Comincio oggi un esperimento: provo a scrivere un racconto breve e a pubblicarlo a puntate. Lo spunto mi è dato da una vacanza mancata nel 1996, le protagoniste sono amiche con le quali, all’epoca, frequentavo la facoltà di Scienze dell’Antichità, indirizzo storico-archeologico. Dico subito che i nomi sono stati cambiati e che io sono Clizia, nella finzione del racconto. Non so a quanti piacerà, sicuramente a me sta piacendo scriverlo e questo è già un ottimo motivo per procedere nel lavoro! Nella mia idea dovrebbe essere un giallo, spero che i miei 26 piccoli lettori saranno buoni e comprensivi nella lettura…
Lo avevano programmato per tutta la primavera, riducendosi sempre un po’ all’ultimo momento. Ma dopo la sessione degli esami di Aprile si erano finalmente decise a comprare le guide, una per zona: Nord, Centro e Isole. Quella del Peloponneso era spuntata fuori da una loro compagna, appena tornata da un giro a Olimpia, Epidauro e Sparta.
Tre teste, difficili da mettere d’accordo quando si trattava di scegliere la pizzeria del sabato sera, ma armoniosamente in sintonia di fronte alle decine di siti che la terra ellenica offriva generosa in quella estate torrida.
Avrebbero lasciato a casa la quarta archeologa, trattenuta controvoglia da una malattia infettiva e da difese immunitarie ridotte ai minimi termini. In fondo pensavano che si trattasse di una scusa, ma evitavano di farglielo presente, perché era chiaro che una qualche, serissima, ragione le stava facendo perdere una vacanza già definita mitica.
Un traghetto troppo lento
Elena scalpitava, con lo sguardo lanciato oltre la prua e gli occhi strizzati dietro alle lenti affumicate, nel tentativo – vano – di distinguere la prima isola. Secondo i suoi calcoli, considerando la partenza da Brindisi e l’approdo a Patrasso, una di quelle prime cupolette verdi e gialle, galleggianti nell’acqua salata, doveva essere Itaca. Cassandra e Asia rimanevano tranquillamente sedute sulle scomodissime sedie di plastica: l’una, con le lunghe gambe distese su una seconda sedia, posta strategicamente di fronte, e l’altra piegata su una delle guide, intenta a imparare a memoria le notizie più curiose sugli usi e i costumi, le feste patronali e i luoghi di interesse culturale.
“Elena, la vuoi smettere? Hanno appena detto che abbiamo un’ora di ritardo… è stata quella bolgia infernale, ieri, a far slittare la partenza … e sai.. in effetti partire il 13 di agosto .. com’era? ‘vedrai che non ci sarà nessuno perché partono tutti prima?’ see seee… “ – Cassandra non poteva evitare di fare
riferimento a quell’unico momento di scazzo durante la preparazione del viaggio: la data della partenza.
“Sì, Ele, lascia perdere, vieni qui a leggerti un po’ del Peloponneso, io mi concentro su
Atene” – Asia aveva già metabolizzato il caos del giorno prima, la notte era stata abbastanza tranquilla e si era riposata.
“E che cazzo, Sandra! Che ne potevo sapere? Era così logico pensare che NESSUNO sarebbe partito di martedì 13!! E comunque, ora o no, tra un po’ dovremmo esserci, porca miseria! .. No, Asia, lascia perdere, ho dormito da schifo e c’ho un mal di testa feroce, preferisco rimanere qui a prendere un po’ d’aria … “
“Sì, infatti.. martedì 13.. cos’è, il titolo di un film dell’orrore?? Lascia perdere Elena e vieni a sederti all’ombra, altrimenti .. altro che mal di testa!”
Il terzetto continuò a becchettarsi per un po’, poi, finalmente, all’orizzonte cominciarono a profilarsi delle gobbe brulle e assolate. “ITACA! AHAHAHA che vi avevo detto ragazze?? Fatemi vedere la cartina, è sicuramente quella l’isola!”. Cassandra si alzò stancamente, prese la macchina fotografica e si preparò ad immortalare il primo scampolo di suolo greco di questo viaggio tanto agognato. Asia sollevò la testa e strizzò gli occhi, seria e vagamente scettica. Intanto Elena indicava trionfante la mappa: “Ahaha che ti avevo detto, Sandra? Eccola qui, decisamente lei!”
