Un impegno affascinante, quello di Francesca ed Elena alle prese con la trascrizione, per buona parte anche la traduzione, di almeno un migliaio di lettere scritte tra gli anni ’50 dell’800 e il 1902. Un impegno totalizzante, quello di una madre e una figlia che scoprono e rivivono le lettere di – rispettivamente – nonni e bisnonni, e poi bisnonni e trisnonni. Un impegno avventuroso, quello di due donne che si immergono in una realtà femminile che pare non corrispondere alle immagini color seppia, ritrovate tra carte polverose.
Tutto questo e molto di più è “Dovete Amarmi Molto e Senza Fine” e “Non tutto il male vien per nuocere“, due imponenti volumi in cui Francesca e sua madre Elena hanno racchiuso decenni di vite e genetica. Decidere di presentarli, dopo ormai qualche anno dalla pubblicazione, presso la Libreria delle Donne, a Firenze, ha significato chiedere anche ad altri di osservare le “loro” donne attraverso occhi diversi. Così è stato impostato l’incontro “Donne inaspettate”: uno sguardo su donne dell’800 attraverso le parole di quelle stesse protagoniste, per uscire dalla retorica di crinoline e volti tirati, di busti stretti e sorrisi impostati.
In effetti, l’opportunità di entrare in un carteggio personale è più unica che rara. Magari potessimo cogliere quelle stesse libertà, le riflessioni, le sensazioni raccontate a chi si ama, quando indaghiamo, curiosi, i testi e le immagini più antiche, alla ricerca del “bello delle donne”. In realtà, per quel che riguarda la Grecia o Roma o anche l’Etruria, caschiamo inesorabilmente nelle affascinanti trappole preparate dai “soloni” della letteratura. Il nostro padre della Storia, Erodoto, che legge come prostituzione un’usanza per lui incomprensibile delle popolazioni della Licia, quando il padre deve racimolare la dote da dare alla figlia; il buon Platone, che tesse racconti affascinanti sull’amore, ma nel parlare di educazione dei bambini relega le femminucce in ruoli sempre uguali e aridi. E così anche nelle poesie, che parlano d’amore con versi ispirati, ma al 90% maschili nella sensibilità.
Per questo ci emozioniamo per le rare figure femminili, Saffo, ad esempio, sulla quale, tuttavia, sembra pesare eccessivamente il contesto di amore omosessuale, per cui è quasi svestita dalla prerogativa femminile, è “qualcos’altro”, è punto di riferimento anche per i colleghi maschi, dunque è quasi un’Amazzone, una donna-che-ha-rifiutato, un animale strano. Oltre a lei c’è Corinna, della quale, in ogni caso, si amano ricordare i frammenti poetici di epitaffi per animaletti morti: animaletti, cioè piccoli uccellini o grilli, compagni di giochi di bambini. Ecco, Corinna è più rassicurante: amore, bambini, giocattoli, questa sì che è una donna (!)
Poi ci sono le donne pittrici, non molte e comunque greche, ricordate da Livio: figlie di pittori, ragazze mai sposate, di nuovo un destino che le “condanna” a rinunciare a ciò che è considerato fondamentale per una donna.
Se invece vogliamo tuffarci nella letteratura più alta o famosa, troviamo figure tragiche, donne-madri snaturate, donne-mogli traditrici, donne-mogli disgraziate, ecc.ecc.
Manca la normalità, nelle immagini femminili del mondo antico.. a meno che.. non ci rivolgiamo ad alcuni autori che scrivono in età ellenistica: un periodo fondamentale nella storia del Mediterraneo. Nelle città che si trasformano in metropoli, tra una popolazione che sperimenta il melting pot più estremo, Teocrito riesce a catturare gli aspetti più veri di donne che appartengono ad una classe sociale in formazione: non ricchissime, non più indigenti, con poca servitù e qualche ambizione.
