Eccoci nel 2012 d.C., un balzo in avanti nel tempo e nello spazio. Siamo nel Granducato di Renzi & Co., a Firenze, per la precisione. Per poter esercitare la professione di medico nell’ambulatorio di una associazione privata, che gode anche di finanziamenti pubblici, bisogna esibire alcuni certificati. Il primo e fondamentale: “certificato di cattolicità”, redatto da un sacerdote cattolico. Il secondo “certificato di matrimonio in chiesa”, in mezzo agli altri “attestazione di obiezione di coscienza”. Senza questi requisiti, pur presentando un cv medico di tutto rispetto, non è possibile accedere agli ambulatori della Misericordia.
Questa interessante richiesta è stata fatta nei mesi scorsi, prima – a quanto ci è dato sapere – non vi era traccia di simili parametri al momento della valutazione di un nuovo collaboratore medico.
E chi già lavorava per la Misericordia?
Ebbene, sono richiesti gli stessi certificati.
E chi è separato/a?
Non è più gradita la sua presenza negli ambulatori.
E chi convive?
Meglio non chiedere.
E chi non è cattolico?
Come? Non ho capito.
Cosa ci siamo persi per strada?
Dello spirito francescano ora rimane una richiesta degna del migliore La Verna-coliere: “sei tu cattolico? provalo!”. Un sacerdote, meglio se il tuo parroco, deve attestare per iscritto che tu sei cattolico… “Rinunci tu a Satana?” “Rinuncio!”. Peccato che a chiederlo non sono i confratelli a chi si vuole unire alla comunità, ma amministratori, di solito laici – come recita lo statuto della Venerabile Misericordia, a medici, professionisti della cura. E il giuramento? Chi si definisce dottore in medicina e si appresta a svolgere l’attività di medico è tenuto a pronunciare un giuramento c.d. di Ippocrate. Ricalca infatti, a grandi linee, quello del medico di Cos. Cosa è cambiato? Beh, intanto non si giura più su Asclepio e nemmeno su altre divinità
Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro…
perciò, perché chiedere un certificato di cattolicità ad un medico? La Venerabile Arciconfraternita della Misericordia è stata fondata nel 1899, ma la sede è a Firenze perché proprio nella città guelfa&ghibellina comincia la secolare avventura della Misericordia (1244). In pratica, mentre Francesco cercava di mettere i puntini sulle “i” della sua regola di amore per il prossimo a costo zero, a Firenze si costituiva una confraternita di laici cristiani, che, abbigliati con un inquietante saio nero, portavano conforto cristiano a chiunque ne avesse bisogno. Fin dall’inizio, per poter campare, la Misericordia decise di ricevere con gioia qualunque lascito e offerta da parte dei privati cittadini che le riconoscevano un’opera più che necessaria, fondamentale.
Oggi la situazione si è evoluta: la rete è capillare, ormai, e di Misericordie ne troviamo quasi una ogni comune, toscano e non. I confratelli continuano a definirsi laici cristiani e sovvenzionano la associazione con quote regolate dallo statuto. Nell’ambito delle tante iniziative, troviamo anche gli ambulatori. Qui ci si può recare quando abbiamo bisogno di una visita, a volte anche specialistica. Se siamo confratelli paghiamo un po’ di meno; in ogni caso le visite sono tutte a pagamento.
Chi visita è un sacerdote-guaritore? Oppure un confratello?
Chi visita è innanzitutto un medico. Perciò non un sacerdote, ma può essere un confratello (laico cristiano, ricordiamolo, come da statuto). Un medico, oggi, ha giurato di seguire un’etica che farebbe invidia al buon Ippocrate, perché è un’etica faticosamente raggiunta e difesa con le unghie e con i denti.
