Alcesti si era decisa.
Non sopportava più di vedere il marito trascinarsi per casa con gli occhi rossi di pianto e un’aria disperata.
Ogni giorno, poi, alle cinque in punto, un rumore sommesso alla porta annunciava l’arrivo dei genitori di lui: entrambi lividi in volto, si univano al figlio nei singhiozzi. E Alcesti, che i primi giorni completava questo quadretto sconfortante, dopo una sola settimana già non ce la faceva più.
Perciò aveva deciso.
Sarebbe andata lei.
Basta con tutte queste scene, bisognava agire, dare una risposta. In fondo si trattava di una questione di famiglia: “Nella buona e nella cattiva sorte“, non era questa la formula di rito del matrimonio? Apollo aveva pensato di fare un regalo al caro Admeto, ma la verità era che ogni uomo doveva essere in grado di plasmare il proprio destino e non di lasciarlo modificare da qualcun altro. Admeto, da bravo essere umano, doveva essere mortale, che senso aveva decidere di non farlo morire in cambio di qualcuno che si sacrificasse al suo posto? Come sapevano essere maleficamente crudeli gli dèi…
Un mercoledì mattina (le era sempre piaciuto il giorno sacro ad Hermes, il dio psicopompo) Alcesti aveva fatto chiamare i suoceri e, di fronte al terzetto che la guardava sgomento aveva annunciato che ci sarebbe andata lei, nell’Oltretomba.
Al posto del marito.
Il silenzio era durato diversi minuti.
Admeto e suo padre non sapevano cosa dire, mentre la vecchia madre aveva paura di rompere l’incantesimo: temeva che Alcesti potesse ripensarci.
Fu perciò lei la prima a parlare. Sapeva bene come fingere: paura, rispetto, gratitudine.. fece perfino finta di indignarsi con il figlio, che non si meritava una moglie così.
Alcesti se lo era aspettato, perciò seppe anche lei giocare la sua parte di nuora decisa al “sacrificio”.
In realtà ci aveva pensato bene: lasciare che Admeto fose trascinato controvoglia nell’Ade e vivere con i suoceri, che le avrebbero perennemente rimproverato di essere sopravvissuta? No, grazie.
Admeto e suo padre rimasero muti.
Non riuscivano a guardare in faccia Alcesti. Il vecchio la abbracciò con gli occhi lucidi, Admeto non fece nemmeno questo.
Si chiuse nella sua stanza e scoppiò in un pianto dirotto. Alcesti non se la sentì di andare a consolarlo, ci pensò la vecchia madre.
E così, seminascosta dal velo nero, la ragazza si presentò al cospetto di Ade e Persefone.
La regina sorrise, in cuor suo lo aveva previsto; il burbero marito, invece, tentò di capire e chiese se i due anziani suoceri non avessero almeno tentato di dissuaderla e proporsi al suo posto, sarebbe stato logico…
Alcesti aprì la bocca per rispondere, ma Persefone, con un cenno, la fermò. Voleva risparmiarle almeno questa umiliazione: spiegare come si era ritrovata in una famiglia tanto ingenerosa.
[…]
La prima cosa che avvertì fu l’odore aspro di cane bagnato. Eppure Cerbero non era nei paraggi, cosa poteva mai essere?
Alla luce delle torce intravvide l’ombra di un leone.. alto,molto alto. Per la prima volta da quando era scesa nell’Ade si spaventò.
Ma dopo poco comparve lui, il semidio: la chioma scompigliata, la barba incolta, molto muscoloso e dalla pelle bruciata dal sole. La grossa clava nodosa in una mano, nell’altra aveva una torcia.
Era venuto a riportarla indietro, disse.
Alcesti non sapeva cosa rispondere: fino a quel momento aveva solo sentito parlare di Herakles, ma vederlo così, da vicino, le metteva una certa soggezione e non era sicura di potersi fidare (se ne raccontavano tante sull’eroe semiferino!).
