Un’ombra allungata al sole meridiano, pochi battiti d’ala ed era già al panificio.
La sosta, un po’ lunga, tra i rami di un pino e poi sopra la statua della donna seduta, quella con la spiga.
Era ormai la quarta volta che giungeva in quella città e cominciava a riconoscere i luoghi e a cercare gli angoli più noti; il viaggio era stato, al solito, molto lungo, ma quel pezzo di pane rubato di nascosto lo aveva rinfrancato.
L’odore pungente gli annunciò di essere sulla buona strada: si stava avvicinando e come ogni volta decise di farsi annunciare da uno stridulo verso monosillabico. La fullonica era più vuota, questa volta, pochissimi schiavi erano al lavoro, gli sembrò strano, ma non ci badò più di tanto.
Finalmente arrivò all’edificio buio e vide che già c’era una fila pronta a entrare, con fiaccole accese: si appoggiò sull’erba, di fronte all’ingresso, poi zampettò audace tra le gambe di quegli uomini e si infilò nel corridoio centrale. Felicissimus gli era accanto e lo riconobbe al tatto: gli slegò il piccolo rotolo di carta dalla zampa e lo sostituì con un altro, che gli diede una sensazione di fresco inaspettata.
Udì che i canti cominciavano sommessi e decise, per una volta, di rimanere ad ascoltare: non comprendeva cosa stessero dicendo, gli piaceva il suono e la cantilena continua. Rapito dalla musica rischiò di essere calpestato due volte, a quel punto uscì zampettando e subito si librò in volo.
***
La neve?!
Ebbene sì, la neve. Anche qui, anche in questa città di uomini del sud! Era finalmente felice di ritrovarsi in un luogo così congeniale: si fermò solo una volta, sul bordo di una delle vasche del ninfeo, per lasciarsi ricoprire di leggerissimi fiocchi, poi riprese il suo volo felice. Direzione: fullonica e poi a destra e subito a sinistra! Che meraviglia, poca neve, ma pur sempre lei! Dimenticò perfino di gracchiare, questa volta, e atterrò lungo, saltellando fino quasi alla bianca statua in fondo al corridoio.
Felicissimus era invecchiato tanto, non sembrava riconoscerlo; o forse non era più lui? Gli slegò in ogni caso il messaggio dalla zampa e al suo posto legò un piccolissimo papiro, ma con uno spago grosso, che inizialmente lo fece sbilanciare. Questa volta, prima di ripartire, decise di zampettare di qua e di là, per godersi il paesaggio così diverso, bianco e gelido.
***
Sempre più difficile, volare in mezzo al fumo e non riuscire ad atterrare a causa delle alte fiamme!
Il dio da un occhio solo era stato molto dolce, questa volta. Lo aveva accarezzato, lisciandogli le piume e raccontandogli qualcosa – per lui inintellegibile – con un tono meno severo del solito. Sapeva di avere una responsabilità grande e aveva capito che i suoi viaggi servivano a mettere in contatto uomini molto distanti tra loro. Non riusciva davvero a comprendere che motivo avessero di scambiarsi informazioni: lui con le colombe mica ci parlava, poteva capitare di avere a che fare con i piccioni, ma era raro; e comunque loro erano decisamente stupidi! Mentre sorvolava le lande fredde e desolate e poi i picchi alpini, cominciò a ripensare a quando tutto questo era cominciato: insieme ai suoi fratelli aveva affrontato viaggi immensi, le cui vicende ancora riempivano i racconti dei più anziani. Alcuni si erano spinti verso il sole, nel regno sempre luminoso e caldo; a lui e alla sua famiglia era toccato un luogo più vicino, bagnato dal mare. Il suo signore tracciava simboli aguzzi su piccoli pezzi di carta e li legava con attenzione attorno alla sua zampa; quando giungevano in mano a Felicissimus, questi non li leggeva davanti a lui, ma gliene affidava degli altri, questa volta disegni. Non era in grado di comprendere la lingua del suo padrone e di Felicissimus, il Romano (così veniva chiamato al Nord), ma quei simboli sì, loro erano ben chiari nel suo cervello di pennuto. Nel corso degli anni erano divenuti sempre più scuri, sempre più premonitori di morte… non si sentiva più a suo agio nel percorrere il lungo volo.
Non trovò Felicissimus, perché attraverso il fumo ebbe difficoltà perfino a rintracciare la fullonica: per la prima volta si era perso! All’improvviso udì il canto a lui noto, la nenia, e decise di seguire le voci. Si imbatté in una ventina di individui, ognuno con in mano una torcia, intenti a scendere sotto il pavimento di un edificio molto grande: li seguì e si ritrovò in un corridoio buio e maleodorante, in fondo risplendeva il bianco marmo di una statua di giovane intento a uccidere un toro. Il canto si interruppe e per un attimo si udirono solo le urla di chi fuggiva, nella città sopra di loro. Lui saltellò poco convinto, fino a quando non fu raccolto da un uomo anziano, dalle mani raggrinzite: con gesto esperto gli sfilò il messaggio di Odino e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio da uccello. Immediatamente, nella sua mente presero forma due segni (rune le chiamavano lassù) e spiccò il volo più veloce che mai. Giunto ai piedi del trono del signore degli Asi, raccolse degli stecchi di legno secco e compose i segni. Quindi attese.
