Domani si apre tourismA 2019, la quinta edizione del Salone dell’Archeologia e del Turismo. Un’iniziativa di impianto fieristico, organizzata nel Palazzo dei Congressi di Firenze e articolata in numerosi convegni, l’incontro nazionale di Archeologia Viva, interventi singoli su i più vari argomenti archeologici e turistici, workshop e infine gli stand di espositori che offriranno libri, viaggi, informazioni su istituti archeologici e non solo. Infine, a margine della manifestazione ci saranno laboratori didattici, sempre legati al mondo della storia e dell’arte antiche.
In questo terreno così fertile di scambi e di idee, tre anni fa è nata l’iniziativa di un gruppo di archeologhe, che hanno deciso di prendere in mano la situazione della comunicazione archeologica e di riordinare le idee e le esperienze in merito all’uso dei social media e dei blog per divulgare scoperte archeologiche, scavi in corso, curiosità, monumenti e musei, ecc.
Per Archeologia Social intendiamo dunque un’archeologia che sappia parlare di sé attraverso gli strumenti offerti dalla comunicazione contemporanea.
Antonia Falcone
Antonia Falcone e Astrid D’Eredità hanno curato le edizioni di Archeosocial a tourismA, orientate ciascuna verso un particolare ambito della comunicazione. Ma dall’anno scorso, le esperienze raccolte in anni di lavoro e durante le edizioni di Archeosocial sono state riunite in un libro, un piccolo, prezioso, manuale.
Ho letto Archeosocial con due paia di occhi: gli occhi dell’amica, che conosce le curatrici e le autrici dei vari capitoli, gli occhi dell’archeologa che da qualche anno si confronta con vari tipi di pubblico (dai ragazzini di 10 anni, ai diversamente giovani di 120) e con vari tipi di istituzioni (dal museo statale alla fondazione privata). Ebbene, il primo pensiero che mi è venuto in mente leggendo il libro è che si tratta di un lavoro generoso.
Non si tratta mai di un’operazione facile: semplificare non significa banalizzare, i termini tecnici quando necessari non vanno eliminati, ma spiegati, l’informazione tradotta deve essere ugualmente corretta.
Marina Lo Blundo
Le archeologhe che hanno ideato e contribuito alla confezione di Archeosocial hanno messo in campo tutto il loro expertise al servizio della comunità: ogni capitolo è infatti corredato da spiegazioni, note, riferimenti bibliografici e web, esempi pratici, immagini, che rendono ben chiaro il messaggio e mettono chi legge nella condizione di riprodurre l’esperienza di chi scrive. Dunque Archeosocial diventa manuale, pur avendo l’aspetto di un pamphlet sulla materia della divulgazione archeologica a mezzo social.
Dobbiamo riuscire a portare nel dialogo in tweet la frenesia del botta e risposta tra l’archeologo e la terra
Marta Coccoluto
Il libro è diviso in due parti: nella prima si introduce la materia e poi si affrontano gli strumenti social usati per comunicare contenuti archeologici e/o storici. Facebook, Twitter, Instagram e infine il blog, vengono analizzati nello specifico, e si forniscono gli strumenti per aprire un account e aggiornarlo secondo le migliori regole comunicative che sono state appena spiegate. La seconda parte presenta dei casi studio, alcuni di grande rilevanza nazionale, altri all’apparenza di incidenza più limitata, locale, ma che grazie alla potenza dei mezzi social si sono fatti conoscere a livello nazionale e internazionale. L’ultimo caso, poi, sembra una summa dei capitoli precedenti, perché affronta l’affascinante esperienza delle Invasioni Digitali (qui il ricordo di quella cui ho partecipato anche io!).
Un progetto di ricerca, agito e fruito solo da archeologi e scollato dalla realtà, appare oggi più che mai anacronistico e destinato a non avere futuro, nella misura in cui la sua efficacia deve misurarsi innanzitutto in termini di impatto sociale e culturale su una comunità.
Giovanna Baldasarre
Ho trovato estremamente affascinante l’uso della lezione di Manacorda, quasi un nume tutelare. Daniele Manacorda è infatti da considerarsi uno dei padri dell’apertura dell’archeologia al pubblico: sua l’iniziativa di organizzare visite guidate sul cantiere della Crypta Balbi già negli anni ’80.
Archeosocial raggiunge facilmente il pubblico più giovane, di chi si sta affacciando al mondo dell’archeologia, ancora avvolto dalla membrana dell’Accademia. Ma anche chi quella membrana l’ha già rotta sarà estremamente grato ad Archeosocial. Secondo me, infatti, il volumetto dovrebbe troneggiare in ogni Soprintendenza, Sezione Didattica Museale, Antiquarium, Polo Museale… in ogni istituzione, in pratica, che stia cercando di svecchiarsi (o era svegliarsi?) e di entrare in questo folle e complicato mondo della comunicazione via social media. Nei capitoli dedicati ai diversi media si possono trovare indicazioni preziose per comprendere come usare questi media, nei capitoli dei casi studio si comprendono tentativi, fallimenti, successi… in una narrazione molto empatica si seguono i progressi di chi si è trovato a imparare da autodidatta. La chiave? Fare squadra, lavorare in team, chiedere, sperimentare e di nuovo chiedere. La lezione di Archeosocial va al di là del suo iniziale intendimento. Per cui il “social” del titolo può essere inteso sia come “social media”, che come “sociale = coinvolgimento dell’altro“. Una comunità di comunicatori.
Mi piacerebbe definire il gruppo di Archeosocial (Antonia Falcone, Astrid D’Eredità, Marta Coccoluto, Giovanna Todisco, Marina Lo Blundo, Giulia Facchin, Brigitte Budani, Rachele Buonomo, Giovanna Baldasarre, Giovina Caldarola, Marianna Marcucci, Elisa Bonacini, Cettina Santagati) come le Aranzulla della comunicazione archeologica via social media e blog! Ma sarebbe limitante.
(…) l’idea del progetto di divulgazione di Aquinum è nata in una fase personale di cambiamento ma soprattutto di curiosità per la nascente consapevolezza delle enormi responsabilità offerte dal web. (…) Non avevo ben chiaro il gravoso impegno del quale mi stavo facendo carico, sia in termini di lavoro ma anche di grande responsabilità nella corretta comunicazione di un bene culturale di importanza storica e pubblica sempre più crescente. Ma avevo di certo un grande vantaggio: come archeologa conoscevo perfettamente il target di riferimento, le dinamiche e la vita dell’archeologo sul cantiere e gli effetti dello scavo archeologico sulla comunità.
Giovina Caldarola
Il gruppo di lavoro, tutto al femminile, è formato da archeologhe che hanno deciso di dedicarsi alla comunicazione archeologica applicandovi la stessa acribia dello scavo stratigrafico.
Da domani a tourismA il libro Archeosocial sarà in vendita in fiera, non lasciatevi sfuggire l’opportunità!