Francesca è tagliente “sì, sì, lasciali dire, quelli che si scagliano contro gli extracomunitari, contro gli ebrei, contro ogni tipo di minoranza, e si fanno forti della “purezza” del loro albero genealogico, sicuri di sapere perfettamente da dove vengono. Io so che, se facessero un po’ di ricerca tra nonni, bisnonni e trisnonni, potrebbero scoprire delle verità scomode, oppure capire che non ha senso scagliare pietre, bisogna prima sapere da dove veniamo.”
La foga con cui pronuncia queste parole non mi stupisce, so che ormai da tempo sta facendo un’opera certosina di recupero delle origini della sua famiglia. Tuttavia le faccio presente che la sua è una risposta fuori luogo ad una domanda retorica che, dal mio punto di vista, ha un taglio leggermente diverso.
Ma Francesca ha ragione e solo oggi, dopo aver letto l’ultimo germoglio, spuntato sul suo albero genealogico ricco di gemme, capisco davvero la passione e la pregnanza delle sue parole… “Il ramo ritrovato” è un piccolo scrigno. Per la famiglia di Francesca, per i suoi amici che hanno seguito le pubblicazioni precedenti e l’enorme lavoro di raccolta della documentazione necessaria a confezionare quest’ultimo, ma anche per chiunque volesse cimentarsi a leggerlo.
Dico “cimentarsi“. Perché le date e i nomi sono tanti.. ti travolgono.. fortunatamente gli alberi genealogici inseriti nel libro aiutano a chiarirsi le idee, ma mentre leggi vieni portato via dalla piena di nascite, morti, matrimoni, vite vissute o sacrificate. E mentre leggi di tutte queste famiglie, spesso imparentate tra di loro, non puoi fare a meno di sentirti percorrere da un brivido “Cosa sarebbe successo se non ci fossero state la passione testarda di Francesca e le domande curiose di sua madre?”
Mentre leggi di come Alessandro e Zina hanno lottato per raggiungere un matrimonio d’amore, e poi, dopo, per conquistare una serenità familiare; oppure quando ti immergi nelle controversie familiari attorno ai posti di dirigente RAS; infine quando percorri tremante quelle linee di binari che inesorabili conducono alla morte, e intanto cerchi di capire chi si salverà; per tutta la durata della tua lettura continui a interrogarti sul pericolo di una memoria cancellata.
In effetti questo sembrava essere il destino delle decine di protagonisti dei libri di Elena e Francesca: l’oblio. Quasi vergognoso, sicuramente definitivo.
Invece no. Madre e figlia ipotizzano che, in fondo, l’aver conservato tutte quelle lettere e tutte quelle foto ha voluto significare qualcosa: cercateci, non dimenticateci, trovateci e ricordateci. Ma la mente umana è ricca di mistero, il modo in cui la memoria intende mantenere nitidi i ricordi è davvero impossibile da prevedere. I figli di Alessandro e Zina non sapevano, forse, come fare, aspettavano l’arrivo di qualcuno cui affidare memorie troppo pesanti da gestire.
Dalle prime lettere, che finalmente facevano rivivere una donna e madre dalla vitalità prorompente e troppo presto troncata, Francesca ed Elena hanno continuato a scavare, per raggiungere le radici di questo albero così frondoso. E assieme alle lettere recuperano le fotografie, per dare volti ai nomi oppure per spingere a cercare nomi nuovi.
Alessandro, vestito da paggio, commenta che quella foto è un ricordo “dei tempi pazzi”, siamo alla fine dell’800 e i tempi sono davvero quelli dei più intraprendenti, nella neonata nazione. Noi sorridiamo della sua parrucca bionda, ma contemporaneamente lo ringraziamo per questa immagine di spensieratezza, a pochi anni dal secolo breve. I racconti che Francesca raccoglie ne “Il ramo ritrovato” sono molto meno spensierati: ricordano un’epoca in cui la forza della sopravvivenza lottava contro i mostri della Storia.
Tante storie di famiglie della media e alta borghesia, che confondono un’etichetta religiosa con la libertà di espressione: gli ebrei non vengono rapiti all’uscita dalla sinagoga, Eugenio muore come “libero pensatore”. E cambiare cognome, renderlo più “ariano” o cattolico, può non servire di fronte alla banalità stupidità del male…
Tutto questo e molto di più emerge dalle pagine de “Il ramo ritrovato” e la testardaggine di Francesca, e di sua madre Elena, nella ricerca appassionata di questo ramo, ci fanno pensare a quanto azzeccata sia la figura dell’albero per rappresentare una famiglia: una creatura viva, che si nutre del sale della terra e dell’acqua piovana, cioè di passione e lacrime.
Tante lacrime sono state versate: dalla piazza dell’Aglio a Mantova, fino al Montenegro, al Belgio, e poi di nuovo in Italia tra Milano e Trieste, Firenze e Catania. Infine nei vagoni scuri e maleodoranti che attraversavano il confine a Nord e tornavano vuoti, oppure in una cella fredda da cui un carabiniere sano riesce a mettere in salvo una mamma e i suoi due bambini.
L’albero di Francesca ed Elena scuote le sue fronde e il fruscio ci fa voltare: ci chiama al riparo sotto la sua folta ombra e invita a coltivare.. il ricordo di chi ci ha preceduto.