Dal tramonto all’alba

Blocco di arenaria scolpito con figura di agnello. Trovato nella chiesa più piccola del complesso di Santo Stefano a Um er-Rasas, nell’atrio meridionale. III o IV secolo d.C.

Dopo la mostra “senza immagini”, vi presento un’altra piccola esibizione temporanea, sempre a Roma, che invece sembra affidarsi molto all’effetto scenografico.

Si tratta di “Giordania, l’alba del Cristianesimo”, allestita al primo piano del Palazzo della Cancelleria a Roma e aperta fino al 28 febbraio.

Si tratta di una mostra voluta dall’Ente del Turismo giordano e dunque ben pubblicizzata, con una inaugurazione in cui è intervenuta la neo ministra del turismo e delle antichità del Regno Hashemita di Giordania Sua Eccellenza Lina Annab, la quale, dopo un breve discorso, ha brillantemente riassunto le motivazioni che rendono questa una mostra effettivamente imperdibile:

Ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci divide

Il riferimento era, naturalmente, diretto ai rapporti tra Giordania e Italia: da una parte un Paese mediorientale in cui il 92% della popolazione pratica la religione musulmana di confessione sunnita e il 6% si dichiara cristiano, dall’altra un Paese che è sede del patriarca della religione cristiana cattolica e che nel 2025 celebra il venticinquesimo giubileo universale nella storia della chiesa cattolica.

Giubilo

Lastra decorata nella cosiddetta “pietra di Mosè” o bitume. Balaustra del presbiterio trovata a Rujm Al Kursi.

La mostra del Palazzo della Cancelleria intende inserirsi nelle celebrazioni giubilari e indicare i luoghi cristiani della terra giordana, presentando circa 90 oggetti, ritrovati in vari luoghi giordani, che testimoniano la presenza cristiana fin dal III secolo. Ci sono poi alcuni anniversari che legano ancora più strettamente la Giordania e la Santa Sede: nel 2025, infatti, si celebrano 30 anni di relazioni diplomatiche e 60 anni dalla visita di Paolo VI ad Amman.

Pellegrini

Bottiglia di vetro a forma di pesce, ritrovata a Khirbat Yajuz. VI secolo d.C.

Grazie a Nadia Pasqual e ad Archeologia Viva ho avuto l’opportunità di partecipare all’inaugurazione e di aggirarmi con calma tra le vetrine dell’allestimento molto suggestivo, a cura, tra gli altri, di Saleem Janini (Direttore Creativo) e di Paolo Francesco Caponi (Architetto). La selezione del materiale e la cura del catalogo sono invece opera del dottor Eyad Al-Khzuz, il quale ha voluto far emergere la storia cristiana della Giordania, attraverso i cinque siti di pellegrinaggio riconosciuti dal Vaticano:
Tel Mar Elias, il luogo di nascita del profeta Elia.
Nostra Signora della Montagna, santuario che commemora la Vergine Maria.
Monte Nebo, ultimo luogo di riposo del profeta Mosè.
Macheronte, dove si racconta del martirio di Giovanni Battista.
Il sito del Battesimo di Gesù Cristo (Maghtas) sul fiume Giordano.

Parafrasando la ministra, è vero che siamo ormai “abituati a pensare a una topografia del Cristianesimo che segua le vicende di Santi e martiri in Europa, relegando la terra da cui tutto è originato come territorio arabo” e musulmano, eppure continuiamo a utilizzare il termine Terra Santa per indicare la terra compresa tra mar Mediterraneo e fiume Giordano e costellata di luoghi sacri alle tre principali religioni monoteistiche. Anche da un punto di vista di marketing turistico, siti come il Monte Nebo o Al-Maghtas/Betania (per non parlare di Gerusalemme), sono mete di viaggi dalla chiara ispirazione spirituale.

Mosaico con iscrizione in aramaico. Scoperto presso la chiesa inferiore del monastero di San Cyrianus, Wadi Mujib, nella zona del Monte Nebo. Il testo commemora le azioni di Cyrianus e di altri benefattori che finanziarono il restauro della chiesa. V-VI secolo d.C.

