Il 4 ottobre del 2010 ho cominciato a scrivere su questo blog. Il 4 ottobre si celebra la festa di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia e d’Europa.
Allora sfruttiamo il senso più vero della “predica” francescana e cominciamo a raccontare una storia di sofferenza, gioia, denaro, generosità. Una storia che comincia oggi ma risale fino ai più levigati blocchi di marmo, che al sole brillano e accecano i poveri malati, in visita ad Asclepio per essere curati. Una storia che tutti hanno già raccontato, ma nessuno, in effetti, ha mai immaginato di poterne essere testimone. Una storia che è tanto più vera quanto più vissuta sulla pelle di ognuno di noi, grandi, piccini, istruiti, ignoranti, consapevoli e non, sofferenti e speranzosi. Tutti noi, prima o poi, abbiamo avuto bisogno di un medico …
Se alcuni vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati, questi li mandino dai loro ministri provinciali, ai quali soltanto e non ad altri sia concesso di ricevere i frati. I ministri poi diligentemente li esaminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa.
Ordino fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia direttamente o per interposta persona. Tuttavia per le necessità dei malati e per vestire gli altri frati, i ministri soltanto e i custodi per mezzo di amici spirituali, abbiano sollecita cura (…) salvo sempre che non ricevano in nessuna maniera denaro o pecunia.
Nella versione della Regola di San Francesco del 1223 alcuni punti sono ben chiari: per entrare a far parte della comunità di frati l’apprendista deve avere una certa consapevolezza del contesto (!) e poi, i frati non possono prendere soldi per l’opera che forniscono.
La questione dei soldi è ribadita in altri punti della Regola:
Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione (…) Come ricompensa del lavoro per sé e per i loro frati ricevano le cose necessarie al corpo, eccetto denari o pecunia, e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà.
in fondo si tratta del regolamento cui si devono attenere uomini che decidono liberamente di abbandonare la vita secolare, per rifugiarsi in una dimensione allo stesso tempo trascendente eppure impegnata nel servizio quotidiano.
Questo ha pensato (?) Francesco da Assisi, questo, in ogni caso, è stato scritto e approvato, dai fratelli della congrega e poi, con un po’ di fatica, da Santa Madre Chiesa.
Facciamo un piccolo passo indietro: è così strano che un frate debba porsi il problema di essere pagato? Ci sono due santi, che si celebrano qualche giorno prima di Francesco, il 26 settembre: sono Cosma e Damiano, due fratelli forse gemelli, due figure che sono forse una sola persona, sdoppiata nel corso della leggenda. Già il nome ci indica un particolare importante, sono anargyri, cioè “senza argento”, senza soldi, senza stipendio.
Perché specificare una caratteristica simile? sembrerebbe più logico definirli con un termine legato alla loro “testimonianza” cristiana, il loro martirio. In effetti i due Santi sono medici, itineranti, che non percepiscono soldi per la loro opera. La vita dei due Santi è complessa, si intrecciano ben tre tradizioni, ma quel che è certo è che furono medici: Firenze li ricorda con particolare affetto, perché diventano i protettori della famiglia più influente. I Medici, una volta consolidata la loro posizione in città e stabilito uno stemma con le pillole/palle, decidono di ufficializzare una origine “medica” e adottano Cosma & Damiano, premiata ditta.
Il medico/uomo di chiesa è già tradizione al tempo di Francesco, i due sono infatti annoverati nell’ampia schiera dei martiri di IV sec. d.C. E l’uomo di chiesa che presti servizio come medico non chiede soldi, fugge dai piaceri temporali.
Ma è un atteggiamento introdotto dai cristiani? Gli altri medici si fanno pagare?
Continuiamo il cammino a ritroso nel tempo e superiamo la linea immaginaria della nascita di Cristo. A Cos, nel V sec. a.C., la comunità venera Apollo e suo figlio Asclepio. Tra le famiglie più in vista c’è quella degli Asclepiadai, che si ritengono discendenti dell’eroe semidio tanto bravo a guarire (mutatis mutandis, una volta giunti al potere gli esseri umani hanno bisogno di cercare nel trascendente un’ulteriore prova del loro primato). A poco a poco, grazie anche all’opera sottile di questo ghenos, cioè di questo clan, Asclepio scalza Apollo, il figlio diventa più importante del padre e così il suo santuario acquista prestigio. Attorno al santuario si cominciano a raccogliere figure ibride, sacerdoti ma anche aiutanti che, oltre ad officiare i riti, sanno applicare al malato le cure che la divinità ha suggerito in sogno.
Breve interludio sulla liturgia dei santuari di Asclepio: il paziente si reca al santuario, paga un obolo per entrare, viene affiancato da sacerdoti che lo aiutano a compiere i sacrifici di rito e poi trascorre la notte sotto un portico del santuario. Il dio si presenterà a lui in sogno, consigliando o curando direttamente la malattia. Il mattino dopo il fedele si sveglierà o guarito oppure con un sogno da interpretare: i sacerdoti ascolteranno il suo racconto e comunicheranno il messaggio decodificato. Tutto ciò che sarà raccontato, verrà scolpito su una stele, poi esposta nel santuario.
