“Con lui mi si apriva un lucido mondo, dove stavano sempre per avvenire miracoli”
Didattica! Mai parola fu più complessa e semplice allo stesso tempo, mai termine fu più pregno di significati che possono andare da un’ora di lezione in classe, alla visita guidata in un castello sperduto. Ma quest’ansia di comunicare la propria conoscenza è, secondo me, insita nell’animo umano. Forse la si può rintracciare perfino nella discussione al bar della partita appena conclusa…
Ci sono, perciò, degli ambiti che, nell’immaginario popolare, sono più difficili da comunicare rispetto ad altri. L’archeologia ricade, purtroppo, in questa leggenda metropolitana, da ciò deriva la gara (tra poveri, di solito) per trovare il metodo più accattivante con cui catturare l’attenzione. In generale, molta parte della storia rientra in questa gara perpetua tra chi si occupa di didattica. E’ quindi un sollievo trovare chi è riuscito a superare il concetto di gara e si è immersa completamente nella realtà storica che voleva comunicare.
Maria Bellonci, con Rinascimento privato, è riuscita a incarnarsi in Isabella d’Este e nei vari personaggi della sua corte. Attraverso le sue parole, ci possiamo calare in una tipica scena di dibattito, che ha per oggetto.. proprio l’insegnamento ai più giovani
Davanti a me si formano subito, precise, le figure del Guarino onorato da ognuno, circondato da maestri dello Studio tra i quali Pellegrino Prisciano, astronomo-geografo e astrologo di casa, dai modi devoti, amico di tutti e contento di se stesso. Mia madre, ornata di argento e perle, tutta graziosa e sempre velata da un filo di ansia particolare al suo temperamento napoletano, sopravanzava in bellezza e dignità ogni donna presente e il suo tono patetico che la rendeva diversa muoveva nell’animo di ognuno non so quale tenerezza. Io, sua figlia prediletta, mi ero fatta abbigliare con l’abito rosa orlato di velluto nero a ricami d’oro e sciogliere i capelli secondo il privilegio consentito alle donne di sangue reale. Le dame assistono sedute su scranne e banconi dai dorsali di velluto morello, gli uomini in piedi; a me è riservata la pedana che sorregge la scranna ducale di fronte agli uomini di lettere e di scienza. Siamo pronti. Mia madre si è chinata un momento per baciarmi la fronte e io le faccio il mio risetto allegro che le piace. “Ho visto…” comincio a dirle fervorosamente.
Mi fa cenno di tacere; si volge al signor Pico della Mirandola, in piedi davanti a lei senza berretta, e con quel suo accento tra ferrarese e napoletano, una musica al mio orecchio, dice:
“Signor Pico, propongo di prendere come argomento un fatto accaduto oggi, anzi poco fa. Abbiamo avuto relazione delle imprese dei nostri scolari: beffe, ribellioni, ferimenti. Voi siete stato allo Studio di Padova, e sapete che cosa accade negli altri Studi di Firenze, Bologna e persino di Parigi. Non vi domando di giudicare i vostri compagni ma di cercare con me le ragioni delle loro intemperanze. Che cosa vogliono? Non vi sono nel nostro Studio eccellenti Lettori per ogni ramo del sapere? Il duca Ercole non bada a spese per farli venire da tutta Italia, da tutta Europa. La fama di tanti maestri ha popolato Ferrara di giovani bramosi di imparare. Il nuovo Rettore, Gasparino da Cipro, eletto con consenso generale, è persona compita e sapientissima in giurisprudenza. Per quali ragioni dunque è osteggiato e persino beffato nella forma ignobile di un asino?”
[…]Il signor Pico si preparava a parlare. “Vostra signoria” disse “ha colpito giusto col suo solito acume. Avete ragione, il Cipriotto non è una causa ma un pretesto. La vera causa di queste liti che non si riferiscono apertamente a cose di studio, è sempre la stessa, remota nella mente dei giovani e operante nel loro animo. Non vi pare di avvertirlo sensibilmente? I giovani sono mossi da un’ansia dell’anima che essi traducono nelle loro azioni goliardiche e materiali; ma dentro di loro sono scontenti: vorrebbero inventare per se stessi e per un mondo diverso: e certo, la filosofia, la poesia e la scienza aprono vie nuove per arrivare alla liberazione dello spirito.” “Da quando sono nato” intervenne con voce educata e compiaciuta il signor Ludovico Carbone, cortigiano e studioso, “sento dire che il mondo cambia; e le cause e gli effetti sono sempre uguali. Da secoli viviamo sotto la minaccia della scimitarra turca; è stata più volte predetta la fine della cristianità, e siamo qui a discorrerne. Ho il sospetto che congiuri contro di noi solo il timore delle congiure”.
Rispose a lungo Pellegrino Prisciano ordinando il senso delle sue vaghe divinazioni che profetavano un gran rotare di astri intersecati: “la vicenda di ogni uomo dipende dalla fortuna”, diceva mentre si lanciava nei suoi fumosi e lusinghevoli oroscopi che lo facevano preferire dalle donne. Solo il maestro Battista Guarino riuscì a fermarlo e a ridare la parola al giovane oratore che era stato interrotto.
“Conoscere il latino, conoscere il greco” riprese Pico tra interrogativo e illuminato, “I sommi studiosi dei tempi anteriori ai nostri come Maestro Guarino Guarini, il gran padre del nostro Battista, ambedue educatori senza pari, hanno portato la luce della sapienza greca nell’intendimento delle cose e mutato l’orientamento dei nuovi studi. Ma non basta, c’è tanto da conoscere in libri che non leggiamo, ebraici, arabi, persiani. La verità si nasconde sotto più linguaggi, oltre i linguaggi oltre i simboli. La Bibbia stessa, fra i testi sacri, contiene tutti i misteri dell’essere, ma chi l’ha scritta li ha messi in cifra: celati da un velo offrono pallide immagini di quelle verità. Bisogna finirla con quelli che contano i peli della barba di Omero: vogliamo e vogliono i giovani, seppure non chiaramente, penetrare e discutere le ragioni profonde della vita umana e divina.”
Ecco, questa scena altamente evocativa ci lascia avvolti da un torpore piacevole, l’idea di un tempo in cui una donna raccoglieva attorno a sé pensatori ispirati e dava loro la possibilità di scambiarsi opinioni. Nel romanzo della Bellonci il dibattito si conclude con le declamazioni del Boiardo, ansioso di far conoscere le sue ultime composizioni.
A noi rimane un po’ di nostalgia, ma anche la certezza che un simile brano potrebbe entrare nelle classi per avvicinare i ragazzi all’atmosfera rinascimentale, che vale molto più di mille date imparate a memoria. Il brano andrebbe accompagnato dai quadri, innumerevoli, che hanno illustrato un periodo della nostra storia estremamente votato all’estetica.
Non solo, in questo brano c’è l’essenza stessa del concetto di didattica: non date e avvenimenti, ma strumenti per “penetrare e discutere le ragioni profonde della vita umana e divina”, ecco quello che ci chiedono i ragazzi. Ecco quello che, forse, cerchiamo anche noi.
Sulla scia del discorso di Pico della Mirandola, potrebbe essere interessante una breve intervista a Franco Ferrari, Insegnare Omero oggi, dove si spiega, una volta di più, che nei testi antichi si possono trovare spunti di riflessione buoni per tutti noi, classicisti oppure no, grecisti o latinisti, refrattari alle lingue morte, ecc.ecc.
Due sono i presupposti essenziali: la passione del docente nei confronti del discente, e la curiosità di entrambi.