Preparare le lezioni equivale ad un viaggio, ogni volta.
Superata la considerazione logica, a tratti annichilente, che mi sarei dovuta preparare mesi fa, tutto sembra più divertente, a tratti emozionante. E così, finalmente abbandono gli ampi orizzonti fatti di deserti, ghiacci, grotte, pitture e statuette protopornografiche, la “sfaccettata” (quanto affascinante…) industria litica…, volto le spalle perfino agli antenati di questa grande terra che ora mi ospita e mi inoltro verso praterie più note.
La pianura liquida che Braudel individuò nel Mediterraneo e che fa da tessuto connettivo di trame complesse, colorate, preziose, ma a me definitivamente più vicine!
Il primo passo per far approdare i miei pupilli nordamericani alle spiagge e al sole del Mediterraneo è una breve introduzione alla nascita del mito, seguita da una lezione sugli scambi commerciali via mare e via terra, nei vasti altopiani dell’Iran, tra le lande mesopotamiche e lungo e coste levantine ed egiziane.
Il filo rosso sta proprio nell’idea braudeliana: luoghi che sulla carta appaiono distanti, nella realtà erano collegati dal più solido dei ponti, quello commerciale. La diffusione del pensiero mitico e delle leggende del “mondo animale” e poi del “mondo vegetale”, è seguita passo passo da un grande personaggio come Joseph Campbell, che mi viene in aiuto, in questo pomeriggio americano. Un altro filo rosso, il libro di Campbell regalatomi da mio padre, che avrebbe compiuto 80 anni proprio il 23 febbraio: seguirlo, o meglio, svolgerne la memoria raggomitolata, è il modo migliore per mantenere fede all’impegno di questo viaggio, ricercare la Stefità (Pursuit of Stefiness).
Molti anni sono passati dal mio primo sfogliare le pagine dense del sorridente americano, oggi con youtube sono in grado di recuperare alcune vecchie interviste. Da quelle immagini mi giunge ancora più forte il messaggio di Campbell: la ricerca di noi stessi è il vero motore che ci spinge ad indagare le più primitive forme di rito, le prime domande e le conseguenti risposte alla nostra paura ancestrale.
E’ vero, spero proprio di poter comunicare questo chiaro messaggio ai ragazzi che mi ascoltano, sempre pieni di stupore quando riesco a finire una frase di senso compiuto! La lingua spesso mi abbandona, esperienza strana per una paralogorroica come la sottoscritta, ma le immagini riprendono le fila del discorso e la materia dei sogni, la mitologia, scivola via liscia slide dopo slide.
–due giorni dopo–
In questo lunedì pomeriggio, dopo aver invano cercato di rispettare le micro-scadenze (sono come il micro-credito, ma molto più difficili da mantenere), rifletto sulle parole di Campbell e sulla necessità di parlare di miti sumerici o egizi.
Campbell diceva che il declino morale della società moderna era proprio legato alla mancanza di un sistema di leggende mitiche, la mancanza di una mitologia di riferimento.
Eppure… ieri sera mi sono guardata la notte degli Oscar, una mitologia fatta di esseri in carne e ossa assimilati a divinità e filmati di celluloide in cui viene riprodotta una realtà alterata e contraffatta, ma sempre affascinante, specchi di una esigenza di catarsi, aristotelicamente parlando…
Poi oggi, i risultati di elezioni che danno, se non vincente, nonancora morente il più grande mito che l’Italia abbia forgiato negli ultimi 20 anni .. E allora è facile, prendi un po’ di demoni babilonesi, un’idea di Leviathano, qualche mito della rinascita e il gioco è fatto.
O no? No, direi di no. Bisogna cominciare proprio ora, cominciare a giocare, a pensare, a fermarsi e a ripartire. E’ proprio vero che ci manca una mitologia? Ci mancano, cioè, dei riferimenti culturali, dei contenitori antropologici in cui collocare i nostri dubbi e trovare risposte, più o meno rassicuranti?
E’ proprio vero che, se ricominciassimo a uccidere qualche capretto in più, con i dovuti esorcismi, o se inviassimo i nostri primogeniti a recuperare un cartone di latte scalzi, di notte, al gelo e senza cellulare, potremmo evitare di compiere altri tipi di sacrifici collettivi?
Ad esempio sacrificare la nostra intelligenza, per dire. Oppure la nostra sovranità di popolo. O ancora il nostro futuro e quello dei nostri figli (anche i nipoti, contano, che credete?).
Di una cosa comincio ad essere sempre più convinta: lavorare in ambito culturale, qualunque cosa questa espressione significhi, ci mette nella posizione più scomoda quando capitano fatti del genere.
Chi siamo? dove siamo? Siamo precipitati in questa piramide, da sacerdoti del pensiero a schiavi di noi stessi e delle nostre paure.
Troppo occupati a prenderci a calci per non permettere al medievista di scavare il sito classico, per non lasciarsi sfuggire la collaborazione con il Museo famoso, a scapito della propria dignità e di quella dei colleghi. Dove siamo finiti? A contare i giorni di aspettativa che ci sono dovuti, oppure a calcolare gli utili di una cooperativa sempre troppo poco “rossa” per i nostri gusti.
Dove siamo andati? In fila a rispondere a quesiti su Leopardi, sperando di rientrare in mistiche graduatorie.
