, Parsifal riappare nei giorni della Pasqua e finalmente riesce a ritrovare il castello del Graal, ma non a vedere il calice, che resta il premio solo per pochi eletti.
E tu, riesci a vederlo?