La mostra romana vuole fermare proprio i pellegrini “mordi e fuggi” e presentare loro un territorio molto più vasto dei soliti siti, dove la pratica quotidiana del Cristianesimo è testimoniata, nell’arco di tre-quattro secoli, da oggetti semplici, ritrovati anche in luoghi non celebri.

Ritorno alle origini

Nell’accostarmi alla concezione della mostra, mi sono ritrovata a fare una riflessione: il culto della Magna Mater e il culto di Mithra si sviluppano in età romana, ma hanno origini dichiaratamente orientali. Vale a dire che è possibile individuare luoghi persiani e anatolici in cui venivano venerate queste divinità, ma quando parliamo del culto della Magna Mater e del culto di Mithra, facciamo riferimento alle forme romane di questi culti, che nel contatto con la civiltà di Roma hanno acquisito la forma che li ha resi popolari e diffusi fino negli angoli più remoti dell’impero.

Croce metallica scoperta nella chiesa di Milachios, Macheronte. VI secolo d.C.

Ebbene, nel caso del Cristianesimo, altra religioni iniziatica mediorientale, la diffusione capillare attraverso l’impero non si è mai davvero allontanata dalla narrazione primigenia, quella del fiume Giordano, del deserto della Giudea, del palazzo di Erode Antipa, del lago di Tiberiade.

Ecco, dunque, comparire, uno dopo l’altro, i parafernalia del culto cristiano, perfettamente conservati e “funzionanti” tra i resti delle chiese e delle cittadine giordane: croci utilizzate come pendenti, incensieri, lucerne con simboli cristiani, capitelli e mosaici decorati con agnelli e pesci, balaustre di presbiteri dai motivi intrecciati di croci e losanghe.

Morire di giovedì

Stele di Milchis, prestito dal Museo nel punto più basso del mondo.

C’è poi una serie di monumenti che mi ha particolarmente commosso: si tratta di stele funerarie con brevi iscrizioni che indicano i nomi dei defunti, l’età, l’anno del decesso e il giorno della settimana. Un uso che, come riporta l’approfondimento nel catalogo, in Oriente andò spegnendosi intorno al VI secolo.

Monumento di Milchis, figlio di Massimo, che morì all’età di 55 anni, nell’anno 280, il quindicesimo del mese di Distro, nel giorno di Giove. Sii di buon umore, Milchis, nessuno è immortale.

Perché visitare la mostra?

Devo aggiungere, per onestà, che, a fronte di un grande impatto scenico, la mostra è un po’ carente da un punto di vista del supporto didattico, con molti errori di stampa, frasi troncate e qualche attribuzione non chiara.

Tuttavia penso che uno degli obiettivi raggiunti sia quello di suscitare una curiosità nuova nei confronti della Giordania e di invogliare il visitatore a progettare un viaggio per ritrovare una poesia spirituale che oggi è sicuramente difficile da ricreare. Se i riferimenti testuali nel catalogo sono esclusivamente legati ai vangeli, ciò che troviamo in mostra ci parla di Storia e di esperienze umane, sia quelle degli antichi abitanti giordani che quelle dei moderni archeologi e studiosi.

A questo proposito, mi piace ricordare l’opera della Missione Archeologica Italiana a Wadi Mousa, di cui ho scritto tempo fa qui.

E anche la presenza italiana in luoghi chiave del territorio cosiddetto della Terra Santa come gli scavi al Santo Sepolcro, vedete, per esempio, qui.

Dal tramonto all’alba ho voluto intitolare questa mia breve riflessione, perché la nostra società sembra non riuscire a sfuggire alla corsa inarrestabile verso le tenebre dell’odio e dell’ignoranza, perciò qualunque alba, anche quella di un culto misterico ormai non più al passo con i tempi, spero possa portare un po’ di quella luce della Storia di cui tutti noi sentiamo la mancanza.

Mosaico con pesce dalla cattedrale di Madaba, VI secolo d.C.

Dal 31 Gennaio 2025 al 28 Febbraio 2025

Ingresso gratuito e prenotazione obbligatoria sul sito

Sito ufficiale: http://www.mostragiordania.com

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