Una rubrica inaugurata? Forse sì. Diciamo che sotto l’auspicio benaugurante di Luigi Adriano Milani, primo direttore del Museo Archeologico di Firenze (allora – 1881 – ancora Regio Museo Etrusco), proviamo a raccogliere testimonianze di persone (anzi, personaggi) che in vari momenti di questi 150 anni e a vario titolo hanno riflettuto sui Beni Culturali italiani.
I perché di questo libro
Questo libro è mortificante. Nonostante ciò, anzi perciò, doveva essere scritto. Questo libro è umiliante. Nonostante ciò, anzi perciò, era opportuno stamparlo. Questo libro è desolante. Nonostante ciò, anzi perciò, deve essere letto e riletto.
Mortificante, perché dimostra come, sciaguratamente, la nostra cosiddetta classe dirigente non abbia saputo valutare la enorme importanza del patrimonio artistico nazionale.
Umiliante, perché dolorosamente documenta l’indifferenza e l’inefficienza dei vari governi, nei riguardi d’un fondamentale capitolo, non solo della nostra vita passata (e quindi della nostra arte), ma della vita presente del nostro paese e del nostro popolo.
Desolante, perché miseramente rivela come tutti gli appelli, nostrani e stranieri, per un maggior senso di responsabilità verso gl’inestimabili tesori della nostra arte, siano caduti nel vuoto dell’incomprensione o nel limbo della dimenticanza.
Quando – ci domandiamo con profonda ansietà – capiremo che la vita anche attuale della nostra nazione è legata a doppio filo con la vita di ieri, ancora palpitante nelle opere d’arte e nei documenti bibliografici e d’archivio?
Quando – ci domandiamo con incontenibile sdegno – s’intenderà che nella pletora dei funzionari, impiegati e salariati di stato, i dirigenti, i tecnici, i restauratori, il personale di custodia delle soprintendenze alle antichità, alle belle arti e alle biblioteche sono fra i più utili e necessari?
Quando – ci domandiamo con irosa impazienza – i nostri ottusi economisti si persuaderanno che gl’investimenti a prò del patrimonio artistico non sono passivi ma attivissimi?
Tutte queste domande, che da gran tempo tumultuavano confusamente nel nostro petti, si fanno più nette, chiare e urgenti dopo la lettura del libro scritto da Giuseppe Vedovato, non certo per diletto né per ostentazione, ma, al contrario, composto di precisi documenti, qualche volta anche aridi, am sempre pertinenti e convincenti.
La parte più viva, s’intende, è formata dai discorsi del Vedovato alla Camera, dai suoi interventi ai Congressi, dalle sue interpellanze, alle quali ha voluto aggiungere le relazioni dei due soprintendenti fiorentini Procacci e Morozzi.
Giuseppe Vedovato, però non si è fermato alle critiche e alle lamentele degli eterni dissidenti e maldicenti. Non è uno di quei piagnoni, che lagnandosi dello scempio fatto nel nostro paesaggio, dell’abbandono nel quale si trovano i celebri monumenti, dell’incustodia nella quale sono tenute le più famose gallerie, riempiono delle loro sincere, ma spesso sterili lacrime, un pozzo, dentro il quale si contentano di contemplare la luna piena di vane illusioni.
Giuseppe Vedovato non è neppure uno dei soliti e dei troppi scandalisti, che si compiacciono di trovare tutto sbagliato e tutto fatto male, tutto irreparabilmente perduto, per il gusto di fare i profeti di sciagure sulla pelle degli altri, salvo poi a sottrarsi dinanzi alle piccole responsabilità o a prestarsi al profitto dei propri amici e clienti.
Giuseppe Vedovato, da quando è deputato, ed anche da prima come giurista, non ha tirato soltanto a scrivere belle pagine e non ha cercato di far bella figura, stilando relazioni e pronunciando discorsi, ma è andato al concreto, presentando proposte preparando disegni di legge, con tanto di articoli, di avvertenze e di norme. Alla Camera e presso il Governo ha svolto un’opera che poteva essere efficacissima nei riguardi del patrimonio artistico nazionale, se fosse stata presa, come meritava, in più seria considerazione. Ma anch’egli, a quanto pare, è stato la voce invano clamante in un deserto di sabbia burocratica e di motriglia politica. Il termine “insabbiare” attiene a questo mondo d’infecondi ed anche immondi mestatori oppure, nel caso migliore, di semplici mestieranti.
Nel leggere le pagine di questo libro mi sono domandato, e tutti i lettori certamente se lo domanderanno, come siano state accolte le interpellanze dell’onorevole Giuseppe Vedovato, come siano stati ascoltati i suoi consigli, quante leggi, da lui reiteratamente presentate, siano diventate operanti. Eppure le proposte del Vedovato portavano tutte il suggello dell’opportunità politica e quello della saggezza amministrativa.
Perché non sono state ascoltate? Perché non sono state accolte? Perché non sono state tradotte in articoli di legge?
Qual genio malefico ha ispirato fino a qui la improvvida politica della nostra sciagurata nazione? Quale sorte deleteria domina e paralizza la volontà dei legislatori e rende vano ogni intervento in materia artistica e culturale?
Questo libro, se da una parte rappresenta il bilancio, in attivo, del deputato Giuseppe Vedovato, dall’altra parte rappresenta il bilancio, in passivo, dello Stato italiano, che non ha attuato quasi nulla di quello che Vedovato aveva prospettato con chiarezza esemplare e proposto con ammirevole lungimiranza.
Per questo il libro è, come dicevo da principio, mortificante, umiliante e desolante.
Ma anche corroborante, perché stimola la volontà di fare qualcosa di positivo e suscita il desiderio di uscire dal dominio delle buone intenzioni ed entrare in quello dei fatti concreti.
E basta con le commissioni più o meno miste (stavo per scrivere meste); basta con i comitati più o meno paritetici (stavo per scrivere peripatetici). Di relazioni, ormai, abbiamo piene le librerie e le tasche. Servono soltanto a provocare gli sbadigli della nostra sonnolenta burocrazia.
Occorrono leggi, occorrono regolamenti, occorrono finanziamenti; quelle leggi, quei regolamenti quei finanziamenti, non soltanto richiesti, ma studiati con amore e con intelligenza formulati dall’amico Vedovato, come questo libro documenta in maniera inconfutabile e dimostra in modo incontrovertibile.
Prefazione a G. Vedovato, Difesa di Firenze e dei beni artistico –culturali. Firenze, 1968
Ecco, sì MILLENOVECENTOSESSANTOTTO