Prassinoa: E’ sempre lui, testa bacata: ha voluto venir qui in capo al mondo a prendere una tana, no una casa – per dispetto, per non farci star vicine – cattivo e invidioso!
Gorgo: Non parlare così di tuo marito Dinone, cara: c’è il bambino! Vedi come ti guarda! Ma no, ma no, Zopirione, piccolino bello: non parla del papà.
Teocrito, Le Siracusane o Le donne alla festa di Adone, Idillio XV, vv. 8-13
Sempre Teocrito decide di indagare anche gli aspetti più oscuri dell’animo femminile, ma, piuttosto che le figure tragiche note dal mito e dalla Storia, egli ci offre una scena del quotidiano: una donna tradita, che cerca di riconquistare l’amato con.. una pozione magica. L’Incantatrice è un pezzo di bravura, perché unisce al ritmo cantilenante dell’invocazione alla luna – compagna di elezione per una donna ferita – le riflessioni più semplici e vere di chi si è lasciata illudere da un bel corpo e da parole affascinanti. Alla fine non sappiamo se la pozione avrà effetto, ma l’animo è placato perché la donna e la luna si sono consolate.
Anche le dee vengono coinvolte nel clima di “realismo” che sembra risvegliare gli autori greci. Nelle Argonautiche, Apollonio Rodio riesce a dipingere un quadro di grande semplicità: Afrodite brava donnina di casa e le amiche Era ed Atena che raccolgono le sue lamentele per il figlioletto, Eros…
Andarono nella casa di Cipride, costruita per lei dallo zoppo Efesto, suo sposo […] Entrarono nel cortile e si fermarono sotto il portico della stanza dove la dea preparava il letto di Efesto. […] le due dee sorrisero, guardandosi l’una con l’altra, ed Afrodite, afflitta, così riprese a parlare: I miei dolori fanno ridere gli altri e io non devo più raccontarli a tutti, basta che sia io a saperli.
Apollonio Rodio, Argonautiche, libro III vv. 36 e passim
Ovviamente questi episodi letterari aiutano a capire la complessità della figura femminile nel mondo antico, ma ancora non bastano a cogliere gli aspetti più veri, diretti e personali. Le lettere, le lettere sono la chiave di tutto… non quelle à la Cicerone o à la Seneca, non i manifesti di un pensiero filosofico o poetico, ma gli scambi personali e intimi, solo questi possono liberare la figura femminile dai filtri maschili e farla uscire dai cliché, per darle nuova luce.
Non sembra così straordinario parlare di lettere dell’800: in fondo, la sensibilità romantica ci ha abituato alla letteratura epistolare. Non è solo il povero Jacopo Ortis, ma anche Lord Byron, Shelley, moltissimi importanti autori comunicano attraverso lettere struggenti e intense. Perfino un intero romanzo, il Dracula di Bram Stoker, è costruito in forma epistolare: i protagonisti scrivono lettere oppure tengono diari, le cui pagine si uniscono a comporre la storia raccontata. Ma è la figura della donna, così complessa e intrigante, che emerge dalle lettere ottocentesche raccolte da Francesca ed Elena. Allora cerchiamo di capire meglio: innanzitutto quale donna ci aspettiamo da un carteggio ottocentesco? Le immagini che ci possono balenare sono, credo, di due tipi fondamentali: l’oscuro potere di sguardi pallidi e occhi traslucidi, imbragati in abiti scuri e pesanti, oppure le forme eteree, immerse nelle luci soffuse di Preraffaelliti e Macchiaioli. L’800 di Jane Austen è sostenuto da quadri inglesi pieni di riferimenti letterari o mitologici e, sul versante italiano, l’800 di Manzoni è accompagnato da figure femminili intente a cucire, leggere, fare visita a parenti ed amiche. Un gineceo dove i colori scuri degli abiti contrastano con il sole caldo degli ambienti, ma dove ogni passo o parola è misura e in fondo, proprio quando presentato come quotidiano, un poco staccato dalla realtà, quasi sospeso. Di nuovo, dunque, una visione filtrata da occhi maschili.
