Quando gli dèi vogliono parlare con gli uomini, li raccolgono in luoghi particolari ed entrano in contatto con loro, nei modi più disparati.
Una doverosa premessa
I santuari oracolari dell’antica Grecia mi hanno sempre affascinato: alla canonica “separazione” (il temenos, cioè la cintura che distingueva il sacro dal profano) aggiungevano infatti il brivido della comunicazione diretta, di un contatto che serviva a rinnovare il patto tra divinità e umanità.
Durante gli studi classici ho compreso che il dio più generoso in questo senso era Apollo, a lui infatti erano dedicati numerosi santuari oracolari, primo tra tutti Delfi, e il figlio di Latona, in quanto dio della luce e dell’armonia, sembrava il più desideroso di illuminare gli esseri umani, facendo loro un dono che non avrebbero potuto rifiutare, un dono che spesso li consumava da dentro, il dono del vaticinio.
Poi, un giorno, lessi di Dodona. Un santuario oracolare il cui fulcro era una quercia e il cui dio era Zeus! Quando mi ritrovai a visitare questo santuario epirota ne rimasi incantata: tutto, a Dodona, invita al dialogo con il dio. E se di Delfi ti colpisce la pietra possente e grigia, a Dodona è la natura verde a catturarti, avvolgerti e parlarti!
Dodonaios
Il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria ha inaugurato lo scorso marzo una mostra incentrata sulle interrogazioni magnogreche presso il santuario epirota. Una scelta raffinata e vincente, perché permette di inquadrare chiaramente non solo il funzionamento del santuario greco, ma anche la portata religiosa e politica che santuari di questo tipo avevano nel bacino mediterraneo.
L’allestimento è altamente suggestivo: mentre leggiamo i pannelli e osserviamo gli oggetti esposti, in sottofondo cinguettio di uccelli e stormire di fronde ci danno l’illusione di trovarci al cospetto del monte Tomaros e all’ombra della quercia sacra a Zeus. Il cartongesso riproduce il prospetto della hierà oikìa, l’ambiente sacro che gli archeologi identificano con il fulcro del culto, e la stessa quercia. I pannelli sono chiari e i reperti selezionati in modo da illustrare da una parte l’impostazione del culto, dall’altra i legami con “l’esterno”, cioè con comunità magnogreche che in mostra vengono rappresentate dalle laminette oracolari e da oggetti significativi provenienti dalle città stesse.
L’importanza di una mostra come questa si intuisce innanzitutto dalla ricchezza dei musei prestatori, tra i quali spicca ovviamente quello di Ioannina, sede della soprintendenza archeologica dell’Epiro, e diventa evidente quando sfogliamo il catalogo: una pubblicazione i cui contributi illustri mirano a ripercorrere le notizie intorno al santuario di Dodona. Troviamo riferimenti ai testi antichi, alle testimonianze dei viaggiatori sette-ottocenteschi, allo studio in età moderna, all’aspetto generale del santuario oracolare e particolare di quello di Dodona, basato su domande scritte che ci sono pervenute in tutta la loro romantica magia.
Ma quel che mi ha decisamente colpito è stato il filo diretto che i curatori della mostra hanno saputo stabilire tra Dodona e la Magna Grecia: sulle laminette ripiegate esposte a Reggio Calabria, nei testi pazientemente copiati, tradotti e commentati nel catalogo (e in un utilissimo sito online!), tocchiamo con mano l’importanza che il santuario di Dodona ha rivestito per la comunità greca (e non solo) d’oltremare.
Voci di donne
Il santuario della notte dei tempi; le fonti ci dicono che Dodona viene fondato dai Pelasgi, mitici abitanti della Grecia prima dei Greci. Di più, il nostro “padre della storia”, Erodoto, racconta di una filiazione diretta da Tebe d’Egitto: due colombe nere che portano nel mondo il volere di Zeus, una dà origine a Siwa e una arriva a Dodona.
Le colombe si stabiliscono tra i rami dell’alta quercia e cominciano a tubare le risposte di Zeus. Anzi, stando a una leggenda ancora più antica, è la quercia stessa che parla: Atena ne prenderà un frammento da innestare nell’albero maestro della Argo, permettendo così che la nave di Giasone comunichi direttamente con il capitano e l’equipaggio (chissà perché, ora mentre scrivo mi è venuto in mente un azzardato parallelo con Hal 9000).
Sono famosi i sacerdoti del santuario, ma quello di Dodona sembra un oracolo al femminile: il legame tra donna e oracolo, d’altronde, è solido, fin dai tempi di Delfi e della dragonessa che diventa Pythia, la vergine condannata a mettere in versi il pensiero di Apollo.
A Dodona, l’oracolo femminile passa attraverso un volo d’uccello: ma il legame tra donna e volatile è ancora più antico, uno dei più ambigui e pericolosi. La donna-uccello per eccellenza, infatti, è la sirena omerica, ma è anche la yinx, il suono stridulo di chi cerca di mettere confusione nella mente e nel cuore dell’uomo. Di più, a Dodona l’aria è densa di suoni: fronde, colombe, bronzo. Quando non è Zeus a parlare, il bronzo di lebeti e tripodi viene percosso perché le vibrazioni propagate innervino di divino i cuori di chi le ascolta.
Ecco dunque la donna, l’uccello, il suono stridulo, l’oracolo: gli ingredienti di un incanto che può condizionare il presente e il futuro delle persone. Qui il dio dell’oracolo non è più Apollo, la sacerdotessa sembra affrancarsi dall’ambiguità del Lossia, e vivere e proliferare sotto la protezione del Padre degli dei, del dio altitonante, adunatore di nembi.
La colomba è per tradizione l’animale associato ad Afrodite; la figura di Dione, l’Oceanina madre di Afrodite, quintessenza della forza d’amore, giunge tardi nella mitologia del santuario epirota e vi arriva come sposa sacra di Zeus e insieme a lui venerata dai pellegrini. Con Dione prendono forma le sacerdotesse/colombe, le peleiai, inizialmente tre e poi due (numeri cabalistici anche per le sirene omeriche). Le donne, non poche, che chiedono lumi alla quercia e alle sue colombe, spesso cercano di sapere il nome del futuro sposo o il momento più propizio per il matrimonio.
A Dodona la donna greca riacquista la propria voce.
Il dio. La buona fortuna. Razia domanda se potrà riappacificarsi con Teitykos finché costui è vivo
Una laminetta che si è supposto fosse scritta da una donna in merito a una divergenza con il marito.