E intanto le Cariti ricciute e le Hore piene di allegria, e Armonia e Ebe e Afrodite, figlia di Zeus, danzano insieme tenendosi per mano
Inno omerico ad Apollo, vv 194-196
Nella notte dell’ora legale scrivo un’ode che indaga la figura sfuggente dell’Hora classica. E scopro che questo nostro modo di chiamarla “legale” in effetti riecheggia l’origine alta ed esiodea del mito:
Per seconda poi sposò la splendida Temi, che fu madre delle Hore, Eunomia, Dike e Eirene fiorente, che vegliano sull’opera degli uomini mortali
Esiodo, Teogonia, vv 901-903
Il poeta delle origini del mondo e del suo ordine, spiega che le Ore sono figlie di Zeus e Temis e sorelle delle Moire, le signore del destino. Dunque dal padre degli dei e dalla personificazione della Giustizia divina derivano le tre dee che sovrintendono al tempo vissuto dagli uomini nel quotidiano e le tre che sovrintendono al tempo della vita umana. Esiodo dà addirittura un nome a queste Ore: il Buon Governo, la Giustizia e la Pace. Lasciandoci immaginare che da Zeus arrivi, come una benedizione, il tempo degli uomini, intriso di equilibrio e armonia, devoto esclusivamente al buon corso degli eventi: per questo le fanciulle si uniscono alla danza immortale del dio dell’equilibrio, Apollo.
Ma tale lettura squisitamente allegorica di Esiodo è già un passo successivo all’origine delle Horai:
Mi donasti tredici peri, dieci meli e quaranta fichi; promettesti di darmi così cinquanta filari, e maturava ciascuno dopo l’altro i suoi grappoli – vi sono uve di ogni genere ovunque – quando le stagioni di Zeus dall’alto li caricano
Odissea, XXIV, vv 340-344
Le “stagioni di Zeus” non sono altro che le Horai (῟Ωραι) e infatti se il padre è il dio del cielo e della pioggia, le figlie, partorite insieme alla saggia dea che amministra la giustizia in cielo e in terra, sono gli effetti dell’opera del padre sulle messi e sull’ambiente.
Pausania, nel libro IX al capitolo 35, ci racconta che ad Atene si onoravano due Horai: Thallò, la stagione della primavera, e Carpò, la stagione dell’autunno. Ognuna con il suo carico di simboli, dai fiori sbocciati ai frutti dei raccolti, ognuna da santificare perché foriera di benessere, ognuna da difendere, come imparavano gli efebi in giuramento.
Le Horai belle
Fin da subito i mitografi più antichi associano Horai e Charites: di queste ultime si sa che sono molto belle e aggraziate e che assistono Afrodite. Allora la dea che nascendo porta la primavera sembra destinata alla bellezza e al controllo del tempo atmosferico, il suo arrivo – infatti – è associato a un clima mite, denso di aromi, colorato dai mille boccioli in fiore. Per i pittori o gli scultori più superficiali, dunque, le ragazze del corteggio di Afrodite si assomigliano tutte e non possono fare altro che sorridere, essere vestite di veli trasparenti e tenersi per mano in una danza eterea.
La danza delle Horai
Il primo a voler moltiplicare queste giovani donne, nate già sagge e cariche di impegni, fu Igino, il quale nelle sue Fabulae diede il nome a dieci di esse. Dopo di lui anche Quinto Smirneo e Nonno di Panopoli si divertono a immaginarle associate alle porzioni del giorno, sempre danzanti perché sempre fuggevoli. Si perde a poco a poco quella idea così nobile che le aveva designate guardiane dei cancelli dell’Olimpo e del tempo degli uomini che, nell’intenzione della saggia Temis, doveva essere impiegato per agire secondo la Legge del creato.
Nel 1874 Amilcare Ponchielli dà un pentagramma a quello che per secoli era stato il ritornello degli artisti più metafisici: “La Danza delle Ore” diventa un intermezzo ballato ne “La Gioconda” e lo interpretano 12 ballerine, raggruppate in ore dell’aurora, del giorno, della sera e della notte, organizzate da due ballerini, le lancette.
In questa notte, dunque, fermatevi un attimo e sospendete il tempo. Prendete per mano le Ore e unitevi a loro in una danza fatta di istanti.