Eppure, pensare che i Macchiaioli prosperano anche grazie alla felice intuizione di una donna: Adele, sposata in seconde nozze con Luigi Tommasi del quale “eredita” i figli avuti dalla prima moglie. Adele non riesce a trasferirsi a Livorno, dopo i primi anni decide di tornare a Firenze, nella villa che ha sull’Arno, dove troverà per i due Tommasi un istitutore d’eccezione: Silvestro Lega. Ben presto la villa si trasformerà in un proficuo salotto artistico e letterario, sarà la Scuola di Pergentina, dal nome della zona in cui sorge la casa (oggi Hotel Ville sull’Arno).
Eppure, pensare che anche i Preraffaelliti devono molto della loro ispirazione a figure femminili decisamente poco eteree, ma sanguigne e potenti: ad esempio Elisabeth Siddal, amata moglie e musa di Dante Gabriel Rossetti. Una figura forte e di grande fascino, spesso ritratta dal marito, fonte di ispirazione e pittrice ella stessa. Donne sono presenti anche nelle lettere di Rossetti scritte alla madre Frances, dove l’artista descrive un ambiente di grande sensibilità letteraria, inevitabile terreno fertile alle opere così intrise di letteratura antica greca e romana e di quella tradizionale inglese.
Sembra, tra l’altro, che proprio la pubblicazione di una traduzione di Teocrito, avvenuta nel 1880 ad opera di Andrew Lang, sarebbe alla base di un famoso dipinto di Waterhouse con il mito di Hylas rapito dalle Ninfe.
Insomma, se guardiamo alle figure femminili raccontate in letteratura o nei quadri, dalla metà dell’800, scopriamo uno sguardo (maschile) nuovo: spesso rivolto ad un passato che è visto come più sensuale, più libero e intenso di quel che si pensava (grazie anche alla sempre maggiore conoscenza dei testi antichi), dove la donna può vivere liberata dalle formalità del presente. La stessa persona, rigidamente appoggiata ad una quinta scenografica in una foto d’epoca, diventa una sensuale ninfa o maga, oppure la promessa di un amore totalizzante, nascosta tra i soprammobili di salotti sovraffollati.
Ma poi, arrivano le lettere. Nelle lettere, in quelle fortunosamente rintracciate da Francesca e da sua madre, leggiamo di un mondo più “a fuoco”: molto colorato, molto vivido, ma non avvolto da una nebbia di antico, non bruciato da una luce troppo forte. Zina e Alessandro si scambiano affetto, amore, simpatia e amicizia. La loro storia è quasi un romanzo, eppure, leggendo le vicende di Zina e Regina e poi quelle di Andriana o di Fausta, ci chiediamo se, tutto sommato, questa società in frenetico movimento verso le promesse di futuro del Novecento non fosse davvero così complessa da trasformare in romanzo anche l’avvenimento più semplice. Donne sole, donne male accompagnate, donne forti e fragili nello stesso tempo, che non si fanno troppe domande ma si rimboccano le maniche, oppure che di domande si riempiono l’esistenza, ma solo per cercare le risposte, senza compiangersi.
