Esiste un’espressione inglese: “Chasing Unicorns“, che letteralmente si traduce “inseguire unicorni”, ma il cui significato fuor di metafora rimanda a una condizione fanciullesca, al non voler crescere.
Dunque, quale argomento migliore da proporre il giorno di Natale?
Per chi ha bambini e si riempie l’immaginazione solo guardando le loro facce estasiate, colorate dalle luci accese dell’albero sotto il quale stanno scartando pacchi e pacchetti.
Per chi non ha bambini, ma è comunque affascinato dall’atmosfera di sorpresa e colore che si diffonde a Natale.
Questo brano è tratto da “Storia delle terre e dei luoghi leggendari“, a cura di Umberto Eco e pubblicato da Bompiani nel 2013.
Con Marco Polo si manifesta una sorta di tensione tra quello che la tradizione gli suggeriva di vedere e quello che realmente vede. Tipico il caso degli unicorni, che gli appaiono a Giava.
Ora, che gli unicorni ci siano, un uomo del Medioevo non lo metteva in discussione – e ancora nel 1567 il viaggiatore elisabettiano Edward Webbe ne vede tre, nel serraglio del Sultano, in India, e addirittura all’Escorial di Madrid, mentre il missionario gesuita Lobo nel Seicento ne vede in Abissinia, e un altro unicorno vede John Bell nel 1713. Polo sapeva che secondo la leggenda l’unicorno è una bestia, ovviamente con un lungo corno sulla fronte, bianca e gentile, e che è attratto dalle vergini.
E infatti per catturarlo si diceva che occorresse porre una fanciulla illibata sotto un albero, e l’animale sarebbe andato a porle il capo in grembo, così che i cacciatori potessero prenderlo.
Come aveva scritto Brunetto Latini: “Quando l’unicorno vede la fanciulla, la sua natura gli dae che, incontamente ch’egli la vede, si ne va da lei e pone giuso tutta la sua fierezza”.
Poteva Marco Polo non cercare unicorni? Li cerca, e li trova, perché è indotto a guardare alle cose con gli occhi della tradizione. Ma una volta che ha guardato, e visto, in base alla cultura passata, ecco che si mette a riflettere da testimone veritiero, che sa criticare gli stereotipi dell’esotismo. Infatti ammette che gli unicorni che lui vede sono un poco diversi da quei caprioli graziosi e bianchi, col cornetto a spirale, che appaiono sullo stemma della corona inglese. Quelli che lui aveva visto erano dei rinoceronti, e così confessa che gli unicorni hanno “pelo di bufali e piedi come leonfanti”, il loro corno è nero e grosso, la lingua è spinosa, la testa sembra quella di un cinghiale e, in definitiva, “ella è molto laida bestia a vedere. Non è, come si dice di qui, ch’ella si lasci prendere alla pulcella, ma è il contrario”.
Il mio augurio è che troviate il vostro – personale – unicorno… potreste cominciare dal museo della Specola di Firenze, che conserva un dente di narvalo lungo più di 2 metri e mezzo: i denti di narvalo erano ritenuti proprio i corni dei nostri amici equini speciali!