La vita è una catena

[attenzione, mi preme avvertire il lettore che questo post.. contiene uno spoiler del film Prisoners… uomo avvisato.. ecc.ecc.]

Come cagne frughiamo la scia di sangue che goccia dal cervo trafitto

Così le Erinni in un passo delle Eumenidi di Eschilo. E, curiosamente, il film di Denis Villeneuve comincia con la scena di un cervo “trafitto”, o meglio colpito a morte da un ragazzo alla sua prima uscita di caccia da protagonista, al fianco del padre.

Guardare “Prisoners”, il film in questione, mi ha fatto ripiombare nella trilogia eschilea (lo so, c’è chi non sta bene… che ci posso fare) e nel vecchio adagio della colpa che ricade sui figli.

Il titolo è perfetto: Prigionieri. Non si specifica chi, come, cosa e perché, si sa solo che tutti i protagonisti, dal primo all’ultimo, sono prigionieri in una gabbia che si sono creati. Di solito è una gabbia ereditata, ma accade sempre qualcosa, all’interno del film oppure in momenti diversi che nel film sono però raccontati, in cui questa gabbia poteva essere aperta… ma si è preferito rintanarci dentro e rimanere “al sicuro”, senza prendere in mano la nostra vita.

La trama è semplice, due famiglie che si ritrovano per Thanksgiving Day e le due figlie più piccole che scompaiono senza lasciare traccia. Scatta la ricerca delle bambine, i sospetti che si tratti di un caso di pedofilia, l’intervento di un detective che cerca di fare il proprio lavoro, ma deve tenere a bada i padri, anzi, un padre (Hugh Jackman) che sembra aver perso la testa.
I protagonisti non sono molti, ma sono legati gli uni agli altri in un gioco di scatole cinesi.
Alla fine del film la soluzione sembra quasi banale, la sensazione è che la soluzione è sempre stata davanti agli occhi di tutti.
Allora come mai ci sono voluti 6 giorni per risolvere il caso e trovare le bimbe (in effetti una si libera da sola…)?

Perché qualcosa e qualcuno è intervenuto a complicare il lavoro del detective, che, per inciso, è davvero un tipo in gamba, intuitivo e sveglio. Eppure ogni personaggio si è messo in mezzo, ha creato confusione e ritardi.
Perché?

Così sulla rocca regale
terzo tempestoso vortice
fulminante si scarica.
pasto di figli – miseria del padre
Tieste – fu preludio di angosce,
la prima. Secondo fu il clpo
inflitto al principe: cadde
stroncato nel bagno
il sovrano guerriero di Argo.
Ora è giunta la terza.
Mistero da dove! Salvezza
o fine fatale la chiamo?
Condurrà ad una fine?
Potrà mai declinare – e dove –
quieto di sonno
rovinoso rancore di Colpa?

Sono ancora le Eumenidi, cioè le Erinni che stanno per diventare “buone”.
Dunque, una piccola delucidazione: il dramma di Eschilo gira attorno alla famiglia di Agamennone. Un gruppo di persone dallo spessore etico piuttosto sottile… Il padre di Agamennone e Menelao, Atreo, ha dato al fratello Tieste in pasto i suoi stessi figli.

Seneca ci tirerà fuori una delle tragedie più pulp della storia della letteratura. Naturalmente è una storia di corna: i due fratelli, che già sono figli di Pelope e Ippodamia, due innamorati che per sposarsi hanno dovuto uccidere il padre di lei, e che hanno ammazzato il terzo fratello per potergli soffiare il regno, si contendono la stessa donna. La moglie di Atreo lo tradisce con Tieste, e quindi ecco la sua vendetta.. si dice che vada servita fredda, in realtà si trattava di una macabra zuppa.

Agamennone, per ottenere venti favorevoli a salpare velocemente verso Troia, invece di aspettare l’anticiclone ha deciso di sacrificare la propria figlia, Ifigenia. Come dire.. la moglie Clitemnestra se l’è legata al dito.

Così, non solo lo tradisce mentre lui è a Troia (va beh, frase infelice, lo so), ma, al suo ritorno, decide di ucciderlo, per punirlo di quel che ha fatto a Ifigenia.. e per poter starsene tranquilla a palazzo con l’amante.

Oreste, figlio di Agamennone e Clitemnestra, uccide la madre e l’amante, per vendicare suo padre. E’ Apollo a dirgli di fare così, in fondo lui segue solo quel che gli dice un dio.. perciò alla fine verrà graziato.

Ma la fine arriva dopo anni di sofferenza: le Erinni sono le Furie, le dee che ti rincorrono, braccandoti come un cervo ferito, per metterti di fronte alle tue malefatte, alle tue responsabilità. Quando va bene, ti fanno impazzire.

