“Muore giovane chi è caro agli dei”
So che questa frase ti piaceva, ma perché ti piaceva l’idea di essere caro agli dei…
So anche che leggevi con piacere le mie divagazioni mitologiche
Questa è solo per te
Un’altra lunga giornata trascorsa nei boschi: Endimione si tuffava nel fiume con la gioia di un bambino e dimenticava i suoi vent’anni e le responsabilità che cominciavano a farsi sentire.
Gli piaceva scherzare con i bambini del paese, ai quali mostrava orgoglioso le prede delle sue battute di caccia.
Il fisico allenato e l’entusiasmo della gioventù: il ragazzo era l’idolo di grandi e piccini, tutti lo conoscevano e gli volevano bene.
Quel giorno, però, si era spinto un po’ troppo lontano, ormai faceva buio e non era il caso di rientrare, decise che si sarebbe coricato in una grotta, al riparo.
Per la prima volta in vita sua non riuscì a dormire bene, continuava a rigirarsi e ad aprire gli occhi; si accorse ad un certo punto che c’era un raggio di luna che lo illuminava in viso e dovette cambiare posto.. sembrava una luna piena molto più luminosa del solito.
La mattina dopo si risvegliò con uno strano peso sul cuore. Cercò di non farci caso e riprese la strada verso il paese, senza mancare di abbattere un paio di lepri e una poiana.
Tornato a casa non riusciva a scacciare il velo di tristezza che lo aveva assalito all’alba. Uscì a giocare con i ragazzini del quartiere e per un poco tornò bambino spensierato, ma poi la sera a cena non riusciva a mangiare, si sentiva nervoso.
Decise di fare una passeggiata per distrarsi, e nel giro di poco si ritrovò nei pressi della grotta della notte prima. Si sdraiò per terra e, finalmente, si addormentò. Fu nuovamente un raggio di luna a fargli aprire gli occhi nel cuore della notte.
I giorni di Endimione si fecero più corti: cercava ormai riposo appena possibile, e si rendeva conto che il giaciglio – fatto alla bell’e meglio – all’interno della grotta era l’unico in grado di dargli un poco di ristoro. Il raggio di luna sembrava tuttavia insistere sul suo viso di notte, mentre di giorno non poteva fare a meno di individuare la pallida circonferenza avanzare tra le nuvole e scavalcare il disco dorato del sole, pur di occhieggiare nella grotta. Cominciò così ad osservarla, la luna. Ne studiava le fasi, il volto butterato dai piccoli crateri. Ne misurava i passi, le inclinazioni, le posizioni nel cielo.
Dopo qualche mese decise di comporre un poema in suo onore.
La sua vita spensierata, intanto, era finita: completamente irretito dal mistero luminoso della luna, trascorreva ormai più tempo in quella grotta che fuori a giocare oppure a cacciare.
Decise di occuparsi di un gregge di pecore, che però portava a pascolare per lo più di notte, affrontando lo sgomento dei suoi vicini.
La titanessa era disperata: un giovane mortale le aveva preso il cuore e ora lei non riusciva più a trovare pace, doveva averlo per sé.
Selene si rivolse a Zeus. Lo odiava, non aveva accettato di buon grado la sconfitta dei suoi fratelli e così cercava il più possibile di evitare contatti con la giovane generazione di divinità “a buon mercato”, come amava definirle. Tuttavia la situazione si era fatta insostenibile, così decise di scendere a patti col nemico.
Zeus ne rimase sorpreso e la guardò sgranando gli occhi. Poi sorrise, beffardo: così anche l’integerrima titanessa aveva un punto debole! Fu più per questa sottile forma di rivincita che decise di aiutarla. Anche Selene aveva capito quanto i mortali, con le loro imperfezioni, esercitassero un fascino potente sugli dei immortali.
Era fatta, anche Selene avrebbe avuto il suo amore mortale: il sonno notturno si sarebbe trasformato in un sonno eterno, per permettere alla dea di avvolgere in eterno il giovane amante con baci e abbracci appassionati.
In una notte di luglio, Endimione entrò nella grotta per riposare e non ne uscì più.
La tua bellezza, la tua fragilità, il tuo sorriso dolce e smarrito.
Non so perché sia successo, così. Ma cercherò quella grotta, e verrò ad abbracciarti.