Dalla volta pendono
perle, perle di turchese: –
sono le lacrime del cielo,
cadute, ghiacciate dal freddo.
Versi di un poeta armeno, Daniel Varujan, uno dei primi a cadere nell’aprile del 1915.
Antonia Arslan mi ha consigliato di leggere le sue poesie, per cercare un po’ di sollievo, senza sapere che proprio quel nome mi risvegliava il dolore per cui stavo piangendo, il dolore per la morte di una persona dallo stesso nome del poeta.
Di seguito, sparsi, ricordi, istantanee ed emozioni di una giornata particolare, a Padova “Sulle tracce degli Armeni”, in compagnia di Nadia Pasqual.
Ho pubblicato una foto che mi è stata scattata con lei.
Ci ho pensato dopo, a quel che significava per gli altri, intendo.
Molti hanno sottolineato la fortuna, il privilegio di essere a diretto contatto con una persona celebre e importante.
Ma io non ci vedo questo, ovviamente.
Nel momento ritratto dalla foto ci sono due anime a contatto.
Mi è stato detto che gli occhi di un armeno sono tristi. Beh, in quel momento io avevo occhi armeni.
Forse proprio questo mi ha permesso di entrare in contatto, così diretto, così intimo, con Antonia Arslan.
Quella donna ha carisma, come ha detto giustamente la mia amica Nadia. Oh, a proposito, Nadia stessa entra in contatto con l’anima delle persone, quando parla di Armenia. Forse perché, dopo aver scritto una guida, aver lavorato con il governo della Repubblica di Armenia, aver conosciuto molti esponenti delle comunità armene sparse per l’italia, ha scoperto di avere anche lei sangue armeno.
Chissà, in ogni caso è vero, Antonia ha carisma.
Questa piccola signora, dal sorriso che abbraccia, ma dallo sguardo a tratti severo, è in grado di tessere racconti che ti avvolgono. E una volta che sei avviluppato entro trame seriche e damascate, ecco che giunge quella parola, quel singolo elemento, un colpo di scena magari, che ti colpisce e ti blocca.
A contemplare un angolo di cuore che non sapevi di avere, scoperto come un nervo fragile.
Così, mentre la ascoltavo parlare, non mi sentivo particolarmente commossa… fino a quando non è giunto il racconto del bambino arrabbiato con il ricordo della madre che, per salvarlo, lo aveva abbandonato; oppure il racconto della signorina che insegnava francese, e che è morta attendendo invano il nipote, come una pietosa sorella Materassi, ma più delicata e meno patetica.
Oppure quando è giunto il racconto del nonno di Antonia: un signore che cura la nipotina novenne, e la porta con sé in un albergo per trascorrere un mese di convalescenza.
Lì, nei lunghi pomeriggi, si siede con lei sotto ad un glicine, a raccontarle la storia della sua vita.
La grande, tragica e gloriosa storia della sua vita, raccontata alla nipotina ma negata al resto della famiglia.
Il racconto fa parte dell’animo armeno. Il “Libro dei Sussurri” esemplifica alla perfezione questa vocazione quasi genetica.
Ma sono poi gli episodi, gli incontri con le persone armene più comuni, non scrittori, non narratori di professione, a rendere ancora più evidente tale vocazione.
Come le due signore, e il marito di una di queste, che hanno dischiuso il loro personale scrigno di ricordi, di fronte a una platea rapita e silenziosa.
E così, dopo aver ascoltato Antonia, aspettando di stringere la mano di questa incantatrice, l’emozione si è trasformata in fiume incontenibile, travolgente come l’Araxes, un fiume che trasportava le memorie liquide di chi non c’è più.
e come al Poeta anche a Dio,
per creare, fu necessario piangere.
Daniel Varujan, Il pianto di Dio