Eschilo ci tiene a sottolineare questo concetto di “concatenazione di mali”: le colpe dei padri ricadono sui figli. C’è sempre qualcuno che maledice qualcun altro, condannandolo ad un destino di morte. In fondo anche Eteocle e Polinice sono maledetti da Edipo, ma lui chi era stato, se non l’assassino di suo padre e l’amante di sua madre?! E prima di lui, i suoi genitori, di quali colpe si erano macchiati per avere in sorte un figlio del genere?

A botte di tre generazioni, il fato crudele degli dèi si compie sugli uomini e nessuno sfugge. Eschilo esprime una svolta: le divinità non lasciano più che la catena accada, ma intervengono. Apollo spinge Oreste ad un gesto inconcepibile, perciò, forse, Oreste ha meno colpa. Atena cerca di “metterci una pezza” e decide di istituire un tribunale per i fatti di sangue: il diritto umano si confronta con quello divino e pone delle regole da rispettare. Non è più una scelta obbligata, ma solo una scelta. Le Erinni non hanno più motivo di esistere, si chiameranno Eumenidi, le benevole, e smetteranno di inseguire il colpevole o di spingerlo ad una estrema vendetta:

Ora ascolta da che nascita vengo. Io sono d’Argo. Mio padre ti è certo presente: Agamennone (…) al suo fianco spianasti Ilio troiana (…) Lui è caduto: opaca morte, rientrando alla casa. Lei l’ha abbattuto, mia madre, cuore d’ombra (…) Poi io ritornai – ero esule, tutto quel tempo – e uccisi chi mi diede la vita: non voglio negarlo. Scambio di morte a vendetta del padre, ch’era parte di me. Di questo colpo un altro è artefice, al mio fianco: l’Ambiguo [Apollo, ndS], che mi profetava tormenti se non mi fossi fatto esecutore di chi aveva tramato il delitto. A te, ora, formulare il giudizio: fui giusto? non fui? In te è il mio esito.

Oreste si offre ad Atena, dopo aver comunque fatto un sacrificio di espiazione (il solito porcello). Oreste esce dalla gabbia in cui lo aveva messo suo padre: uccide, sì, ma cerca un riscatto.

Torniamo ai nostri Prigionieri americani.
L’ambientazione è interessante.. mi ha ricordato molto da vicino il simpatico borgo in cui ho vissuto per quasi 5 mesi. Una cittadina americana, più boschi che case, con le abitazioni su due piani, il garage, il portico, il pezzo di terra, il cane da portare fuori. Il freddo e la pioggia, i diners, i pick-up, le famigliole politically correct: i protagonisti sono una famiglia WASP e una afroamericana, la perfezione.

Il padre bianco insegna al figlio a cacciare, perché suo padre era solito dire “expect the best, but be prepared for the worst” (liberamente: “aspettati il meglio, ma sii preparato per il peggio”). Lui ha uno scantinato provvisto di tutto il necessario per sopravvivere nel caso di una catastrofe, che sia un tornado oppure una guerra civile. Questo padre è dolce ma anche severo, è pronto a tutto, prende in mano la situazione. Affida al figlio la moglie, incapace di reagire alla tragedia, e si muove come sa fare lui: parte per la caccia all’uomo.
Quando trova quello che sta cercando, si applica diligentemente, come se stesse seguendo un manuale di Abu Grahib, e tortura il “suo” uomo per farlo parlare.
Nel corso del film apprendiamo che il padre di questo personaggio era un militare, suicidatosi per cause ignote quando il figlio era poco più che adolescente. Proprio nella casa paterna, questo figlio mai cresciuto decide di sfogare la sua rabbia sistematica contro…?

Un ragazzo vagamente ritardato, che sembra coinvolto, ma ha un Q.I. di un bambino di 10 anni e non riesce ad essere di aiuto alla polizia.
Nel corso del film apprendiamo che da bambino è stato rapito, ha subito un forte trauma, è stato drogato pesantemente e gli hanno bruciato i neuroni.

Il padre bianco cerca un alleato nel padre nero. Un po’ come il Pilade di Eschilo, questo personaggio parla poco, sembra succube.. un po’ di tutti. Non approva la tortura del suo amico, ma non riesce a fermarlo. Non resiste alla consegna del silenzio e ne parla con la moglie. Lei inizialmente è inorridita, poi prende la decisione inquietante: non partecipiamo alla tortura, ma non facciamo nulla per fermare il nostro amico e non lo denunciamo alle autorità, in fondo.. magari riesce a capire dove sono finite le bambine. La faccia del padre nero è densa di significato, non solo condanna in cuor suo la moglie, ma forse si sente migliore di lei, forse la biasima… e non dice una parola.

Un altro ambiguo personaggio incrocia le strade delle due famiglie: si tratta di un ragazzo che il detective comincia a controllare, perché pensa che possa sapere qualcosa di utile. Veniamo a sapere che, da bambino, era stato rapito e da allora riproduceva il rapimento e l’uccisione di bambini, comprando abiti oppure sottraendo indumenti dalle case dei piccoli rapiti, e mettendoli, sporchi di sangue di maiale, dentro a scatole chiuse, piene di serpenti….
Di nuovo il maiale, ma pensa…

Un’altra prigioniera è la moglie del padre wasp. Una sua frase è decisiva per farci capire di che tipo si tratti: “avevi detto che ci avresti sempre protetto”, dice piangendo al marito, impotente di fronte all’evento che sta distruggendo la loro famiglia.

