La mostra intitolata “Verrocchio il maestro di Leonardo” si presenta, già nel titolo, come una mostra organizzata intorno a due grandi figure del Rinascimento italiano, eppure, sfogliata la prima pagina, il libro che racconta ha molti altri protagonisti. Si tratta infatti di un progetto che vuole ricreare l’atmosfera della bottega di Andrea di Michele di Cioni, divenuto noto come Andrea del Verrocchio e poi, semplicemente, come “il Verrocchio”.
Io ho sempre avuto problemi a visualizzare e riconoscere le “mani” dei singoli pittori, le influenze dei maestri sugli allievi, le personalità, ma l’idea di bottega di artigiano, beh, quella mi ha sempre affascinato. La biografia di Brunelleschi, che comincia il suo apprendistato presso un orafo, destava in me una certa meraviglia, perché in questo particolare era racchiuso l’intero universo di un artigiano rinascimentale e degli artisti che abbiamo imparato a riconoscere e ad amare. Ognuno di loro era versatile in più di un’arte e anche il geniale architetto di opere grandiose aveva cominciato a impratichirsi di una tecnica che richiedeva estrema precisione e che si esprimeva su superfici minuscole.
Anche Andrea comincia presso un orafo, il più noto al tempo, Antonio Dei, e saltuariamente frequenta anche la bottega di Francesco Verrocchio, di cui tratterrà il nome quasi di appartenenza (Andrea del Verrocchio). Se la prima bottega è quella di un orafo, la formazione di Andrea avviene presso un altro illustre artigiano/artista: Desiderio da Settignano, ed è proprio presso di lui che Verrocchio riconosce la sua inclinazione, quella verso la scultura di pietra e di bronzo, l’amore per la tridimensionalità e le dita affusolate, gli andamenti dinoccolati e i volti sicuri, a volte spigolosi.
Questo mio non può essere un commento tecnico su Verrocchio, naturalmente, ma la mostra di Palazzo Strozzi racchiude, come dicevo, un libro molto denso di luoghi e persone e cercherò di offrirvi alcuni spunti per riconoscere le tante storie che vi si intrecciano. Così, in corsivo aggiungerò alcune considerazioni a margine sulle scelte espositive.
Una lettura parziale
Organizzando la mostra nel cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, i curatori hanno voluto ristabilire un certo equilibrio tra Leonardo e i suoi maestri: la lettura di Giorgio Vasari, infatti, ha condizionato per decenni una interpretazione serena del ruolo di Verrocchio nella formazione di Leonardo, poiché Vasari riteneva che l’arte di Verrocchio fosse molto ben studiata eppur mancasse di quella grazia innata che il genio di Vinci dimostrava fin dalle sue prime opere. Inoltre Vasari era convinto che la scelta di dedicarsi alla scultura fosse stata per Verrocchio una sorta di ripiego dopo aver verificato che l’allievo Leonardo lo surclassava nelle opere pittoriche. Ebbene, il percorso espositivo ci guida attraverso le diverse fasi del lavoro di Verrocchio, permettendoci di apprezzare non solo l’ingegno pittorico ma l’influenza che, proprio attraverso i dipinti, il maestro fiorentino seppe esercitare su un intero gruppo di artisti sia toscani che umbri.
Modelli di stile
Nelle prime due sale troviamo, l’una accanto all’altra, opere di Desiderio da Settignano e di Andrea Verrocchio (da solo o con Francesco di Simone Ferrucci) in modo da individuare lo spunto originario e l’evoluzione apportata dall’allievo. E’ però nella terza sala che incontriamo il Verrocchio pittore e verifichiamo la portata del suo insegnamento e della sua influenza iconografica: siamo infatti circondati da versioni diverse di un’unica scena, la Madonna che sorregge con una mano il Bambino in piedi sul davanzale di un’immaginaria finestra. Cambiano gli sfondi, cambiano i personaggi di contorno, solitamente angeli, ma l’impostazione rimane la stessa e gli allievi del maestro creano meravigliose variazioni sul tema: se li guardassimo isolati, ammireremmo piccoli capolavori, osservati accanto al prototipo ci appaiono esercizi di stile dall’incantevole armonia.
Questo, tra gli intenti della mostra, è forse il più ambizioso, dal momento che non è semplice proporre all’utente – per quanto di una mostra di Strozzi – una chiave di lettura riservata normalmente agli esperti. Nella sala troviamo anche un rilievo in terracotta che, accanto ai quadri, ci permette di individuare i segni di Verrocchio, così come li aveva concepiti a tutto tondo e trasposti su tela.
Celebrità
Il gioco di attribuzioni si complica ulteriormente e ci troviamo in una sala senza alcuna opera di Verrocchio, ma circondati dalle creazioni della scuola umbra (Perugino, Pintoricchio) e poi Ghirlandaio e Bartolomeo della Gatta, figlio di quell’Antonio Dei di cui Verrocchio era stato apprendista. Qui ritroviamo il senso più vero della “bottega”, di quella comunità di artigiani che imparano, sperimentano e colgono spunti per il solo fatto di lavorare in uno spazio condiviso. Alcuni di loro passeranno presso Verrocchio solo pochi anni, ma sufficienti a portare con sé una lezione duratura.
