Non ho verificato da che parte soffiava il vento questa mattina…forse da Ovest, forse domani, guardando verso le nuvole in movimento, scorgerò un’esile figura, che scende tra di noi appesa a un ombrello animato… In attesa di Mary Poppins, oggi mi sono inoltrata nell’entroterra di Licodia Eubea e sono andata alla scoperta di Grammichele.
11 gennaio 1693, una domenica. Verso le due del pomeriggio, una scossa di terremoto di entità mostruosa ha raso al suolo il paese di Occhiolà, uccidendo più di metà della popolazione…riunita a ringraziare Dio di aver scampato la morte nella scossa di terremoto di due giorni prima. Erano riuniti nelle 9 chiese sparse nel piccolo paese, soprattutto in San Leonardo, la chiesa più grande, spesso utilizzata anche per le assemblee pubbliche.
Era il Terremoto del Val di Noto. Lo stesso che avrebbe disegnato la nuova Catania.
Carlo Maria Carafa era uno studioso, appassionato figlio delle Muse si interessava di letteratura, arte, musica, matematica, architettura, astronomia… era nato in una famiglia nobile, i Branciforte, ed essendo figlio cadetto era destinato alla carriera ecclesiastica, la più idonea per occuparsi dei suoi interessi intellettuali. Ma la morte del fratello maggiore spostò su Carlo Maria tutto il peso dell’ampio feudo, che comprendeva anche il territorio di Occhiolà. Così, all’indomani del terremoto, il Principe intervenne prontamente: avrebbe dato un tetto ai superstiti…anzi, avrebbe costruito per loro la città perfetta!
Ecco, questo è l’antefatto, già ricco di suspence. Grammichele, la “città perfetta”, si apre dinanzi ai miei occhi come le foglie di un carciofo: mi accompagnano in macchina e, dopo alcuni, spigolosi, giri concentrici, raggiungo la piazza principale, il grande esagono!
Ho due guide d’eccezione: Loredana Fragapane, appassionata innamorata del suo paese, ceramista, restauratrice, presidentessa di ben due associazioni, impegnata col sorriso a mantenere viva la storia di Grammichele; e poi Irene Novello, archeologa esperta della storia più antica di Occhiolà.
Insieme mi illustrano il museo, ma io sono ormai entrata nella mente alchemica del Principe…penso in maniera esagonale!
18 aprile 1693. Dopo solo pochi mesi dalla tragedia, Carlo Maria Carafa e il suo architetto, Fra Michele da Ferla, cominciano a disegnare la città. Il progetto viene inciso su una lastra di ardesia: dai 6 lati della piazza centrale (che ha un raggio di 60 metri) si dipartono sei sestieri, ognuno dei quali composto da 10 moduli (10×6 =60), 6 borghi che si allargano in corrispondenza di ogni lato (1 lato = 100 canne, perciò 600 canne), 5 borghi uguali e composti ciascuno da 12 moduli (12×5= 60). Questo tripudio di 6 sembra arrestarsi nei rettangoli dei borghi, ma sono rettangoli aurei…niente è lasciato al caso!
La città non ha mura, ogni asse la attraversa da parte a parte… quando il terremoto tornerà, gli abitanti avranno l’imbarazzo della scelta quanto a vie di fuga! E un’ampia piazza centrale in cui riunirsi.
Ape laboriosa, che suggeva il miele delle Muse, il Principe Carafa sceglie l’esagono, una forma che ricorda le celle degli alveari. Forse forma alchemica, forse espressione di concezioni cosmiche…non abbiamo documenti in cui il Principe ci illustra il suo percorso: Carlo Maria muore due anni dopo la posa della prima pietra, senza ultimare il palazzo, infatti il borgo di San Carlo è diverso da quello progettato.
Nella città perfetta c’è posto per i Santi e per l’ Arcangelo, quel Michele che doma il diavolo, e che prima del diavolo domava un drago, l’infida serpe dall’alito di fuoco, che nel gennaio del 1693 scosse la terra del Val di Noto.
…to be continued…
Complimenti, bel servizio, spero di leggerne altri sulla nostra splendida città. Grazie.:).<3.
Grazie mille!
Ne ho in serbo molti altri 😉