Questo non è un articolo scientifico.
Questo non è un post pieno di riferimenti dotti e puntuali.
Questi sì, sono disclaimer, sono cioè dichiarazioni che servono a mettere le mani avanti..
Questa è una suggestione: vorrei che vi imbarcaste in un viaggio nel tempo (e nello spazio, se farete i giusti sacrifici a Trenitalia o Italo o compagnia aerea compiacente) e raggiungeste Palermo, il Museo Archeologico Antonino Salinas.Dall’11 di maggio è esposta una testa in terracotta che raffigura una divinità, Ade.
Potremmo addentrarci nei dettagli del suo ritorno in Sicilia: giunto in circostanze poco chiare al Getty Museum, grazie all’intuito di due studiose il dio è rientrato alla base.
Serena Raffiotta trova un ricciolo blu, resto vezzoso scampato all’espatrio, e lo studia e pubblica; Lucia Ferruzza studia le terrecotte del Getty Museum e trova una testa barbata cui manca un ricciolo. Le due studiose lavorano insieme (già da questo particolare dovremmo accorgerci che siamo nell’ambito di una favola) e individuano nella testa di Malibu un reperto che doveva appartenere all’antica Morgantina.
Ha fatto meno scalpore della Venere, ma anche il nostro Ade è un nostos, cioè un ritorno (insperato) di quell’arte che per i nostri governanti non è remunerativa, ma per il resto del mondo è un affare.
Ecco, già mi sono impelagata in questioni tecniche. Invece no! Di tutto questo potrete leggere e commentare quando andrete a Palermo.
Ma quando vi troverete davanti al signore dell’Oltretomba... guardategli la barba, e ripensate alla favola di Perrault.
Siamo alla fine del ‘600 (1697) e Charles Perrault raccoglie e trascrive alcune favole popolari: Contes de ma mère l’Oye.
Uno dei protagonisti è un vecchio, ricco signore, chiamato Barbablù. Non è molto affascinante, ma riesce nondimeno a convincere una giovane e bella ragazza a sposarlo. Barbablù è molto ricco e la giovane comincia a vivere da signora benestante.
Kore stava raccogliendo dei fiori – dicono – forse vicino a una caverna ad Eleusi, ma più probabilmente lungo le sponde di un placido lago a Pergusa, presso Enna.
Non lo sentì nemmeno arrivare, era intenta a godersi la giornata e a ridere e scherzare, cantare. Ad un certo punto però avvertì il silenzio intorno a sé: le compagne erano scomparse, il resto della campagna sembrava essersi bloccato in una fissità artificiale, soffiava ancora il vento? Le sembrava di no.
Finalmente si accorse del carro, dei cavalli scalpitanti e dello scuro cocchiere.
Era molto alto, accigliato. I capelli scuri, folti, e la barba avvolta in riccioli scomposti, di un colore blu-violaceo. Kore si incantò per un attimo a guardarli, i riccioli. E lui la prese.
La giovane sposa si trova bene, non può lamentarsi. Ma è giovane e curiosa e il marito decide di impedirle di sbirciare tra le sue cose: le consegna un mazzo di chiavi, per gestire la casa quando lui dovesse assentarsi per lavoro. C’è solo una condizione: una stanza non può essere aperta. Non viene forse neanche resa esplicita la minaccia, basti sapere che aprirla è proibito, le conseguenze saranno terribili.
La ragazza è spaventata ma ovviamente obbedisce. Appena il marito si allontana, tuttavia, la curiosità prevale e la ragazza apre la porta proibita: di fronte a lei appare il segreto indicibile, le mogli precedenti, tante, che erano state brutalmente uccise e occultate nella stanza.
Kore non sapeva bene dove si trovasse: tutto intorno era buio, eccetto per qualche torcia che illuminava debolmente lunghi corridoi. Il rapitore misterioso le spiegò che gli uomini lo chiamavano Ade, ma anche Pluto: la sua ricchezza, come indicava questo nome meno usato, consisteva nella fertilità della terra, perché lui risiedeva sotto, la terra.
Ecco quindi spiegata l’oscurità. Eppure Kore riuscì ad aprire un lontano cancello e si ritrovò in un giardino, con alberi da frutto. Riconobbe qualcosa di noto e si rilassò un poco. Le mancava la madre, ma in quel luogo distante non si rendeva conto del passare del tempo… in fondo erano trascorse poche ore da quell’incontro lungo il lago (o erano mesi?). Giunta di fronte a un melograno decise di spaccarne un frutto e cibarsi del rosso nettare.
La fanciulla non voleva toccare quei corpi straziati, ma la chiave le cadde di mano e si macchiò di un sangue rosso rubino. Fuggendo a perdifiato la giovane chiuse velocemente di nuovo la porta a chiave e così si accorse che la macchia non se ne andava. Fu questione di un attimo: appena rientrato, Barbablù capì tutto e decise di ucciderla. Le concesse pochi minuti per l’ultima preghiera… la ragazza fu svelta, riuscì a chiedere aiuto alla sorella e ai fratelli e insieme uccisero il crudele marito. Erede di una ingente fortuna, la ragazza non ebbe difficoltà a trovare un nuovo consorte.
Kore capì che qualcuno la stava cercando: le urla si levavano altissime, Ade era fuori di sé dalla rabbia. Demetra reclamava la figlia! Ancora che giocava alla “Dea Madre“.. non aveva capito che le regole erano cambiate? Un rapimento matrimoniale, in piena regola, in che lingua doveva spiegarlo? Zeus cercava di farlo ragionare e alla fine arrivarono a un compromesso: se la ragazza non aveva mangiato nulla dei frutti del regno di Ade, come le era stato detto, sarebbe stata libera di andarsene da sua madre. Kore giunse proprio in quel momento… le dita erano ancora macchiate, anche attorno alle labbra aveva un alone rosso..e poi c’era la metà del frutto, che stringeva nella mano sinistra.
Ade la guardò con un ghigno: la nipote aveva disobbedito, ma ciò tornava a suo favore. Zeus scosse la testa e si preparò alla furia di Demetra.Fu Persefone a presentarsi alla madre, il giorno successivo: era passato quasi un anno dalla sua scomparsa. Il mondo aveva rischiato l’estinzione, gli uomini avevano patito la fame. Kore/Persefone aveva sfiorato la morte, aveva vissuto con il dio della morte, ne aveva assaggiato i dolci frutti.
Demetra sembrava invecchiata di dieci anni. La madre e la figlia avrebbero vissuto separate per sei mesi, gli altri sei li avrebbero invece trascorsi insieme.
Andate a vedere quel volto dalla barba bluastra e cercate negli occhi muti un frammento di eternità…
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