Andriana, protagonista di “Non tutto il male vien per nuocere”, scrive al padre per sfogarsi della violenza del marito e per trovare la forza di fare qualcosa di davvero inaspettato per quei tempi: andare via di casa e ottenere l’affidamento delle figlie. Ce la farà, tanto evidente è la mancanza di quell’uomo, ma al padre chiederà una condivisione totale, in lui riconoscerà il confidente anche dei problemi di salute, anche dei vezzi e delle frivolezze di cappelli e guanti. Zina è invece la ragazza che dialoga con l’uomo del destino: pur forte di un’amicizia femminile che la sostiene, pur circondata dalle figure familiari del padre e dei fratelli, Zina chiede all’uomo che ha deciso di sposare la più completa sincerità e gli fa dono della propria. Zina è di Graz, al suo confronto Firenze (città dove vive la famiglia di Alessandro) e forse anche Trieste (dove si incontrano) sono città “meridionali”, dove i costumi sociali, intrisi di perbenismo e cattolicesimo da due soldi, legano molte donne, almeno nelle apparenze. Zina è di famiglia borghese, è ebrea, vive in un ambiente culturalmente molto stimolante, tuttavia i “privilegi” della sua condizione le si ritorcono contro quando annuncia un matrimonio che la famiglia non approva. La sua determinazione, i lunghi viaggi fatti per rabbonire un parente, le lettere più o meno diplomatiche, le prese di posizione e gli sforzi personali li ritroviamo in Regina, sorella di Alessandro, che, proprio questo matrimonio osteggiato, costringerà a cercare fortuna a Bruxelles.
[…] Hai sentito come me che il nostro amore ha subito una metamorfosi? Hai sentito come me che è entrato in una nuova fase? Ora sento che la mia vita passa in mezzo ad un vortice che la trascina, in alto verso i cieli o in basso in un precipizio … Sento adesso che la mia vita sarà diversa da come è stata finora, più intensa, più bella, più pericolosa. Sento che i miei dolori saranno più gravi e le mie gioie più grandi. […] E ti dico questo: che la mia vita, accanto a te, non sarà più una di quelle vite mediocri […] con te – lo sento – sarò soltanto o molto felice o molto infelice … per me non c’è più, d’ora in poi, la via di mezzo e lo sento con gioia. Lotterò al tuo fianco, forse soccomberò, ma non senza aver vissuto. Alessandro mio, ti amo!
L’entusiasmo di Zina è contagioso, ma certo le lettere, che coprono un periodo di almeno un anno e mezzo, rispecchiano la mutevolezza e gli alti e i bassi di questa ragazza che si mette contro molti, pur di coronare il suo sogno. Anche la figura di Alessandro emerge dalle lettere in tutte le sue paure e nelle certezze, nella risolutezza a volte testarda di un uomo che sente su di sé la responsabilità di una famiglia senza padre (ma la vera capofamiglia è la sorella maggiore) e che cerca di farsi strada in terra “straniera”, la Trieste austriaca. Pure nelle contraddizioni, Alessandro è sicuro del suo amore e della sua Zina, non vacilla mai, anzi, ne attinge nuovo coraggio:
Cosa avrei detto nel marzo dell’anno scorso a chi mi avesse detto che dopo un anno io t’avrei già scritto 250 lettere e ne avrei ricevute quasi altrettante […] eppure invece ora lo scriverci non è semplicemente una cosa naturale ma necessaria… ah!
“Tutto quel che mi circonda mi parla di te“, dice Zina, ed è proprio in questo dialogo totalizzante che i due riescono a esprimere le paure, le certezze, i desideri, di ragazzi forse un po’ cresciuti (27 anni) ma ancora tanto affamati di vita (ricorda qualcosa?).
In fondo è proprio questo, secondo me, il valore aggiunto delle lettere di Zina o di Andriana: se nelle lettere che leggiamo scorgiamo una figura femminile più vera, forse lo dobbiamo anche al fatto che tali lettere sono scambiate con uomini. Non più “filtri”, gli uomini si mettono “alla pari”, partecipano alla conversazione e non la osservano da lontano. Forse, ma è una suggestione, quando l’uomo smette di adorarla e di idealizzarla, ma comincia a dialogare con la donna, è qui che, entrambi, riescono a sembrare più veri del vero e cominciano a comunicare.
Grazie Stefy! articolo bellissimo, come bellissima è stata la tua introduzione il 16 novembre.
Condivido in pieno l’ultima frase…