Tartarughe

Autoritratto

L’aria incerta della primavera mi suggerisce voli brevi, di farfalla nervosa. Così, muovendomi da una curiosità all’altra, con in sottofondo la voce multiforme di Moni Ovadia che legge “Il nome della rosa”, approdo su di una pagina di Wikipedia e scopro un personaggio, tanto storico quanto poco noto: Osman Hamdi Bey.

La voce biografica lo definisce uomo politico e intellettuale, pittore e archeologo. Ce n’è abbastanza per interessarsi e cercare qualche libro o film che si sviluppi attorno alla sua figura. Resto invece imbrigliata in un gioco di labirinti comunicanti, per cui seguo fili che, inesorabilmente, si intrecciano con altri…

http://www.chiosnet.gr/tourism/worth/mastic.htm

Osman è figlio di un orfano di Chios, scampato a quel massacro che la storia riporta solo in note a piè di pagina e che, alcuni di noi, sanno essere stato fermato dalle coltivazioni di masticha, una resina dolce, per la quale i Turchi desistettero dalla loro furia distruttiva.
Il padre di Osman è adottato da una eminente famiglia turca e da perseguitato si ritrova nell’Olimpo dei persecutori. Così la vita di Osman Hamdi comincia nel migliore dei modi: il giovane può scegliere se proseguire gli studi di legge o se lasciarsi tentare dal mondo occidentale, parigino, che gli offre opportunità artistiche insperate.
Osman Hamdi è ricordato come allievo di due tra i più celebri pittori parigini dell’epoca: Jean-Léon Gérome e Gustave Boulanger. Ecco il filo che seguo e che mi porta, per qualche minuto, lontano dalla Turchia di Osman. Gérome è autore di quadri che hanno letteralmente plasmato il nostro immaginario sulla Roma antica. Ad esempio quello del “pollice verso”

Mentre Boulanger, a parte un “Cesare al Rubicone”, è quel che si definisce “orientalista“, quindi cerca di rendere al meglio le atmosfere esotiche dell’harem

Ma torniamo al nostro Osman Hamdi Bey. A Parigi incontra la prima moglie, Marie, con la quale rientra a Istanbul, ricco di esperienza d’arte e di vita (ma non è l’arte uno specchio della vita? o era il contrario?).
A Istanbul comincia un’opera fondamentale di riallestimento delle antichità e di organizzazione dello studio dell’arte, sia antica che contemporanea. Osman fonda l’Accademia di Belle Arti e promuove leggi per regolamentare la fuoriuscita dei reperti d’arte antica. Inoltre guida campagne archeologiche al Nemrut Dag e a Sidone, dove scopre il celebre sarcofago:

Ecco altri due fili, quello del Nemrut, la montagna incantata, dove si sale per salutare l’alba di un giorno sempre nuovo, all’ombra delle teste giganti di uomini e dei, finalmente uguali di fronte alla potenza del sole.
E poi quello del sarcofago di Sidone, considerato a lungo il sepolcro di Alessandro Magno ed esposto come una Biancaneve di marmo: oggi sappiamo che doveva contenere i resti del persiano governatore di Babilonia, ma restiamo comunque incantati davanti a quei cavalli imbizzarriti e quelle ciocche di capelli sudati che si agitano da secoli ormai nella vana conquista di ciò che è umano.

Le scoperte di Osman hanno bisogno di un luogo che le accolga e le presenti al pubblico, per questo viene inaugurato il Museo Archeologico di Istanbul, di cui Osman Hamdi Bey è ovviamente il primo direttore. Curioso come gli anni siano gli stessi del Metropolitan Museum di New York (anche in quel caso, il primo reperto è un sarcofago, donato da un appassionato turco, Abdo Debbas) e del Museo Archeologico di Firenze. Sono gli ultimi venti anni del XIX secolo e il mondo sta scivolando verso le prove di forza mondiali, ma anche verso un nuovo concetto di Storia.
E nel 1884, dunque in quegli stessi anni, viene pubblicato un romanzo di Huysmans, dal titolo “À rebours” (in italiano reso con “controcorrente”). Ecco l’ultimo filo che mi lascia vagare in questa mattina di primavera: di questo romanzo, il brano antologico preferito, almeno nelle antologie degli anni ’80, è quello in cui il carapace di una tartaruga viva è utilizzato come opera d’arte estrema, dal protagonista dandy e bohemién del romanzo decadente.
Un carapace in cui vengono incastonate delle pietre preziose, una immagine tanto terribile quanto terribilmente affascinante, che mi rimarrà impressa per anni (beh, almeno fino ad oggi!) e che si confonderà con un altro, tremendo, carapace, quello della tartaruga “parlante” di Momo (romanzo di Michael Ende).
Tartarughe e carapaci, quindi, che non mancano nel repertorio di Osman Hamdi Bey: un quadro che ha fatto scalpore in Turchia, perché venduto alla esorbitante cifra di 3 milioni e mezzo di dollari nel 2004. Osman dipinge l’ “Addestratore di tartarughe” nel 1906: il suo intento è quello di ironizzare su una pratica in voga nel ‘700 in Turchia, quella di mettere candele sui carapaci di tartarughe, per vivacizzare le notti della bourgeoisie turca nella c.d. Età dei Tulipani (oddio, un altro filo si prospetta all’orizzonte.. ma non lo seguirò!).

Ecco, di filo in filo sono giunta alla fine di questa concatenazione di colori e suggestioni.
Mi rimane il ricordo di un turco dalle oscure origini greche, che ha dato alla Turchia un modo nuovo di vivere l’arte antica.

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