Il rumore sordo dell’ascia che tagliava il possente ramo di quercia, scandiva la canzone che Atena aveva in mente dalla mattina…
Dicen que no comia,
No mas se le iba en puro tomar.
Una nave, questa volta sul padre le chiedeva di aiutare un carpentiere! Pare che si trattasse della prima vera nave seria, che quei ragazzotti dovevano costruire per poter andare a prendere un po’ di oro… Atena scuoteva la testa, mentre le note risuonavano chiare nella… mente! La mente.. la testa… sempre lei, sempre in attività, qualunque cosa stesse facendo.. era una maledizione (?)
A volte le capitava di ricordare, o forse stava solo rievocando, quei colpi disperati battuti contro il cranio di suo padre. Per uscire. Per nascere.
Il primo ferro che aveva scalfito il suo elmo era stato il filo dell’ascia di Efesto, sempre pronto a correre alle urla di Zeus tonante: un colpo netto, e la fessura si era creata, permettendole di uscire.
Juran que el mismo cielo
Se estremecia al oir su llanto, Como sufría por ella,
que hasta en su muerte la fue llamando
Nascere dalla testa di tuo padre. Quanto le aveva pesato questa nascita così strana, così innaturale. Le era mancato il contatto materno, l’idea di maternità non l’aveva mai sfiorata. Solo la mente, la testa, solo quello contava per lei. Avrebbe potuto perdere all’improvviso qualunque fattezza antropomorfa e ritrovarsi a vagare, puro spirito intellettivo attraverso città, foreste, montagne, mari ..
Ay, ay, ay, ay, ay cantaba,
Ay, ay, ay, ay, ay gemia,
Ay, ay, ay, ay, ay cantaba,
De pasion mortal moria.
Zeus l’adorava.
Certo.
Facile.
A parole.
In realtà lei faceva di tutto per lui, sempre ligia, sempre pronta a rispettare le richieste paterne.
I ragazzi, come li chiamava lei, “i miei figli”, come sottolineava lui: ragazzotti di campagna o boriosi principini, da accompagnare nelle avventure più disparate. Evitando che si facessero troppo male e aiutandoli a sconfiggere mostri di varia natura.
Non sapeva nemmeno lei come si sentiva accanto a loro: sorella, madre, compagna, amante? A volte era brusca, altre volte addolciva i suoi tratti per poter consolare quegli spiriti indomiti, ma inevitabilmente giovani.
Que una paloma triste
Muy de mañana le va a cantar
A la casita sola
Con sus puertitas de par en par;
A Dodona il vento non smetteva mai di scompigliare le fronde delle alte querce. E le sacerdotesse, candide colombe, volavano irrequiete da una parte all’altra, prese dal loro compito speciale di comunicare ai mortali le profezie del loro padre, di Zeus.
Le parole di suo padre, qual era stata l’ultima volta che si erano messi a parlare? Non se lo ricordava più. Ormai si trattava solo di dispacci, ordini dati in maniera melliflua, con quell’aria suadente che utilizzava per conquistare le sue donne. Lei non era una delle sue donne, ma di certo si lasciava conquistare.
Juran que esa paloma
No es otra cosa mas que su alma,
Que todavia espera
A que regrese la desdichada.
Ora si ricordava il motivo per cui era arrivata a Dodona: non le interessava il legno per la stramaledetta nave…non le era mai importato niente..
Lei voleva di nuovo ascoltare la voce di suo padre…
Cucurrucucù paloma, cucurrucucù no llores.
Las piedras jamas, paloma,
Que van a saber de amores?
Diventare colomba, non per sempre, solo il tempo che le occorreva per riascoltare quella voce profonda, che le si rivolgeva facendola sentire l’unica persona davvero importante, sulla faccia della terra…
Cucurrucucù, cucurrucucù,
Cucurrucucù, cucurrucucù,
Cucurrucucù, paloma, ya no llores
il 23 febbraio era il compleanno di mio padre
…e il 26 febbraio, cioè oggi, è morto il mio di padre.
Ti penso.