La prima volta che sono entrata al Louvre è stato, mi sembra, nel 2011. Accompagnavo un gruppo di ragazzini statunitensi e li lasciai nelle capaci mani della guida e degli altri miei colleghi, mentre io mi perdevo nei meandri del piano terra, tra i miei amati antichi. Decisi, tuttavia, che dovevo pagare il pegno di una capatina davanti alla Monnalisa e quindi mi intrufolai e raggiunsi la sala 711 al primo piano.
Mentre sorridevo nel vedere l’accalcarsi di gente davanti al piccolo quadro, schermato dal vetro, restai affascinata dalle “Nozze di Cana”, di Paolo Veronese, che campeggia sulla parete opposta, quasi 10 metri di lunghezza; il quadro che una signora indiana stava descrivendo alla figlia come “L’ultima cena”, per cui io mi sentii in dovere di correggerla…
Ma prima di lasciare la sala restai colpita da un quadro sulla parete destra (guardando la Gioconda), un altro lavoro di Veronese, una crocifissione. Quello che mi colpì fu la composizione della scena: non le tre croci frontali, con la Maddalena, Giovanni e Maria addolorati ai piedi di quella centrale, non angeli svolazzanti disperati, non legionari con spugne imbevute di aceto oppure sghignazzanti che si giocano ai dadi la tunica.
No, Veronese mette le croci di scorcio, sulla sinistra.
Questioni di prospettiva
Io non sono una storica dell’arte e così ho provato a cercare commenti ben più professionali che potessero spiegarmi la scelta del pittore. Ho trovato alcune schede del dipinto, che elencano gli altri casi in cui Veronese (ma prima di lui, per esempio, Tintoretto) decide di abbandonare la visione frontale delle croci. Ciò che desta ammirazione e suggerisce approfondimento è la composizione delle persone ai piedi delle croci: la figura di Maria svenuta riprende un preciso topos letterario e iconografico.
Si viene a creare una sorta di piramide tra il vertice della croce del Nazareno, identificata dal cartiglio con INRI, e la Madonna svenuta a terra (vedi a sinistra)
La stessa disposizione si può trovare in un altro dipinto, di maggiori dimensioni, dove addirittura le tre croci sono un dettaglio, il Golgota non è che un evento che accade mentre la scena principale si svolge al centro del dipinto (vedi sotto)
Ma non sono riuscita a trovare un commento che esprimesse il mio stato d’animo, ciò che ho provato nel guardare il quadro la prima volta.
Peeping Stefi
Abituata alle crocifissioni frontali, figlie della tradizione da icona che ti propone già la chiave di lettura e ti chiede solo di credere, obbedire e rendere omaggio, la composizione di Veronese mi ha spiazzato.
Mi è sembrato di imbattermi nella scena quasi per caso, di entrare nello spazio della crocifissione da una strada laterale, come se mi fossi persa e, all’improvviso, mi trovassi dinanzi al momento più importante di una religione: il momento del tra-passo, del dio che muore e sperimenta in tutto e per tutto l’essere umano.
Il quadro di Paolo Veronese mi ha colpito nel profondo, proprio per quel suo chiederci di entrare nella scena in punta di piedi: una madre sta soffrendo in maniera indicibile, un uomo sta morendo, un dio si sta sacrificando, puoi non crederci, se non vuoi, ma tutto ciò sta accadendo “nonostante te”, “nonostante la tua fede”. Perciò abbi rispetto e avvicinati piano.
Nessuno ti guarda, nessuno si interessa a te, sei tu che devi farti carico della responsabilità del fedele e comprendere che, se ti farai più vicino, diventerai un martire, un testimone.