Continua il mio esperimento … brrr …
Tripoli, la morte civile
Per chiunque intenda girare il Peloponneso utilizzando il servizio di trasporto pubblico greco, Tripoli è lo snodo di ogni itinerario: nella cittadina bisogna fermarsi per cambiare mezzo, oppure, se si è fortunati, si deve solo transitare dalla locale stazione di pullman, ma non si può sfuggire a Tripoli. Chi l’ha progettata deve avere avuto un motivo personale per odiarne la popolazione: si potrebbe tentare di ricostruire una leggenda di rivalità fra architetti e urbanisti, oppure una beffa lasciata dai Turchi in ricordo e a futuro monito per i loro ex sudditi. Fatto sta che Tripoli è orrenda, e anche le tre viaggiatrici non rimasero immuni dal suo fascino macabro, “No, va beh, ma è davvero micidiale…. Come ti giri ti giri, è orribile questo posto!” “Ma l’avete vista la piazza principale? Secondo me ci impiccavano i condannati a morte, quella specie di fontana al centro doveva essere il patibolo.. hanno cercato di mascherarlo ma mi sa che gli è andata male…” “Ma la gente l’avete vista? Prima sono andata a prendere una bottiglietta d’acqua al chioschetto ..” “E’ un periptero” “Sì, ok, grazie Asia, al periptero… insomma, il tizio sembrava fuggito da un esperimento di Lombroso” “Vedrai che qui saranno tutti parenti tra loro.. chi nasce a Tripoli muore a Tripoli.. c’è pure il detto .. ahahahah” “Sì, infatti, vedi Tripoli e poi muori!!! Ahahahah”. L’allegro terzetto si diresse nuovamente verso la stazione degli autobus: dovevano aspettare mezz’ora per la coincidenza per Sparta, perciò avevano pensato di fare un giretto nei dintorni, ma avevano capito subito che non c’era molto da girare, né da vedere. “Io vado un attimo in bagno” “Ehi! Asia, mi raccomando! Il bus parte tra poco, hai visto che sono puntuali qua”.
“No, dai, non può farcelo perdere, io davvero la strozzo… non mi dica che ha trovato fila QUI, in questo buco di culo del mondo..” “Dai Sandra, vedrai che arriva.. eccola! ASIAAA!!! Sbrigati!!!”
Il volto di Asia era decisamente alterato, le gote rosse indicavano che qualcosa l’aveva spaventata e fatta correre di filato, o era solo il timore di perdere il bus? “Scusate ragazze, mi sono messa a parlare con una vecchina che mi chiedeva qualcosa che io non capivo, abbiamo provato a intenderci a gesti… “ “Oh Asia, ma dai… è già la seconda volta che mi fai prendere un colpo, con questi autobus non possiamo scherzare, se lo perdevamo ci toccava aspettare due ore.. QUI!” “Lo so, scusate”. Mentre Cassandra ed Elena erano impegnate a far presente all’amica un paio di regole base del buon compagno di viaggio, una figura alta e pallida si avvicinò all’autobus in movimento e l’autista dovette frenare bruscamente. Urlò un paio di frasi stizzite, ma, di fronte al biglietto sventolato con sicurezza, non poté fare altro che aprire la porta del veicolo e far salire il ritardatario. Aveva un cappello di paglia calcato sugli occhiali scuri, una maglietta nera a mezze maniche e un paio di jeans blu scuro. Le Birkenstock che aveva ai piedi e la pelle diafana erano facili indizi di una sua origine nordica, sotto gli occhiali, barba e baffi rossicci aggiungevano un tocco coerente a quello che, da vicino, sembrava un tentativo ben riuscito di dissimulare il proprio aspetto.
Passando nel corridoio, il nordico urtò il ginocchio di Asia, che si era rimessa a leggere la guida con le gambe accavallate. La ragazza alzò il viso, accennando uno sguardo sorpreso, un attimo dopo, pagina 80 si guadagnava un curioso segnalibro: un tovagliolo di carta ripiegato in quattro.
