Fu sotto una falce di luna bianca che vidi per la prima volta la città. Sorgeva, immobile e sonnolenta, su un misterioso altopiano in mezzo a una depressione circondata da montagne fantastiche. Mura, torri, pilastri, cupole e strade erano di un marmo sepolcrale, e dalle strade si alzavano colonne che in cima avevano scolpite le immagini di uomini severi e barbuti
– da “La Stella Polare”
L’arrivo a Civita di Bagnoregio, in un tardo pomeriggio di gennaio, fa affiorare inevitabilmente l’atmosfera spettrale e allo stesso tempo affascinante di una delle città misteriose di H. P. Lovecraft…
Si racconta che a Ulthar la legge proibisca di uccidere i gatti.
Ad Ulthar, prima che i notabili lo vietassero, vivevano un vecchissimo contadino e sua moglie, che si divertivano a intrappolare e uccidere i gatti dei vicini.
Un giorno, nelle stradine acciottolate di Ulthar arrivò una carovana di misteriosi vagabondi del Sud: erano scuri di pelle e diversi da qualsiasi altro popolo di nomadi visto da quelle parti. Predicevano il futuro nella piazza del mercato in cambio di pezzi di argento e compravano perline colorate nelle botteghe. Nessuno sapeva di dove venissero, ma fu presto chiaro che recitavano strane preghiere e sui fianchi dei carri avevano dipinte effigi misteriose con il corpo umano e la testa di gatti, falchi, arieti e leoni.
Della carovana faceva parte Menes, un ragazzo senza padre né madre, ma solo un gattino nero a cui badare.
Il terzo giorno della loro permanenza a Ulthar, Menes non riuscì a trovare il suo amico e cominciò a piangere in mezzo alla piazza: allora alcuni abitanti del borgo gli parlarono del vecchio e di sua moglie e dei lamenti che si udivano la notte. Dopo averli ascoltati Menes non pianse più, ma rifletté e quindi cominciò a pregare. Tese le braccia al sole e lo invocò in una lingua che nessuno ad Ulthar capiva… gli abitanti erano tutti presi dallo spettacolo che avveniva nel cielo e dalle strane forme che le nuvole avevano assunto.
La stessa notte i nomadi lasciarono Ulthar e non furono più rivisti. Nel borgo la gente scoprì con sorpresa che non c’era più un solo gatto: gatti grandi e piccoli, grigi e a strisce, gialli e bianchi. Il vecchio Kranon, il borgomastro, giurò che i nomadi se li erano portati via per vendicare l’uccisione del gattino di Menes, ma Nith, il primo notaio, suggerì che era più logico sospettare del contadino e di sua moglie, visto che il loro odio dei gatti era noto…
Ma nessuno andò a lamentarsi con la terribile coppia, nemmeno quando il piccolo Atal, figlio del locandiere, giurò di aver visto tutti i gatti Ulthar riunirsi, al crepuscolo, nel sinistro cortile sotto le querce, e cominciare a girare solennemente intorno alla casa, due per volta e a passo lento …
Così Ulthar andò a dormire, ma quando all’alba di svegliò.. miracolo, i gatti erano tornati al loro posto! Grandi e piccoli, grigi e a strisce, gialli e bianchi, non mancava nessuno.
Avevano un aspetto magnifico e sembravano ingrassati: facevano le fusa ed erano soddisfattissimi.
Per due giorni interi i grossi e pigri felini non toccarono cibo, ma si limitarono a dormire al sole o accanto al fuoco.
Passò circa una settimana prima che gli abitanti del borgo notassero che dalla capanna sotto le querce non filtrava più luce, poi il magro Nith osservò che nessuno aveva visto i due vecchi da quando i gatti erano scomparsi. Nel giro di una settimana il borgomastro decise di far visita alla capanna..
…dopo aver abbattuto la porticina non trovarono altro che due scheletri perfettamente ripuliti accanto al camino, e per terra un gran numero di grossi scarafaggi.
Da “I Gatti di Ulthar“