E poi c’è il prete… un sacerdote cattolico, noto alla polizia per atti osceni di pedofilia, il quale tiene nascosto nel suo scantinato (minchia, gli scantinati americani.. come mi inquietano!) il cadavere di un uomo. Dice che gli ha confessato di aver rapito 16 bambini, lui l’ha assolto.. ma poi l’ha lasciato lì a morire..

Chiave di volta risulta una collanina del cadavere: il ciondolo è un labirinto, il ragazzo dei serpenti era ossessionato dal labirinto, lo zio del ragazzo ritardato aveva un ciondolo uguale.
BINGO!

Quasi contemporaneamente il detective e Hugh Jackman scoprono la verità: la cosiddetta zia del ragazzo ritardato è in realtà una pazza furiosa, che con il marito (ora cadavere in canonica) ha rapito bambini per gettare i genitori nella disperazione e allontanarli da Dio e da un futuro da Mulino Bianco…

Dunque, quante gabbie abbiamo contato fino ad ora? Il ruolo di ogni personaggio è dettato dal proprio passato. Un genitore oppressivo e debole ha creato un padre fragile che agisce da Marine. Un uomo succube della propria ignavia si diverte solo quando è brillo e non riesce a imporre la propria razionalità.
Due giovani uomini sono rimasti prigionieri di quel buio labirinto in cui erano stati gettati da bambini, anche se fisicamente ne sono fuori, non riescono a fuggire via.
Una donna prigioniera del ruolo di moglie devota, nel momento del bisogno non riesce a uscire dal letto e si imbottisce di ansiolitici e sonniferi perché non ha idea di come affrontare la situazione.
Un pazzo furioso rimane prigioniero di colui al quale si era rivolto in cerca di espiazione.

E intanto le due bambine sono tenute in ostaggio. Di una malata di mente, prigioniera per definizione.
Il detective è l’unico ad avere guizzi di libertà, ad esempio quando mette insieme i pezzi dei racconti, quando cerca nella vita dei protagonisti e intuisci un filo che lega tutti. Ma il suo capo prende decisioni senza comunicargliele, perciò lo costringe ad agire in modo irrazionale (provocherà anche il suicidio di uno dei ragazzi).

Alla fine Hugh Jackman arriva prima della polizia, ma non può nulla contro la “zia” e finisce con l’essere rinchiuso anche lui. In un pozzo.
La scena della liberazione di sua figlia ha luogo senza di lui. La fine del film, però, ci fa intuire che il detective lo ritroverà e lo salverà dal pozzo.

Ma sarà veramente libero?

Ecco, le nuove leggi! E’ la fine,
se prevale il diritto al crimine
Agire umano e delitto: un incastro
perfetto, da ora, per sempre.
La sua colpa ne è causa.
Quante mani di figli, atte a ferire
madri e padri, nel tempo che viene!
Non ci saremo, a frugare il cuore dell’uomo
Ammazzi chi vuole.

Correrà una domanda, allora,
fra tanti racconti, l’un l’altro,
di lutti in famiglia: quando
cessa l’angoscia?

Nel dolore, la cieca consolazione di vacillanti rimedi.

Le Erinni, ormai Eumenidi, non sono contente della piega che sta prendendo la società. Questa storia di leggi umane che regolano le vendette familiari non regge.

Ma in Prisoners sembra che le Erinni l’abbiano avuta vinta. Sembra di essere tornati indietro di millenni. Alla fine del film si ha la sensazione netta che il tutto si sarebbe potuto concludere nei primi 40 minuti… il film dura 2 ORE! perché qualcuno ha messo i bastoni tra le ruote, i due padri, il ragazzo dei serpenti, tutti quanti, chi più chi meno, hanno recitato una loro, privata, tragedia e non hanno agito in armonia con la società, ma solo spinti dalle loro Erinni personali.
E’ interessante che il regista sia canadese, ma che ambienti la vicenda negli USA. Sarà per caso una critica mirata?
Mah, io so solo che la vicenda narrata ha un valore universale, proprio come la cara vecchia tragedia eschilea.
Lo stesso valore che diamo al simbolo del labirinto, non a caso scelto anche in questo caso per indicare paure profonde, inconscio, rimpianti e rimorsi, tutto quello che seppelliamo dentro di noi e che ci imprigiona senza via di uscita, fino a quando non decidiamo di affrontarlo.

Quando usciremo dalle nostre gabbie? Quando spezzeremo la catena di odio e di dolore che ci stiamo quotidianamente costruendo attorno ai polsi?
La speranza c’è, la soluzione è a portata di mano. Basta volerlo.

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