C’era una volta… tre fratelli. Così cominciano le favole, quella dei principi che cercano la loro Serendipity, ad esempio.
Anche se la storia che voglio raccontare mi ricorda più da vicino quella dei tre fratelli ritratti in silhouette in un famoso e recente film: al cospetto della Morte, i tre ricevono dei doni magici e molto potenti.
C’erano, dunque, tre fratelli, figli di una figura ingombrante, dalla quale avevano ereditato un animo pieno: di autocompiacimento, di grande memoria e di indomita curiosità.
La madre, invece, era responsabile della loro sensibilità, di una tendenza quasi fanciullesca al sogno ad occhi aperti e di alcune manie superstiziose.
I tre fratelli si sentivano uniti soprattutto nel cognome: Berutti. Un tempo associato alla carica più alta del piccolo paesino in cui i due maggiori avevano trascorso la loro infanzia, San Germano in Val Chisone. L’ultimo, in verità, era nato ad Alessandria, quando ormai il podestà Alessandro Berutti si era ritirato a più miti consigli e aveva cercato in un dignitoso anonimato di scampare alle ripercussioni politiche del dopoguerra.
I tre fratelli avevano preso strade apparentemente molto diverse: il maggiore era arrivato in una Milano tutta da costruire, era diventato un abile giornalista, critico cinematografico. E con il suo fare dinoccolato e finto timido aveva messo in piedi un vero e proprio circolo dell’intellighenzia milanese: il ritrovo era un bar e Franco attirava a sé chi volesse imparare il mestiere. Ma quello che contraddistingueva Franco Berutti era il potere magnetico delle sue parole: le battute eleganti, i doppi sensi raffinati, la conoscenza enciclopedica, facevano sì che chiunque lo incontrasse rimanesse catturato dalla sua intelligenza brillante.
Il secondo aveva intrapreso la strada del direttore di marketing: anche per Giorgio era la parola l’arma principale. Una cultura da Umanista d’altri tempi e la curiosità che lo spingeva a leggere fino a notte fonda ogni tipo di pubblicazione, letteraria o scientifica che fosse: tutto ciò era al servizio della comunicazione di massa, dello slogan più accattivante, di un modo arguto e mai banale di vendere… prodotti, idee, sogni, convinzioni. Cambiava molte aziende, perché veniva chiamato per risolvere problemi, dopodiché si stancava e cercava un altro luogo dove esercitare la sua capacità analitica.
Infine c’era il terzo, Sandrino. L’aspetto preponderante di lui era la socievolezza: con Sandrino si rideva, SEMPRE. La battuta scattava automatica, a volte feroce, ma il volto di Sandro Berutti era sempre aperto al sorriso. La cifra di Sandro Berutti stava in questo suo modo di entrare nelle vite degli altri. Da geometra aveva progettato abitazioni, ma contemporaneamente aveva messo in piedi una trasmissione radiofonica che, già alla fine degli anni ’70, aveva avuto l’intuizione di dare voce alle “casalinghe di Voghera”, di far parlare la comunità novarese; il Berutti si faceva tramite delle richieste, delle proteste, delle lamentele.
I tre fratelli si erano sposati e le loro compagne avevano avuto il merito, chi più chi meno, di esaltare le doti dei Berutti: accanto a Franco era comparsa una donna tormentata e raffinata intellettuale, con la quale si imbastivano siparietti in stile Vianello-Mondaini, ma attorno ad argomenti densi di letteratura;
Giorgio aveva impalmato una donna bella, prigioniera di pentagrammi Romantici; Sandro aveva trovato un’anima gemella, dal sorriso ugualmente raggiante e dall’animo estremamente generoso e umano, in grado di gestire il protagonismo del marito.
Ma noi parlavamo di doni magici e potenti: i tre fratelli avevano deciso che con i doni ricevuti avrebbero sfidato la Morte.
Sembrerebbe logico supporre che il mantello dell’invisibilità lo avesse ottenuto il terzo fratello, l’ultimo a morire, invece ritengo sia più corretto dire che quel mantello lo indossasse il primo. Franco aveva fatto dell’understatement e del basso profilo una scelta di vita, e solo molto dopo la sua morte i parenti stessi avevano compreso quanto fosse stata grande la sua influenza nell’ambiente giornalistico, e non solo.
La pietra fu presa dal secondo, da Giorgio, e con quella riportava in vita le immagini della sua infanzia e cominciava a scrivere “Il paese delle vacanze”, un romanzo su San Germano. Purtroppo, avviluppato nel ricordo, progressivamente si isolò fino a consumarsi, ma prima di morire riuscì a passare la pietra a sua figlia.
Il terzo fratello prese lo scettro, e con questo divenne re di Novara, la sua città.
Sandrino aveva vissuto in mezzo alla città, dando voce a chi aveva bisogno di parlare con l’amministrazione comunale; era diventato “uomo dell’anno” e aveva scritto libri in cui azzardava un paragone tra Novara e New York (chissà se si ricordava di “Questa è Hollywood”, un libriccino scritto da Franco negli anni ’60). Nel 2002 Sandrino decise che sarebbe diventato re e scelse una maschera di carnevale: Re Biscottino.
La risata, sempre lei, doveva precedere e accompagnare i passi di Sandrino, così, con il costume settecentesco e la corona sulle ventitré, il Re entrava in ospedali, centri per anziani, gare podistiche… ogni occasione pubblica era buona per rispondere con il grande sorriso agli applausi e alla festa degli astanti. La vocazione sociale non poteva mancare, così quel Re Biscottino decise di fondare un’associazione per organizzare al meglio le iniziative di beneficenza.
Oggi Sandrino Berutti non c’è più. I tre fratelli si sono arresi, infine, alla Morte. Quella morte sfidata a suon di discorsi, di motti di spirito, di elucubrazioni contorte, di battute argute. Il cognome dei Berutti rimane negli sguardi profondi delle due figlie di Sandro e dei due figli di Giorgio.
Eppure, forse un modo per sconfiggere la Morte i tre fratelli lo hanno trovato e oggi in duomo a Novara ne ho avuto la conferma: nei pensieri di chi ha salutato zio Sandro e nei ricordi di chi lo ha incontrato, quel re non verrà mai dimenticato, vivrà per sempre.
Questo è forse il segreto dell’eternità: cambiare la vita delle persone e diventarne parte.