“I’m not a praying man, but if you hear me, show me the way”
Il mio ultimo Natale è stato quello del 1990. Gli altri sono stati solo un pallido tentativo, mai riuscito in pieno. Fino al 1990, per quanto poco convinta, mi piaceva lasciarmi cullare dal racconto del Natale, che non era Dickensiano, anzi!, piuttosto un Vangelo semplice, basilare: gli sposi che cercano un luogo dove passare la notte, la grotta che, pur mantenendo il nome, aveva l’aspetto di una capanna, i pastori che sono i primi ad arrivare, i Magi che seguono, qualche giorno più tardi.
Prendevo mio fratello, spegnevo le luci della sala, e con i volti colorati dalle luminarie natalizie, lo incantavo con il racconto tradizionale. Fino ai 10/11 anni organizzavo perfino uno spettacolino, con tanto di cartelli pubblicitari sparsi per la casa e numeri diversi: io al pianoforte, spettacolo di marionette con mio fratello, io prestigiatrice, canzoni con il fratello. Impresaria di me stessa (e del povero fratellino), cominciavo a preparare il tutto a novembre.
Il Natale 1991 non fu uguale agli altri, mancava una persona importante, e tutto il resto fu solo un guscio vuoto di sorrisi tirati.
Col tempo mi sono ricreata una routine: il Canto di Natale di Topolino era un must, per il resto… a letto ASSOLUTAMENTE prima della mezzanotte! altrimenti Babbo Natale non viene!!
Nel frattempo il numero delle persone attorno al tavolo si andava assottigliando e così la mia necessità di celebrare il Natale. Contemporaneamente aprivo, una dopo l’altra, le caselle del mio personale calendario dell’Avvento: a ogni casella corrispondeva una divinità nata proprio nei giorni del solstizio d’inverno. Quindi, anche la “narrazione del Natale” diventava superflua, superata. Si aggiungeva un doveroso sottotitolo: il natale di chi?
Quest’anno ho deciso, dopo il Canto di Natale di Topolino (!), di guardare un film-culto: “La vita è meravigliosa”, datato 1946 e diretto da Frank Capra. Un film strepitoso, recitato in maniera impeccabile, ascoltato con un’inflessione del Sud degli Stati Uniti che fa venire voglia di cantare. Capra, con questo film, ha celebrato tutta l’umanità: quella varia, quella brutta, quella bella, quella imprevedibile.
E allora ho ripensato ai miei Natali e alla sensazione di non volerli più celebrare, all’ostinazione di non voler rispondere agli auguri. I miei Natali non sono stati due giorni di dicembre, ma la gioia di essere circondata dalle persone che amavo. Senza quelle persone, i Natali non hanno più senso. Il che non significa niente di catastrofico, semplicemente che bisogna aggiornare il termine, celebrare qualcos’altro, di certo non il Natale.
Così riprendo in mano le mie convinzioni e il mio stupore quasi infantile ogni volta che incontro persone belle. Non credo in dio (o Dio), ma credo fortemente nell’uomo e mi perdo nei meandri della storia, seguendo rivoli di pensiero che alimentano l’unico grande oceano dell'”umanità”: quella di Capra. Non mi spaventa ritagliarmi un po’ di solitudine, ma proprio perché so di non essere mai veramente sola. Ho dentro di me l’energia di miliardi di esseri umani come me, quelli che vivono il mondo di oggi e quelli che hanno vissuto il mondo di ieri.
Una delle scene più vere e delicate, a mio avviso, della saga di Harry Potter, è quando il giovane mago incontra gli spiriti dei suoi parenti e amici nel bosco: al di là della scelta del luogo (non so quanto voluta) altamente pregnante, l’idea di ricevere forza dalle persone che hanno attraversato la nostra vita è allo stesso tempo rivoluzionaria e conciliante.
Quest’anno è stato, per me, molto faticoso e proprio in questo 2018 ho sentito l’importanza degli amici. I miei dèi, coloro dai quali prendo tutta l’energia necessaria, per capire cosa ci si sta a fare su questo pianeta tanto grande e complicato.
“No man is a failure who has friends”
Messaggio dell’angelo Clarence a George Bailey, protagonista di “It’s a Wonderful Life” (La vita è meravigliosa)