Cinque puntate per un racconto molto breve. Un esperimento, in realtà, ambientato in un anno importante per la Repubblica romana, per l’Impero romano e per la colonia di Florentia.
Siamo nel 27 a.C. e il veterano Settimio si trova a fare i conti con la propria vita, con le proprie disillusioni e con i sogni di gloria del figlio.
Qualcuno potrebbe vedervi un riferimento alla situazione politica italiana attuale, e magari vedere nell’Ottaviano che diviene Augusto un pallido ritratto del “non-giovane” che ci fa da Presidente del Consiglio.
Beh, quel qualcuno non sbaglierebbe…
Qui il primo episodio
Qui il secondo
Qui il terzo
Farsàlia
Settimio era sicuro di averla lasciata in uno degli stipi in noce dello studio, dopo più di un’ora riuscì a trovarla: la lettera di Cieco, arrivata all’indomani della battaglia.
L’amico aveva assistito alle varie fasi dell’attacco di Agrippa e aveva visto Lucio lanciarsi temerario tra i nemici: le parole di elogio lasciavano trasparire la forte emozione. L’ultima parte era però la più significativa: “Settimio, credimi, se fossi stato con me avresti avvertito anche tu un’atmosfera particolare, quella della fine di un’epoca. Ti ricordi cosa abbiamo provato alla morte di Cesare? Ecco, ti assicuro che, nonostante la vittoria, lo stesso sgomento mi ha assalito, tutto d’un tratto, mentre Lucio e i compagni urlavano di gioia e Ottaviano si complimentava con Agrippa. Ora torneremo a Roma, ma troveremo una città già cambiata.”
Settimio aveva tenuto la lettera gelosamente, perché era importante che certe parole non andassero perdute. Le lettere di Cieco erano rimaste l’unico modo di restare in contatto con i vecchi amici: la ferita alla gamba lo aveva lasciato zoppo, non avrebbe perciò potuto riprendere a combattere, nemmeno se avesse voluto. E in fondo lui non voleva, stava bene con Annia e i ragazzi. Lucio doveva farsi le ossa, il suo entusiasmo era a tratti contagioso, ma certo le campagne lontane e i continui scontri tenevano Settimio e Annia sulle spine.
La morte di Cesare, ricordava Cieco nella lettera; certo, come fare a dimenticare i sentimenti contrastanti e il senso di precarietà che aveva fatto crollare la terra sotto i piedi a chiunque, dal più insignificante legionario agli ufficiali della stretta cerchia cesariana. Settimio si era ritrovato a Roma, nel servizio d’ordine richiesto da Antonio durante il suo discorso. Era stata un’occasione interessante per capire finalmente da che parte stavano i tanti, senatori, tribuni, che avevano fatto la fila di fronte alla casa di Cesare, quando era in vita e potente, oppure si erano arrischiati a raggiungerlo sul campo di battaglia, pur di perorare la loro causa.
Cicerone in persona si era sperticato in lodi del defunto, lui che era stato da sempre un suo avversario, salvo poi chiedergli un’intercessione per rientrare dall’esilio. Era sempre la stessa scena, Settimio ormai lo aveva capito: non esisteva un partito migliore, né una convinzione maggiore. Le persone avrebbero cambiato insegna fino a quando le circostanze lo avrebbero richiesto, la coerenza era morta, defunta, probabilmente già ai tempi di Romolo. Le donne che piangevano, e i sicofanti che si sgolavano, pro o contro Antonio, pro o contro Bruto. Sembrava di assistere a uno spettacolo gladiatorio e invece erano i funerali di uno dei più abili condottieri che Roma avesse mai conosciuto.
Settimio si era scoperto a scrutare Antonio: poteva mai essere in grado di prendere il posto di Cesare nei cuori delle persone? E poi c’era il giovane Ottaviano, con una carriera fulminante preparata appositamente per lui da Cesare stesso.
A Settimio piaceva, gli sembrava un ragazzo in gamba e sincero nel suo preoccuparsi di fare la cosa più giusta. Antonio invece non riusciva a piacergli, perché aveva l’aria di uno a cui tutto è dovuto e perché era chiaro che fosse geloso di Cesare.
Perfino dopo uno scontro vittorioso Antonio non riusciva ad abbandonarsi alla piacevolezza di una serata rilassata, si vedeva che guardava Cesare in tralice e ogni sorriso era sforzato. Il discorso pronunciato di fronte al cadavere straziato di Cesare era stato davvero penoso per Settimio, proprio perché sapeva che erano tutte parole costruite, finte. La decisione del triumvirato gli era sembrata la più logica, ma gli eventi che erano seguiti lo avevano gettato nella confusione più profonda: Antonio che prende delle decisioni? Antonio che si contrappone al Senato? Antonio che si inimica l’intero popolo romano? Uno spirito d’iniziativa di cui Settimio non riusciva a capire l’origine. Inizialmente si era risposto che forse aveva sottovalutato il personaggio o forse che proprio la morte di Cesare gli aveva lasciato quella libertà d’azione che prima non riusciva a guadagnarsi.
Dall’altra parte c’era Ottaviano, con l’audacia propria degli anni giovani. Lucio si era trovato subito in sintonia con lo spirito del suo comandante e a Settimio era sembrato di rivedere lui con Cesare. Eppure c’era qualcosa di diverso…