Attorno alle giovani aspiranti archeologhe si raccolse un piccolo capannello di stanchi turisti, alla disperata ricerca di qualcosa da fare, fosse anche solo osservare un pezzo di terra nel mare e dargli un nome evocativo.
Man mano che ci si avvicinava, fu chiaro che si trattava di una sorta di grosso scoglio, molto poco mitico, ma pur sempre un indizio dell’approssimarsi della costa greca.
Il primo pullman
Lo sbarco a Patrasso fu meno penoso dell’imbarco del giorno precedente: i turisti appiedati erano fatti sgomberare velocemente da muscolosi greci urlanti, mentre macchine e tir sciamavano fuori dal ventre capiente del traghetto, in un tripudio di clacson suonati nervosamente. Le tre amiche si ritrovarono ben presto sul molo con lo sguardo poco convinto: dovevano capire da dove partiva il pullman che le avrebbe condotte alla loro prima tappa, Olimpia. Fortunatamente il sistema greco si rivelò molto pratico e facile e in meno di 20 minuti erano in fila in biglietteria, pronte a prendere il primo bus diretto in Elide e in partenza dopo mezz’ora.
“Allora, dove cazzo si è cacciata?” “Sandra, dai, sarà andata in bagno e avrà trovato fila.. aspetta, ecco, è il nostro turno, speriamo che parlino inglese…” Il bigliettaio si rivelò non solo anglofono ma addirittura italofono, Cassandra ed Elena cominciarono a capire che il turismo italiano manteneva in vita l’imprescindibile adagio “Italia Grecia, mia faza mia raza”, che accomunava i due popoli in una certa trasandatezza nell’affrontare l’afa dei pomeriggi interminabili. Se pronunciato insieme all’evergreen “den pirasi”, spalancava la porta al fatalismo mediterraneo, quello dei sorrisi sdentati e delle tazze di tè, quello dei bicchieri di ouzo con i riflessi viola delle bouganvilles, quello delle cicale invadenti in un mattino di pietre roventi. Le due viaggiatrici uscirono nel sole delle tre, accecate ma felici di aver conquistato il primo tassello del mosaico estivo: “Ahahah! La faccia che ha fatto quando gli ho chiesto se conosceva Firenze!!” “Sì, Elena, infatti secondo me stava per non darci il biglietto … l’ho visto che ha guardato in direzione di quei due agenti..” “Ma hai visto che pezzi di fichi?? Secondo me quelli piacerebbero anche ad Asia!!” “Ecco, appunto, dove cazzo si è cacciata? Il bus parte tra un quarto d’ora.. se ce lo fa perdere la ammazzo!”.
Non fece in tempo a finire la frase, che Cassandra scorse in fondo alla sala della biglietteria il volto serio e sereno dell’amica, non era facile distinguerla sotto allo zaino verde e blu, ma quegli occhi erano inconfondibili, piccoli e curiosi, sempre intenti ad analizzare la situazione. “ASIAAA!!! Siamo quaaaa! Vuoi venire, Cristo!?”
“Scusate, ragazze, c’era fila al bagno.. insomma, bagno… diciamo un retaggio della dominazione turca.. però pulito” “Ok, poche palle, che tra poco il bus parte!”.