Mentre facevamo tutto questo, abbiamo perso di vista il nostro privilegio: l’opportunità di occuparci della cultura dei nostri compatrioti, la possibilità di occupare il tempo informandoci e sforzandoci di leggere il passato, comprenderlo e riproporlo decrittato. Il gusto di perderci dietro a svolazzi di pepli, solo perché così sarebbe stato più facile descriverli e offrirli al pensiero del pubblico. Questo è quello a cui siamo chiamati.
Ricordiamoci che se oggi malediciamo l’insipienza di almeno un terzo degli italiani, noi, che ci fregiamo di far parte della classe colta e dedita alla cultura per vocazione (!), siamo i principali responsabili.
Sono convinta di quello che dico, per questo uso un bel “noi”, perché a volte rischiamo di concentrarci troppo su quello che facciamo per noi, ci illudiamo che il nostro sia un lavoro come un altro, invece no, abbiamo la responsabilità della divulgazione, i nostri “clienti” sono le menti delle persone che ci circondano. Ogni mostra (per quanto piccola), ogni visita guidata (per quanto privata), ogni lezione (anche in una quarta elementare), è un momento speciale, in cui noi dischiudiamo, come sacerdoti di antichi culti, l’atavica saggezza ai nostri contemporanei. Questo avviene a tutti i livelli, ai Capitolini come a Verucchio, nell’aula della Sapienza come all’Itis di Cologno Monzese: la società non ha più contatti con la cultura, i nostri sentimenti più nobili non trovano più spazio nelle sale di un teatro o sui palchi di un’opera, nelle vetrine di un museo o sugli schermi di un cinema. Perciò decidiamo di non provarli più e ci ripieghiamo su surrogati, che purtroppo non sono sufficienti.
Da domani, da stanotte, cerchiamo di vivere la nostra fortunata ispirazione come un regalo da condividere, tentiamo di diffondere il più possibile la malattia che ci attaglia da anni: l’amore per la comprensione e l’approfondimento, un approccio filologico al passato per capire il presente. Impegnamoci a sostituire la mitologia malata di questo Paese, sconfiggiamo il mostro e forgiamo un nuovo Minotauro, solo così daremo ai nostri compatrioti (e anche a noi stessi) anche la chiave per affrontarlo.
“.. abbiamo la responsabilità della divulgazione, i nostri “clienti” sono le menti delle persone che ci circondano. Ogni mostra (per quanto piccola), ogni visita guidata (per quanto privata), ogni lezione (anche in una quarta elementare), è un momento speciale, in cui noi dischiudiamo, come sacerdoti di antichi culti, l’atavica saggezza ai nostri contemporanei”. Bello! Convincente! Ma possiamo farlo da soli? Potremmo cominciare, sperando che altri sentano le stesse esigenze e seguano. E se non arriva nessuno? Se dopo trenta anni in cui, un po’ alla volta, ti sei lasciato convincere ad uscire da un comodo elitarismo ed a provare a fare proseliti, scopri che nessuno ti ha preso sul serio? Se ti accusano di essere solo una snob?
significa che non hai scelto il pubblico più adatto. oppure, più semplicemente, significa che devi insistere, con pazienza e umiltà: il mito non nasce in un giorno, a volte nemmeno in una generazione. Io sono convinta del fatto di aver sbagliato qualcosa, quello che posso fare è cercare di ritagliarmi uno spazio sempre più ampio di comunicazione. Non sarà questo blog, lo ammetto, forse dovrebbe essere un museo o una classe. Ammetto di avere più fiducia in persone la cui età si può contare sulle dita di due mani… ma sicuramente devo trovare un luogo o un modo che mi permetta di raggiungere anche altri, forse non tutti, ma più persone. Chi accusa è, di solito, qualcuno che, sulla carta, sarebbe chiamato alla mia stessa vocazione. Allora, semplicemente, posso cercare di essere ancora più chiara, ma da oggi mi impegno a non voltare più le spalle.
Sai Stefy, temo che sia una bella battaglia contro i mulini a vento. Io lo vedo nel mio ruolo di “educatrice” dei miei figli. Per quanto io mi sforzi, quotidianamente e mettendoci tutta l’energia e l’entusiasmo possibile, di formare un cittadino consapevole, una giovane mente critica ecc ecc…, mi rendo conto che certe cose rimbalzano indietro perchè purtroppo la realtà in cui questi pargoli sono immersi è quella che è. I nostri stimoli spesso sono attenuati, se non annullati, da altri di segno opposto, che quotidianamente piovono da tutte le parti.
E anche ammettendo che io possa riuscire almeno parzialmente nel mio intento, per una mamma come me ce ne saranno almeno 10 che invece insegneranno ai figli tutt’altro.
Idem per gli insegnanti. Ce ne sono tanti, motivatissimi, che ci provano e che alla fine alzano bandiera bianca, perchè constatano che è già un risultatone se, su una classe, due o tre riusciranno a sviluppare capacità critiche.
Io temo che tu stia sopravvalutando gli italici.
guarda, per te la stessa risposta che ho dato a Sandro, purtroppo si tratta di processi lunghi e a volte lenti. Anche se parliamo dei tuoi figli, con i quali hai a che fare quotidianamente.. in quel caso entrano in gioco altre forze, sarebbe ben strano se prendessero tutto quel che dici per oro colato e lo mettessero subito in pratica. Ma, se c’è una cosa che ho imparato come figlia, la coerenza paga, sempre. Alla fine nei tuoi genitori, con buona pace di Freud & Co., tu cerchi coerenza, che va al di là dell’esempio. Perciò, non disperare, fregatene delle altre 10 mamme… mantieni la fiducia, se non altro..nella genetica! 🙂 … e davvero, rimbocchiamoci le maniche.