Eppure in questa sala la parte del leone la fa una Madonna con Bambino acquistata da John Ruskin, celebre critico d’arte ottocentesco: opera di Ghirlandaio, il quadro ci offre una visione cristiana su uno sfondo pagano, le rovine della basilica di Massenzio del Foro Romano.
Roma
Gli anni romani sono esemplificati da alcune opere, che però non saranno solo di Verrocchio ma anche di suoi illustri allievi: come il rilievo, solitamente esposto a Firenze nel Museo del Bargello, proveniente dalla Cappella Tornabuoni di Santa Maria sopra Minerva e dedicata alla giovane moglie del Tornabuoni, morta di parto. L’autore della struggente scena è Francesco di Simone Fortini, braccio destro di Verrocchio. Del maestro sono invece le terrecotte architettoniche e il busto di Giuliano de’Medici.
In questa sala i curatori introducono un tema scottante: le attribuzioni “mancate”. Qui infatti troviamo un busto ritratto che dopo attento studio è stato riconosciuto come opera del Pollaiolo raffigurante un esponente della famiglia Neroni; qui troviamo un giovane Endimione in terracotta che in mostra è definitivamente attribuito a Verrocchio. Il nostro occhio di visitatori comincia a raffinarsi e cerchiamo di cogliere le mani diverse nel soppesare i riccioli e i volumi.
Versatilità
Decorazioni di fontane, volti di bambini, candelabri che diventano elementi architettonici, lo studio delle proporzioni di un cavallo. Sembra di leggere una ricetta pasticciata, in realtà i curatori hanno cercato di esprimere i mille volti di Andrea Verrocchio anche attraverso i tanti progetti da lui affrontati: ancora una volta, troviamo in Verrocchio un protos euretès, l’inventore di un genere.
Leonardo
E il secondo protagonista? Quando e dove lo incontriamo nella mostra? Ebbene, Leonardo da Vinci si muove come un’ombra tra le sale di Palazzo Strozzi: la sua presenza aleggia, inizialmente, nei disegni delle prime sale e noi potremmo quasi immaginarcelo in un angolo della bottega, intento a prendere nota in punta di stilo. Vediamo le mani della dama con il mazzolino, studi di volti tra cui spunta il David. Lo ritroviamo, ancora in un disegno, qualche sala più in là, questa volta la sua mano traccia il segno di un canneto, mentre Verrocchio è autore di Venere e Cupido (forse variazione sul tema della Madonna con Bambino?). Poi giungiamo alle ultime sale, dove Verrocchio, ormai anziano e già a Venezia, è solo una presenza lontana, un maestro che indica la direzione da prendere, ma lascia che gli allievi si muovano in autonomia. Qui, accanto a Lorenzo di Credi, troviamo un San Donato dipinto da Leonardo e confrontato direttamente con l’ispirazione verrocchiesca.
Rivelazione
Giungiamo infine all’ultima sala, la più ambiziosa. Qui troviamo un’unica terracotta, di nuovo una Madonna con in grembo il suo Bambino. Colpisce molto il viso puntuto (caratteristica che abbiamo imparato ad associare a Verrocchio) eppure sorridente della madre che coccola il bimbo, anch’esso ritratto in un momento di pura felicità infantile. Attorno a loro una serie di disegni di panneggi, gli uni di Leonardo, gli altri di Verrocchio; ci viene ricordata ancora una volta la ingegnosa tecnica di Andrea Verrocchio, il quale attorno ai manichini appoggiava panni bagnati o cerati, perché, nel ritrarli, la resa del panneggio fosse la più naturale possibile. E così, seguendo lo sviluppo della tecnica del maestro attraverso gli esperimenti dell’allievo e facendo tesoro delle lezioni apprese in mostra, ecco che ci sembra logico appoggiare la versione dei curatori: quella dinanzi ai nostri occhi è una terracotta di Leonardo da Vinci, l’unica a oggi nota.
#unamostraperdue
La mostra di Strozzi ha ispirato me e Marina Lo Blundo: domenica 28 aprile la abbiamo visitata condividendo su Twitter le nostre impressioni. Seguendo l’hashtag #unamostraperdue troverete i nostri tweet, mentre qui potete leggere le considerazioni di Marina sul blog Maraina in viaggio. Ringrazio ancora l’ufficio didattica della Fondazione Strozzi per averci appoggiate in questa visita “social”.
L’esposizione di Palazzo Strozzi non esaurisce, tuttavia, il messaggio dei curatori: al Bargello, da cui provengono molte delle opere in mostra, è allestito un altro breve percorso, incentrato attorno alla Incredulità di San Tommaso, il bronzo che Andrea del Verrocchio realizzò per Orsanmichele.
Invito
La mostra “Verrocchio il maestro di Leonardo” è un percorso non facile, che raccomando di fare seguendo gli approfondimenti dell’audioguida. Ma alla fine di questo percorso vi ritroverete più ricchi, di bellezza, perché le opere selezionate sono estremamente affascinanti, e di quella polvere e di quell’odore che la bottega di Andrea del Verrocchio vi avrà lasciato addosso, complete di suggestioni e della consapevolezza di aver assistito alla nascita del Rinascimento!