Lo scorso settembre mi sono immersa nelle sale della Pinacoteca Ambrosiana perché volevo mostrare a un’amica la magnificenza del cartone di Raffaello per la Scuola di Atene. Nel “perderci” tra i dipinti, dentro e fuori dalla balconata, proiettate in un’atmosfera da Promessi Sposi (il Cardinale Borromeo, che volle la Biblioteca e la Pinacoteca) ma in salsa Liberty, ci siamo soffermate su di un quadro in particolare.
In una sala di passaggio, nella penombra, il soggetto ci è sembrato interessante ed è stata la mia amica a farmi venire in mente una possibile lettura interpretativa: il giovane che conduce in braccio una donna nuda, ma dal volto di leonessa, poteva essere Peleo che portava trionfalmente a casa la Nereide Teti.
Il tempo era poco, la foto venne fatta in fretta e furia, così come quella alla didascalia. Quando poi ho deciso di inaugurare questa serie di articoli su miti classici trasposti su tela, il quadro mi è ovviamente tornato in mente e ho cercato informazioni (e una foto migliore) online, ma – non trovando nulla – ho deciso alla fine di rivolgermi direttamente alla Pinacoteca. Mi hanno risposto in pochissime ore, fornendomi foto e scheda di catalogo; eravamo in piena quarantena, perciò – scusandosi – mi hanno mandato delle immagini scansionate. Una cortesia eccezionale, che però mi ha catapultato in un vero dilemma!
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei
La scheda del catalogo, infatti, mi informa che il dipinto è opera di Luca Giordano, eccezionale artista, autore di numerosi quadri di soggetto mitologico, raffinati per scelta del mito e spesso complicati perché votati all’allegoria. Questo milanese viene tentativamente interpretato come “Atalanta e Ippomene”: il compilatore della scheda si protegge con un punto interrogativo, tuttavia nel breve testo suggerisce che l’identificazione è suffragata dalla presenza di elementi marini (i cavalli) esattamente come marino è il riferimento di Ovidio a Ippomene “caro a Nettuno”.
Una storia scabrosa
A questo punto, però, io resto perplessa e ripercorro la storia di Atalanta e Ippomene: la giovane cacciatrice, rifiutandosi risolutamente di piegarsi a una vita da moglie sottomessa, aveva convinto il padre a darla in moglie solo a chi l’avesse battuta nella corsa. Come forse ricordate, in un precedente episodio avevamo già visto che le mele d’oro delle Esperidi erano riuscite a rallentare la corsa di Atalanta, permettendo a Ippomene di vincere sia la gara che la mano della bella selvaggia! I due erano perciò convolati, ma la passione li aveva presi in un luogo poco consono: un bosco sacro alla dea Cibele. Ora, a difesa dei due sposini, va detto che la dea frigia era nota per avere un culto estremo, dove i freni inibitori erano gettati alle ortiche e i fedeli si contorcevano in orge animalesche…tuttavia, ci sono delle regole che vanno seguite anche per le orge! E di certo, copulare senza permesso in uno spazio sacro non è consigliato, da nessuna divinità. Atalanta e Ippomene vengono dunque puniti: come contrappasso vengono trasformati in leoni, che, secondo i Greci, rimanevano casti tra loro. I due vengono quindi aggiogati al cocchio di Cibele, la tremenda Grande Madre.
Questa storia dei leoni casti, che quando si accoppiano lo fanno solo con i leopardi, notoriamente più lussuriosi, è una notizia che si legge in Plinio (Naturalis Historia libro 8 par. 43 e seguenti) e più tardi in Pausania (III.24.2) Probabilmente si tratta di una convinzione che si sviluppa in ambiente ellenistico e poco ha a che fare con la genesi del mito dei due amanti, ma viene aggiunto in qualche versione più tarda come particolare “piccante”. Qui trovate un breve elenco di fonti antiche a riguardo.
Una donna pericolosa
Io però, guardando e riguardando il quadro, proprio non riesco a convincermi di questa spiegazione: non solo la trasformazione dovrebbe riguardare entrambi, ma la scena sembra effettivamente quella di chi sta portando via la donna, non di chi se la sta spassando o anche solo di chi sta camminando tranquillo con la legittima moglie.
Perciò torno a considerare la prima ipotesi: Peleo e Teti. La fama del figlio di Eaco e della bellissima Nereide è legata principalmente alle loro nozze. Anche in questo caso, abbiamo visto che la mela gettata proditoriamente in mezzo al banchetto di nozze è proprio quella che farà scoppiare la guerra di Troia. Un conflitto che vedrà tra i principali protagonisti proprio il figlio della coppia: Achille. Ma la loro storia d’amore comincia ben prima delle nozze ed è forse una delle più celebri tra dea e mortale che sia mai stata raccontata.
