Cominciano i Saturnali! Inizia quindi la stagione dei regali decembrini, scambiati con la benedizione del vecchio dio dalla falce affilata. Io vi illustrerò qualche xenia e alcuni apophoreta.
VERSIONE D.C. (dopo Costantino!)
Tra otto giorni quell’albero pieno di lucine che avete addobbato lo scorso 8 dicembre abbraccerà diversi pacchetti di vari colori e forme.
Io tenterò di suggerirvi come riempire i pacchetti.
La seconda strenna che vi consiglio è un romanzo scritto da un altro archeonarratore! Quando nel novembre scorso ci siamo ritrovati nelle sale del Museo Archeologico di Arezzo, in mezzo a noi c’era un giovane sorridente, Federico Lambiti, che ci parlava della sua tesi di laurea: invece di fare un lavoro di compilazione o di ricerca, aveva unito i due aspetti, aggiungendoci la scrittura creativa e aveva fatto letteralmente rivivere il sito archeologico su cui lavorava.
Policastro Bussentino: borgo premuto sul mare da una montagna alta e poco attraente. Una rocca difesa da mura e torri che scrutano l’arrivo di Ariadeno Barbarossa e dei suoi corsari.
Il borgo campano rivive in “Porta di mare”, romanzo storico che prende le mosse dai dati di scavo e segue la storia di tre famiglie e di qualche personaggio collaterale: vite sconvolte da tre successivi attacchi dei corsari (nel 1533, nel 1544 e nel 1552).
“Porta di mare” stringe l’obiettivo sulla Policastro devastata dagli attacchi dei corsari, ma sceglie la cornice “prestigiosa” della battaglia di Lepanto (1571). Infatti il cammino a ritroso nel tempo prende le mosse da un graffito che gli archeologi hanno interpretato come la raffigurazione della battaglia, lasciata sulle mura del borgo forse da un suo cittadino, catturato dagli arabi e quindi protagonista suo malgrado dello scontro epocale, tornato a Policastro a lasciare il segno della sua tragica esperienza.
E torniamo sempre lì: raccontare la storia antica è una esigenza, mai un vezzo (quando è fatto bene). Si scava, si studia un luogo antico per la voglia di immaginarsi la vita di uomini e donne lontani da noi. Ogni stoviglia, ogni moneta, ogni angolo di muro, ogni scalino, ce li immaginiamo “vissuti” da persone e cerchiamo il più possibile di ridurre la distanza tra noi e loro, ricostruendo gli istanti delle loro esistenze.
Uno dei grandi meriti di Federico, a mio parere, è proprio quello di riuscire a ricostruire e rendere tangibile ciò che è definitivamente andato perduto: le strutture in legno delle case antiche. Ogni scricchiolio, la bella scena nella stanza di Caterina e Raymo, ogni crepitio di fuoco distruttivo, sono tutte immagini che i nostri siti archeologici non riescono quasi mai a restituirci, ma che gli archeologi leggono nelle tracce lasciate sul terreno e fin sulle pietre.
Ho introdotto due nomi dei personaggi di Porta di mare, un aspetto, quello dei nomi, curato nei minimi particolari grazie alle testimonianze degli archivi storici.
Se il romanzo è in qualche modo corale, di un intero paese che resiste ora e sempre all’invasore, ma non ci riesce mai fino in fondo, Federico segue da vicino le vicende di Cono e della sua famiglia. Un nome curioso, ma a cui ci si affeziona presto, seguendolo dal momento delicato dell’affaccio nel mondo adulto, fino all’estremo sacrificio (ma cerco di non anticipare la fine!).
La scrittura di Federico mi ha colpito subito: le prime pagine sembrano ingranare lentamente, ci danno il tempo di guardarci intorno, individuare le vie di fuga del borgo, sceglierci il punto d’osservazione migliore, indugiare nella vita di paese. Poi, quasi all’improvviso, il ritmo si fa serrato e ci ritroviamo a correre a perdifiato, a fuggire, ma per fermarci e tornare indietro ad affrontare il nemico. E questo nemico ha volti e nomi storici, ci parla la lingua dei corsari e ci guarda sornione, perché sa come andrà a finire, o forse crede solo di saperlo…
Il libro è introdotto e seguito da lunghi capitoli che danno la cornice scientifica che si merita: Federico si è “divertito”, ma ha lavorato a stretto contatto con i colleghi dello scavo, è stato seguito da professoresse illuminate, e il lavoro che ne è scaturito ha tutta l’aura dell’articolo accademico.
Però ha anche la passione di un giovane archeologo e i suoni, i colori, gli odori, di un sito archeologico che è tornato a vivere nelle pagine di un romanzo.