Sangue sulla colonna
“Dai Sandraaa!!! Scatta !!che qui fa un caldo cane!!”, Elena cercava di mantenere un sorriso convinto, ma la goccia che scendeva lenta e inesorabile da sotto la bandana le stava solleticando il naso, preparandola ad uno starnuto liberatore. Non era solo il caldo a farla spazientire, era ormai da un’ora che giravano per il sito archeologico di Olimpia e si erano beccate già tre fischiate da parte dei guardiani. D’altro canto quella era un’occasione più unica che rara per le due classiciste di toccare con mano le colonne dell’Heraion (che Pausania definiva le prime colonne in pietra di un tempio greco) o di immortalare quel che restava del Pelopion, il monumento funebre all’eroe dalla spalla d’avorio, la cui morte era stata la prima occasione di giochi organizzati nei pressi dell’Alfeo. E poi era impossibile non arrampicarsi tra le pietre del laboratorio di Fidia, quello in cui il celebre scultore aveva dato forma alla statua di culto crisoelefantina di Zeus. Ora si erano spostate tra i rocchi delle colonne del tempio del padre degli déi: enormi fette di ricotta ( o Viennetta …non riuscivano a decidersi) adagiate ordinatamente, quasi aspettassero una mano gigantesca che ricomponesse ogni fusto con il proprio capitello. “Ma Asia?!” Cassandra non riusciva a capacitarsi di come la loro compagna d’avventura fosse riuscita a defilarsi appena dopo la visita allo stadio di Olimpia: avevano coinvolto un simpatico turista tedesco, costringendolo a immortalarle in posizione di scatto sulla linea di partenza. Era stata Asia a ringraziare il giovane lentigginoso, aveva riconsegnato la macchina fotografica ad Cassandra e poi, era bastato un attimo di distrazione, e Asia e il teutonico erano scomparsi.
Dopo le prime, inevitabili, battute, Cassandra ed Elena avevano deciso di continuare da sole il loro giro archeologico. “Dai! Aspettate la voglio anche io una foto tra i rocchi di colonna!!” – “Asia?! Ma dove eri finita? Ti sei infrattata col tedesco??” “Ma che dici??? Stavo guardando i monumenti sulla collinetta dietro lo stadio, pensavo mi aveste seguito e invece mi son ritrovata da sola… non vi trovavo più!” “Va beh, dai, poi ci racconti del tedesco, ora mettiti in posa che se ci beccano ci fanno il culo!”
“Scusate ragazze, ma avete visto questa macchia?” Elena si chinò lentamente vicino ad uno dei capitelli finiti sotto gli alberi che circondavano le vestigia del tempio. “Macchia? Sarà muschio…” “No, Sandra, guarda, è scura, aspetta… è umida.. ma che è?!” “Elena non toccare se non sai cos’è” – La voce di Asia era piuttosto seria, ma Elena continuò senza badarci, e così.. “Oh CAZZO!! Cazzo ma questo è.. sangue!!!” “Ma che dici? Ma ven via… sangue… “ “Sandra, ti dico che è SANGUE, guarda il colore… aspetta ma… quello è un taglierino.. là, nell’erba” Cassandra si avvicinò al punto indicato dall’amica e scorse effettivamente una lama abbastanza lunga, sporca anch’essa vicino alla punta di un riflesso ramato. “Lasciate perdere e venite via, magari è qualcuno che stava mangiando una pesca e si è tagliato, sarà andato a farsi medicare”. Cassandra si voltò verso Asia, indecisa se imprecare o scoppiare a ridere “UNA PESCA?!?! Ma che dici? Un picnic finito male?? Ahahahah va beh.. una pesca… no, questo è il massimo, ora lo scrivo sul diario di viaggio… e magari si è lamentato del sapore un po’ troppo dolce… oddio.. ma come ti vengono?” “Mmh, va bene, e allora cos’è? Non c’è nessuno qua intorno, pensavi di trovare un cadavere?” Il tono di Asia non sembrava aver voglia di scherzare, Elena continuò ad imprecare mentre tirava fuori le salviettine umidificate e cercava di lavarsi via il sangue dalle mani; la scena era suggestiva, univa il tradizionale dramma greco a reminiscenze scespiriane, solo che al posto di Lady Macbeth c’era Cassandra, ancora scioccata dall’idiozia tirata fuori da Asia, ma non abbastanza scossa per decidere di andare in fondo alla faccenda.
Decisero che il giro era finito e che potevano ritenersi più che soddisfatte. All’uscita dal sito Cassandra ed Elena cominciarono di nuovo a becchettarsi a vicenda, non sapendo decidere se, tra le statue dei frontoni del tempio di Zeus esposte al museo, fosse più intrigante l’Apollo, giovane e nudo giudice divino, o lo Zeus, dal corpo perfetto pur senza testa.
Asia si voltò pensierosa a guardare l’ambulanza che entrava nell’area archeologica tra due ali di custodi, a sirene spiegate.