Lo sguardo abbraccia in un solo battito di ciglia tre figure di donne potenti, solitarie e pericolose.
Sibilla, è il nome del ristorante costruito a ridosso del tempio delle Vestali, e di fronte l’hotel Sirene quando era aperto completava il terzetto. Mentre in sottofondo l’acqua dell’Aniene sussurra canti osceni.
Dopo anni di studi, di letture, di suggestioni. Finalmente arrivo da Cossinia, la Vestale.
E ceno proprio accanto al tuo tempio, mia cara antenata di secoli lontani.
E godo di un privilegio che a te sicuramente era negato: sono donna, sola a cena. Fumo. Bevo.
Mi rilasso, io che sono sempre tesa sorridendo.
Che curiosi esseri umani, le Vestali. Mi ha sempre affascinato il loro ruolo di protettrici di un focolare che è comunitario e dei Lari e Penati dell’Urbe. Cossinia è diventata famosa per via di una bambola… che però si è scoperto non essere probabilmente nemmeno sua. Una bambola e una anziana donna vergine, sono elementi di sicuro interesse: raccontano di dolcezza, ma soprattutto di una infanzia cristallizzata e di una adolescenza negata.
Inevitabile il pensiero va a un racconto panormita: un amico mi parlò mesi fa delle giovani suore di clausura che entravano nel monastero di Santa Caterina, in piazza Bellini. Bambine, avevano con sé dei bambolotti, dei piccoli Gesù Bambino, volgarmente le “carabattole”. Ecco, quella bambola in avorio, se davvero corredo funebre di Cossinia, potrebbe essere stata la sua carabattola. Oppure no, era il corredo di un’altra donna, morta prima del matrimonio e quindi sepolta con ancora il suo status di giovinetta non maritata.
Vestale, Sibilla, Sirena: quale di queste tre donne ti rassomigliava di più, dolce Cossinia? Quale intimo legame abbindola i tre status? Donna sola, non sposata, vergine, foriera di una verità più alta, forse anche fatale. Chi non si sposa può vedere lontano, sia nel passato che nel futuro, o almeno così dicono.
Il mio sguardo fino a dove si sposta?
Whitney Houston arriva alle mie orecchie. Lei, nei suoi anni più bui, quelli conclusivi. Quando solo un piccolo gorgoglio nella voce tradiva la sua identità, perché il resto era reso opaco dall’infelicità più profonda.
Sono io infelice? Ma no, solo molto triste. Di una tristezza che mi avviluppa, con rete sottile, quasi efestia…
Eppure riesco ancora a godere di serate come questa.
Whitney gorgoglia senza convinzione. Io ne ho pietà e mi chiedo come posso fare a non scivolare, come ha fatto lei.
Forse solo dandomi tempo. Respirando, senza fretta. Come ho lasciato fare a quel Montepulciano che mi guarda, rosso e sornione.
Come il gatto, che passeggia tra i tavoli in attesa della manna, letteralmente.