Il solitario occhio di Odino esaminò il disegno e annuì.
***
La città sotto di lui era irriconoscibile. Quasi completamente distrutta e ormai erano passati molti anni dall’ultima volta che era giunto a portare i dispacci, come poteva trovare il suo Felicissimus? E dove?
C’era ancora? E la fullonica?
Tutto cadeva in rovina, tranne poche case e quel luogo che spesso si riempiva di gente festante, il teatro – aveva sentito che lo chiamavano così.
Si fermò sul ramo di un pino e guardò dinanzi a sé: in lontananza la macchia rossa dei bellissimi fiori, dalla parte opposta, vicino al fiume, qualcuno stava accendendo dei fuochi e uccideva capretti e galletti. C’era un silenzio innaturale nelle strade che un tempo erano state piene zeppe di uomini e merci; pochi carretti si trascinavano stanchi sul basolato grigio, mentre alcuni schiavi svuotavano magazzini già diroccati.
A un certo punto dimenticò il motivo per cui era venuto, decise di godersi l’aria profumata e la brezza tiepida che arrivava dal mare; pensò che lassù il dio monocolo era già scomparso da tempo, ma gli aveva affidato un’ultima missione, lasciandolo poi libero di decidere della propria sorte. Pensò che, in fondo, quel luogo meridionale gli era sempre piaciuto e che spesso aveva desiderato trasferirsi sui pini e in mezzo ai papaveri.
Fece un respiro profondo e, in memoria dei vecchi tempi, annunciò la sua discesa con un verso gracchiante: mentre planava il suo occhio captò la statua della donna seduta e fu allora che vide quanti edifici avevano perso il tetto. Forte di questa nuova informazione riprese a guardarsi attorno, alla ricerca della fullonica. Finalmente gli sembrò di individuarla, anch’essa priva di tetto, ma soprattutto vuota, senza più liquidi né schiavi, non più avvolta dall’odore aspro di ammoniaca.
Decise di restare a terra e di saltellare, alla ricerca di Felicissimus; finalmente vide il viottolo e arrivò all’ingresso…di cosa, però? Non si trattava più di un edificio buio, ma il tetto era crollato e in parte era stato portato via, anche le pareti erano di poco più alte di lui. Si avvicinò guardingo ed entrò: il corridoio si apriva dinanzi a sé completamente illuminato dal sole del mattino e così si accorse, dopo tanto tempo, dei disegni che erano stati fatti sul pavimento con piccoli cubetti bianchi e neri.
Era bravo a riconoscere i segni, vedeva un bastone, due serpenti, una corona, un falcetto, una frusta, un cappello un poco a punta… bianchi e neri, neri e bianchi. Questi colori lo fecero fermare a pensare; raggiunse la fine del corridoio, una statuetta a lui familiare del giovane che uccideva il toro era lì, immobile e mutilata: al ragazzo avevano staccato la testa. All’improvviso ebbe freddo, un soffio di vento gelido aveva attraversato l’aria immobile e profumata. Tornò all’inizio del corridoio e pensò che aveva bisogno di riposare, così si sistemò nel primo riquadro, accanto al bastone con i serpenti e alla coppetta.
Restò lì, fermo e pensieroso e si concentrò sull’immagine di Odino e poi su quella di Felicissimus. Infine il suo cuore di uccello desiderò, desiderò intensamente di non lasciare più quel luogo a lui così caro.
*Nel culto mitraico, il corvo è l’animale che simboleggia l’iniziato al suo primo livello. Stando alla leggenda di Mitra, il corvo, inviato dal Sole, avvisò il giovane dio di rincorrere il toro cosmico e ucciderlo. Nella simbologia del culto, l’iniziato doveva indossare una maschera da corvo e veniva chiamato corax (corvo in latino), a lui era associato Mercurio, il dio messaggero, e il caduceo, il bastone con serpenti annodati che Mercurio stringe in mano nella sua versione di psicopompo – accompagnatore delle anime.
Nella mitologia nordica il corvo è associato ad Odino e da lui inviato come messaggero.
Questo racconto è tratto dalla raccolta “La Storia che vive”, la sesta edizione di Archeoracconto che si è svolta presso il Parco Archeologico di Ostia Antica. La foto è stata da me scattata presso il Mitreo di Felicissimus, nel parco archeologico.