Mentre camminavano silenziosi nel bosco i pensieri di Alcesti cominciarono ad andare veloci: e ora? che fare? come tornare in quella casa? come affrontare Admeto e i suoi genitori?
E poi.. quanto tempo era passato? Persefone l’aveva avvertita che il tempo nell’Ade trascorreva con ritmi diversi da quello degli uomini. Erano cambiati? Si sarebbero riconosciuti? Ma soprattutto… dove mai stava tornando? Da chi e… perché?
Herakles era deciso ad accompagnarla fin dentro casa, ma Alcesti fu irremovibile: doveva lasciarla andare da sola. Grazie mille, riconoscente fino alla m..ehm, cioè, riconoscente per sempre, ma questo momento era privato e molto, molto delicato. Doveva essere da sola.
Affacciandosi alla finestra della casa, Alcesti scorse una mano bianca e delicata che giocava con un velo sottile di colore azzurro. Si mise a sbirciare e presto comprese che Admeto non era più solo, né tantomeno disperato. La giovane ragazza che rideva con voce argentina era bruna come Alcesti, dagli occhi profondi come lei, ma sembrava molto diversa: nel modo di camminare, nell’atteggiamento spensierato. Admeto sorrideva, anzi no, rideva forte, come mai aveva fatto prima con Alcesti.
La donna rimase a guardare per un tempo che le sembrò infinito.
Poi udì dei passi avvicinarsi e istintivamente si ritrasse, nascondendosi dietro ad un folto cespuglio di mirto (non era la pianta sacra ad Afrodite? Non si ricordava che crescesse così vicino a casa).
I due suoceri comparvero ben presto sul vialetto che conduceva alla casa, bussarono ed entrarono, accolti da Admeto e dalla ragazza. Tutti sorridevano sereni e tranquilli, ben presto le stanze risuonarono delle loro risate.
Alcesti tratteneva il respiro.
Fu quando le sembrò di sentire i vagiti di un neonato che decise di allontanarsi in fretta dalla casa.
Non c’era più posto per lei. Ma forse non c’era mai stato. Ora cercò il suo rude salvatore e lo trovò mentre si rimetteva per strada ad ampie falcate: lo fermò e gli chiese se poteva scortarla fino alla città più vicina. Anzi, no, gli chiese dove fosse diretto.
E se stava meditando di imbarcarsi per mare, tanto meglio.
N.B. questa che ho rielaborato non è la vera storia del mito di Alcesti: nel racconto mitologico Apollo deve espiare per qualche tempo presso la corte di Admeto, re di Tessaglia, e decide di ricambiare la gentilezza del mortale, permettendogli di sfuggire a Thanatos (la morte). Tuttavia, per mantenere l’equilibrio tra il mondo dei morti e quello dei vivi, Admeto dovrà trovare un sostituto, che muoia al suo posto. Tra lo stupore generale,gli anziani genitori si rifiutano e invece Alcesti, la moglie, decide di sacrificarsi. Lascia quindi il marito e il figlio e muore. Nel frattempo Herakles passa dalla Tessaglia e chiede ospitalità al re. Inizialmente non sa che la regina è morta e, come suo solito, si lascia andare ai suoi eccessi e si ubriaca. Un servo,però, lo informa del grave lutto che ha colpito la corte e così il semidio decide di rimediare alla sua condotta: scende nell’Ade e recupera Alcesti, che, in tal modo, può riunirsi al marito. Nella omonima tragedia di Euripide, Herakles porta una donna velata da Admeto, il quale non si fida a toccarla, tanto gli è rimasta cara la memoria della moglie. Quando però capisce che è Alcesti il re è contento di riaverla con sé.
Mi piace la versione rielaborata! ma ora voglio sapere dove approdano Alcesti e l’accompagnatore nerboruto e quali nuovi mondi si spalancano di fronte alla donna liberata…