La splendida Nereide aveva destato l’attenzione del padre degli dèi (padre non a caso, il tonante Zeus, pervasivo come la pioggia di novembre, annovera tra la sua progenie quasi metà dei protagonisti delle vicende mitiche greche!), ma un oracolo era intervenuto a calmare i bollenti spiriti: il figlio avuto da Teti avrebbe detronizzato il padre. Le fonti attribuiscono l’oracolo a due personaggi dal ruolo estremamente importante nella cultura mitica greca, Apollodoro (Biblioteca III 13.5) menziona Themis, un’ancestrale divinità, depositaria della giustizia cosmica, ma un altro filone (che arriva fino a Ovidio) afferma che le tragiche parole provengono da Proteo, il vecchio del mare.
Dunque una profezia tutta marina, mutevole, come lo sono le creature acquatiche, ma estremamente tragica quando si tratta di determinare il destino degli esseri viventi.
Interviene perfino Prometeo, il dio che “vede prima” ciò che sta per accadere e, secondo la versione di Igino (Fabulae 144, ormai nel I secolo d.C.) proprio in virtù della riconoscenza per averlo avvertito, il titano verrà liberato da Zeus. Dunque Zeus decide che deve allontanare da sé anche solo l’idea di possedere Teti: la farà sposare a un altro, un umano, ché tanto agli umani ne capitano già di tutti i colori, una più o una meno non fa differenza! Ma non pesca a caso, sceglie un suo nipote, nobile re di Ftia, Peleo. Il ragazzo si è già distinto nella caccia al cinghiale calidonio, in effetti è già stato sposato una volta (!) ma farlo innamorare di Teti, la splendida, è un gioco da ragazzi.
Una corte rocambolesca
La dea, però, non è d’accordo e quindi fugge. Ora, essendo una creatura marina, Teti ha la capacità di mutare forma, infinite volte. Mi è sempre piaciuta questa idea che avevano i Greci di non potersi fidare dell’acqua: quella dolce poteva irretirti con le eccitanti forme delle ninfe e quella salata poteva portarti a una morte atroce e beffarda (sirene, Scilla, mostri marini) e convincerti a gettarti tra le braccia della tua stessa rovina.
Teti si trasforma in…animali feroci: serpente, tigre e leonessa! Le scene di Peleo che tenta di afferrarla sono estremamente significative: non è un inseguimento, ma una lotta! Peleo è raffigurato come Eracle in uno dei suoi scontri più duri: le braccia dell’eroe avvinghiano la dea alla vita, mentre le membra divine prendono forme disparate.
Finalmente Teti si stanca o si convince, non potremo mai sapere la verità…e i due convolano a nozze.
La metamorfosi nelle Metamorfosi
Tornando al quadro di Luca Giordano, credo che uno dei modi migliori per carpirne il soggetto sia verificare le fonti cui il pittore poteva attingere. Ovidio e le sue Metamorfosi sono il testo “sacro” per chiunque voglia sfoggiare una cultura classica, ma anche il libro delle meraviglie per chi cerchi la suggestione di immagini fantastiche. Il poeta latino pesca generosamente dal cesto del mito greco e seleziona (o a volte modifica) quelle storie che prevedono la magica trasformazione di uno o più personaggi. Nel libro XI, dunque, egli decide di raccontare la difficile corte di Peleo a Teti e scrive così:
Qui ho preso lo screenshot: http://www.miti3000.it/mito/biblio/ovidio/metamorfosi/undicesimo.htm
Questo piccolo, grande amore
Accosto il testo al dipinto e cerco di capire quali elementi ho sotto gli occhi: il ragazzo del quadro sembrerebbe un pastore e in effetti, nel paragrafo successivo all’amplesso con Teti, Peleo è descritto da Ovidio come il giovane figlio di Eaco che portava armenti e greggi con sé.
I cavalli marini sembrerebbero un riferimento più che appropriato alla Nereide, una sorta di cocchio nuziale?
Sulla sinistra, dietro alle due figure, sembrerebbe di scorgere una grotta, forse quella menzionata da Ovidio, dove Teti era solita riposare e dove Peleo le avrebbe teso l’agguato?
In alto a destra, tra le nubi, un anziano dio sta guardando la scena, potrebbe forse essere Zeus, che si sincera che tutto vada secondo i piani?
I piccoli putti volanti mi lasciano perplessa, lo confesso: inizialmente pensavo ad Amorini, che sottolineassero l’aspetto erotico della scena, ma le loro ali di farfalla li avvicinano piuttosto a piccole psychai, animule, che in questo contesto non riesco a collocare.
Resta la scena dei due protagonisti: Peleo, imperterrito, continua a trattenerla a sé, convinto che, prima o poi, si stancherà e sarà finalmente sua.
Teti sta forse tornando umana, ma, ancora con il volto ferino, guarda questo umano nipote di Zeus e forse come lui testardo in fatto di donne, e si chiede se non sia meglio farselo andare bene e stare a vedere come andrà!