Trecento piccoli indiani… e poi non ne rimase che uno
Sparta è una delusione. Il vecchio Tucidide lo aveva previsto, per questo avvertiva i lettori di non affezionarsi troppo a quelle tre pietre, perché un giorno sarebbero state triste vestigia se paragonate ai monumenti ateniesi. Tuttavia Sparta va vista. Perché alla fine Atene non esiste senza Sparta, il bene non trionfa se non ha un male con cui confrontarsi, la disciplina non si può immaginare senza attraversare il labirinto di quel che resta del santuario di Artemis Orthia. Di fronte alla parodos del teatro di Sparta Elena stava cercando di leggere le lunghe iscrizioni alle sue colleghe digiune di greco: “Dai, Elena, inventa qualcosa, tanto noi non possiamo sapere se stai facendo degli errori!” “No, aspetta Sandra, è che c’è questo maledetto sole che mi impedisce di leggere bene… K-A-I E-F-O-R-O-Y-S …” “Ragazze, ma non lo sentite anche voi questo suono?” Asia piegò leggermente la testa, aveva qualche problema a causa di una brutta infezione che le aveva lasciato un orecchio quasi sordo, eppure c’era un ronzio, che a poco a poco sopravanzava il monotono frinire delle cicale… “Ehi, hai ragione! Lo sento anche io.. sembra un motore” “Ma io non sento nulla, dai, un attimo che sto finendo il rigo, devo solo capire bene come spezzare le parole”
“ODDIO! ATTENTE!!” Asia spinse Cassandra contro la parete della parodos, mentre Elena si era già rintanata in una rientranza del muro, all’improvviso un motociclista inguainato in una tuta verde ramarro e con il casco integrale, sbucò a tutta velocità dalla scena del teatro e si dileguò altrettanto velocemente dietro l’ultimo ulivo che segnava l’ingresso al sito. Subito dopo le ragazze sollevarono gli occhi verso la sommità della cavea e intravidero altri centauri colorati, mentre il frastuono dei motori riempiva l’aria immobile, creando un senso di angoscia e di pericolo. Erano tanti, sbucavano uno dietro l’altro, senza preavviso e senza accennare a rallentare. Sembravano non fare caso alle tre visitatrici, non si poteva dire se intendevano spaventarle o se, molto semplicemente, consideravano il sito dell’antica Sparta “roba loro” e si sentivano in diritto di scorrazzare come e quando piaceva loro. “Fenite via di là, fenite da qvesta parte!”, una voce dal deciso accento tedesco si fece spazio nel frastuono, Cassandra credette di riconoscere il giovane fotografo di Olimpia. “Il zabato qvi si trasforma in una pista di Motokross..” In pochi minuti le ragazze furono in salvo, fuori dal sito e sulla strada principale di Sparta. Si presentarono e così seppero il nome del loro salvatore: Markus era uno studente di archeologia presso il Germanico di Roma, in vacanza in Grecia. L’adrenalina fu stemperata nel ghiaccio di un Nescafè Frapé e i quattro archeologi si ritrovarono a scambiarsi idee e commenti sui siti che avevano visitato, sulle condizioni in cui erano tenuti, sulle personali (e innovative) idee di museologia e sui confronti tra il sistema universitario tedesco e quello italiano. Markus era titolare del prestigioso Reisestipendium, che gli permetteva di viaggiare per un intero anno accademico; la sua ricerca principale riguardava alcune tecniche costruttive di età romana imperiale e i siti greci si stavano rivelando piuttosto ricchi di materiale e di spunti di riflessione. Approfittando del clima rilassato e ciarliero, Asia, l’archeologa preistorica, volle approfondire l’episodio dei trecento spartani morti alle Termopili. Le sue domande erano, come al solito, circostanziate e precise, agli amici classicisti chiedeva di citare i passi letterari che avevano permesso di ricostruire tutta la vicenda. Markus cercò di sottrarsi, accampando la banale scusa dei suoi studi specifici sul mondo romano imperiale, Cassandra era la più intraprendente, forte di un esame di storia greca dato pochi mesi prima e preparato con Clizia, la quarta archeologa rimasta in patria e con il pallino della storia greca, Elena ricordava a memoria alcuni particolari del racconto di Erodoto, ma quel che più le premeva era dimostrare l’atto eroico di Leonida e l’importanza che questo aveva avuto sulla tradizione greca successiva.
Il gruppetto giunse, così chiacchierando, davanti monumento dedicato al grande condottiero ed eretto in fondo ad uno dei viali principali, di fronte allo stadio della triste cittadina. Fu allora che Markus accennò ad una ipotesi letta da qualche parte l’estate precedente: secondo uno studioso tedesco, la storia dell’estremo sacrificio di Leonida era in realtà una montatura propagandistica spartana. Leonida era, non solo sopravvissuto, ma passato dalla parte persiana, in realtà era stato lui e non Efialte a tradire l’esercito degli alleati greci; in effetti Efialte sembrava essere un “nome parlante”, in greco moderno significava “incubo” e quale maggior incubo per un esercito che l’essere venduto dal proprio comandante?
Elena si scaldò subito e la sua parlantina subì una accelerazione improvvisa quanto inarrestabile, che fece indietreggiare Markus. Cassandra cercava di buttarla sul ridere, ma Asia aveva piantato gli scuri occhi seri in quelli cerulei del giovane berlinese. Non era più interessata alla vicenda delle Termopili, piuttosto alla lettura dello studioso tedesco. Markus fece riferimento ad altri esempi certificati di condottieri che avevano tradito i propri soldati, ma desistette quasi subito di fronte alla furia di Elena.