Ho cominciato il 2018 dicendo che volevo trovare un drago. Comincio questo autunno guardando per la quarta volta un film che si regge sull’ “alito del drago”: Excalibur.
Ho deciso di guardarlo dopo aver bevuto (un sorso pieno, forse solo una pausa per riprendere fiato) l’ultimo libro di Michela Murgia, talmente ricco di spunti per me che mi è difficile capire da dove cominciare.
Il libro è una sorta di commento autobiografico e contemporaneamente altamente storicizzante del capolavoro di Marion Zimmer Bradely “Le nebbie di
Primo mea culpa: avevo idea dell’esistenza del libro della Bradley, non lo avevo mai letto, pensavo fosse un fantasy di serie B.
Secondo mea culpa: pensavo esistessero fantasy di serie A e di serie B ed ero convinta di saperli distinguere.
Quel film mi è entrato nelle viscere. Rimasto assopito per tanti anni, esattamente come Kundalini, l’energia più profonda, il serpente arrotolato (forse drago?).
Eppure, quando ho cominciato a studiare in maniera più sistematica gli antichi miti greci, al momento di leggere di Medusa, della sua uccisione e della nascita di Pegaso e Chrysaore, il ragazzo d’oro, un angolo della mia mente andò lesto al fotogramma di Excalibur, dove Mordred (figlio incestuoso di Morgana e di Artù) corre ridendo per il bosco, vestito con una armatura d’oro e un elmo che ne copre il volto con maschera paurosa…boccoli dorati che sembrano scimmiottare i più antichi gorgoneia.
Insomma, Excalibur era comunque sempre con me, sotto pelle, assopito, come un drago raccolto alla base della spina dorsale.
Poi ho cominciato a interessarmi ai miti da un punto di vista più strettamente antropologico, e passare dal mito greco a quello romano al folklore mitteleuropeo è stato un tutt’uno.
Nel frattempo, il mio senso estetico veniva attratto da quadri Preraffaelliti e il ciclo arturiano venne a riscuotere la sua quota di ispirazione e di fascino e io decisi di indulgere nel Merlino di Burne-Jones o nel Parsifal e la ricerca del Graal.
La lettura di “L’inferno è una buona memoria”, di Michela Murgia, è stato come chiedere alla Kundalini di sbloccare un altro chakra: anni di riflessioni sulle figure femminili del mito greco e sugli archetipi che in esse si nascondono e si rivelano, finalmente stanno trovando il giusto ingranaggio.
Michela Murgia è abile nel tessere la trama del suo libro e nel non farci intendere se sia una “guida alla lettura” oppure una riflessione autobiografica, o ancora una analisi antropologica delle verità che Zimmer Bradley mette in luce.
Leggiamo Michela Murgia e ci dissetiamo, leggiamo le parole delle protagoniste delle Nebbie di Avalon e torniamo ad avere sete, a volerne sapere di più.
Morgana che giace con il “Re Cervo” è già di per sé una scena che evoca millenni di riti e credenze che penetrano nelle viscere della terra con radici profonde: “non gli dovevo portare la spada, ero io la spada”.
E la donna del lago che offre Excalibur senza farsi vedere ma semplicemente allungando l’arma al di sopra della superficie, non è diversa da quella Nereide che andò nelle profondità di un vulcano per poi portare al figlio un’armatura nuova di zecca. E Lancillotto che viene portato via dalla Dama del Lago, in compagnia della quale rimane fino a quando non raggiunge l’età per essere cavaliere, è solo uno dei tantissimi ragazzi che nel corso dei secoli vengono ciclicamente rapiti dalle ninfe e ai quali è offerta un’esperienza mistica che li farà maturare e li inizierà a una conoscenza superiore.
Terzo mea culpa: ho speso anni a mettere insieme tasselli di un sapere tanto profondo quanto folklorico, e poi mi ritrovo a leggere in un grande classico, da me ignorato, le protagoniste stesse di quel sapere che me lo urlano in faccia … sghignazzando.
Perché leggere il libro di Michela Murgia e non precipitarsi direttamente a recuperare Le nebbie di Avalon?
Perché la Murgia riesce ad applicare un filtro speciale alle grandi verità della Zimmer Bradley: è il punto di vista di chi usa il termine femminismi e non femminismo, di chi cerca la dignità della diversità, piuttosto che la parità tra i sessi, di chi non cerca una vendetta, ma un diverso approccio, di chi guarda la Grande Dea e sorride, perché sa che non si tratta di dare una lettura provocatrice, ma di togliere il velo e scoprire la verità storica.
A questo proposito, concludo la mia riflessione citando un breve brano e mettendogli accanto un’immagine a me cara:
Le sacerdotesse di Avalon, a dispetto del titolo, sono uno strano tipo di religiose, perché non hanno solo un potere spirituale: influenzano le nomine dei governanti, stabiliscono matrimoni dinastici e propiziano raccolti e caccia(…)