Ecco che si ricompongono i pezzi: il paziente, il medico, il sacerdote, l’obolo. Il paziente si reca dal medico, può scegliere di incontrarlo in una struttura che si definisce laica, ma che professa espressamente la propria fede cristiana. Il pagamento è all’associazione, che utilizza parte dell’introito per pagare il medico. Il medico è sicuramente un professionista laico, la cui deontologia è regolata dal giuramento che ha fatto alla fine del proprio percorso di formazione. All’ingresso dei santuari di Asclepio si leggeva:
puro deve essere chi entra nel tempio fragrante d’incenso; purezza è avere pensieri santi
Al medico è chiesta una purezza che nell’antichità significava adesione all’ethos del giuramento di Cos e che oggi è la deontologia professionale, espressa in più modi nel giuramento moderno, ad esempio nella prima frase:
giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;
Si capirà bene che c’è una incompatibilità insita nei due documenti (il giuramento dei medici moderni e lo statuto della Misericordia), dato che all’Articolo 1.3 dello Statuto delle Misericordie leggiamo che La Confederazione garantisce il rispetto dei valori di appartenenza alla religione cattolica.
Bene, abbiamo risolto. Basta non prestare servizio presso le Misericordie.
Eppure no, c’è qualcosa che non si può lasciar passare in questa vicenda: lo Stato, dov’è? Lo Stato è nelle sovvenzioni alla Misericordia, come la stessa associazione ci tiene a sottolineare, giustamente (Art. 10d). Lo Stato, cioè tutti noi – alti, magri, bassi, grassi, cattolici, atei, agnostici, musulmani, neri, biondi, rossi, biancolatte, ecc.- contribuiamo a mantenere un gruppo di persone che valuta i medici sulla base del certificato di un sacerdote che ne attesti la cattolicità (Sicuro che rinunci a Satana? Sicuro!) e che è pronto ad estromettere quelli che i casi della vita vedono separarsi, magari dopo un farzoso matrimonio in abito bianco.
Per capire bene l’ipocrisia che si cela – e nemmeno tanto bene – dietro ad una operazione di questo tipo, basti pensare che l’attestazione di Obiezione di Coscienza è un certificato che è richiesto dalla associazione, ma che, se non esibito altrove, non ha alcun valore giuridico nel luogo di lavoro pubblico dove il medico in questione esercita abitualmente la sua professione.
Però qui si inserisce un altro aspetto, il più doloroso di tutta la vicenda: i certificati. Fogli firmati in cambio di un lavoro in un ente che riceve contributi statali. Fogli che misurano, soprattutto in questi tempi di crisi del lavoro, la necessità di trovare un luogo dove esercitare la professione che un tempo era vera vocazione, che un tempo operava di concerto con la religione, non ne veniva ricattata.
A che servono questi “benedetti” certificati? Solo a essere ammessi negli ambulatori della Confraternita? Probabilmente no. Probabilmente, la prossima volta che in Parlamento si discuterà qualche legge su aborto, eutanasia, pillola del giorno dopo, ricerca su staminali ecc.ecc., qualcuno sventolerà dei fogli, firmati da centinaia di medici che hanno come unica colpa quella di voler … lavorare.
Ringrazio Luca Lanzalaco che mi ha dato importanti indicazioni nel lavoro di limatura di questo post così delicato.
Non resta che richiedere il certificato di cattolicità anche ai pazienti e respingere chi ne è sprovvisto…
Interessante, mi è piaciuto molto. Sconcertante anche, in verità.
”. Io che ho un’età tale da ricordare che per sostituire il militare con un anno di servizio civile si poteva “obiettare”. Ricordo anche che l’obiezione portava delle conseguenze, anche gravi. Ricordo l’impossibilità di partecipare ai concorsi per essere assunti in polizia o nei carabinieri o a richiedere il porto d’armi. Insomma era una scelta che ti segnava, che prevedeva delle conseguenze. Ecco perché storco il naso quando sento i medici parlare di obiezione di coscienza. Se un medico obietta sull’erogazione di determinate prestazioni mediche previste per legge, che cosa rischia? Quali sono le conseguenze che è disposto a sopportare per dimostrare la reale convinzione della sua scelta? Nulla! Anzi vale il contrario; se un medico si dichiara obiettore trova più facilmente lavoro o è favorito nella carriera. Risulta dalle cronache che sono stati scoperti medici che erogavano privatamente quelle prestazioni per cui avevano obiettato in ospedali pubblici. È automatico essere indotti a pensare che, per la maggior parte, si tratta di false obiezioni, dichiarate per motivi di convenienza. Tanto cos’hanno da perdere?