Questo è ciò che accade ad Epidauro e in altri santuari importanti di Asclepio; in quelli più periferici non è detto che il paziente trascorra la notte in attesa del dio, né è così comune la guarigione o l’intervento onirico decrittato. Ma ciò che è comune in tutti i luoghi consacrati ad Asclepio è la presenza di sacerdoti “professionali”, che accompagnano il fedele passo dopo passo, accanto a figure di attendenti che hanno rudimentali nozioni di medicina, così da interpretare “al meglio” le indicazioni del dio e praticare, a volte, anche piccoli interventi.
Ma noi siamo partiti dagli Asclepiadai… un clan di veri e propri medici, persone che cominciano a fare dell’attività medica una professione: si organizzano in associazione, con un proprio statuto, delle “prove di ammissione”, corsi di studio e una prova finale. Chi vuole diventare medico deve dimostrare di far parte del clan; dopo una prima, lunga, fase in cui si cerca di escludere i non appartenenti alla famiglia, ecco che giunge la possibilità di diventare Asclepiade, viene – in pratica – eliminato il numero chiuso, ma rimane la prova attitudinale. Questo perché è fondamentale dare rispettabilità al ruolo di medico, distinguerlo da quello dei guaritori e – possibilmente – anche da quello dei “sacerdoti tuttofare”. Il medico è uno scienziato, che può operare di concerto con il sacerdote, ma che non è un ciarlatano.
Chi vuole intraprendere la carriera di medico deve prestare un giuramento, che i manoscritti ci tramandano sotto il nome più famoso di Cos: Ippocrate. In realtà, la questione della complessa origine dei testi del c.d. Corpus Hippocraticum è tanto contorta quanto impossibile da risolvere, perciò soprassediamo. Prendiamo per buono un testo, ormai accettato dalla maggior parte degli studiosi, in cui, tra le altre cose, l’aspirante medico si impegna a prestare la sua opera senza compenso né contratto.
Perché questo passaggio è così importante? Perché in Grecia, e poi a Roma, il medico è itinerante: viene chiamato da poleis più o meno vicine e si trasferisce “armi e bagagli” per prestare servizio senza essere pagato, ma ricevendo vitto e alloggio dalla città che lo ha ingaggiato. Testimonianza di questo sono i numerosi decreti onorifici eretti in onore di medici che si sono fatti apprezzare per debellare pestilenze, quando i medici o i guaritori locali non sapevano più che pesci prendere. I medici più famosi erano sicuramente quelli “sfornati” da Cos e ne troviamo diversi a Creta o in Peloponneso. Persone che agiscono senza riscuotere mai nulla, animati dal puro interesse scientifico e umano di aiutare il loro prossimo.
Ma torniamo ai sacerdoti, perché questa nostra centenaria storia l’abbiamo cominciata con dei frati e la vorremo concludere con altri frati, passando per i ministri di divinità decisamente pagane. I sacerdoti di Asclepio sono figure essenziali nella cura delle malattie: gli stessi medici non combattono la superstizione religiosa ma, a volte, la assecondano. Il loro giuramento, un esempio illuminato di razionalità, si apre con una triplice invocazione divina
Ὄμνυμι Ἀπόλλωνα ἰητρὸν, καὶ Ἀσκληπιὸν, καὶ Ὑγείαν, καὶ Πανάκειαν, καὶ θεοὺς πάντας τε καὶ πάσας,
Giuro per Apollo medico, e Asclepio e Igea, e Panacea, e tutti gli déi e le dée
Questo, da una parte perché siamo pur sempre in Grecia, in un momento indefinito del IV o III sec. a.C. e i giuramenti sono – per definizione – certificati dagli déi, per rendere lo spergiuro un delinquente anche più biasimevole di un omicida; dall’altra perché il medico sa perfettamente che di fronte alla fiducia nel dio, la scienza non può nulla. Sempre nel Corpus Hippocraticum leggiamo che, quando un paziente ha seguito alla lettera i precetti del medico, se ancora non è arrivata la guarigione conviene pregare gli déi (De victu 89); nei santuari sappiamo da Elio Aristide, il paziente eccellente che ha lasciato un vero e proprio diario della sua permanenza a Pergamo, che se i medici consigliavano un rimedio diverso da quello suggerito da Asclepio in sogno, si seguiva quello del dio. Insomma, il medico sapeva bene che la forza della suggestione era imprescindibile per il buon esito di una terapia… e poi era sempre meglio avere alleati tra i piani alti, piuttosto che osteggiarli!
Dunque, cominciamo a ricapitolare la nostra storia: frati nel ‘200 al servizio del prossimo, gratuitamente. Santi del 300 (senza il 1000 davanti!) che prestano opera medica senza ricevere un soldo. Una confraternita di medici del 300 (a.C.) che si impegna a guarire senza compenso, ma cercando un valido alleato nel trascendente, tutto per contrastare il rischio concreto dei ciarlatani, dei maghi, dei guaritori: comincia ben prima di Cristo l’esigenza di indicare una figura professionale di cui fidarsi. Quel che accomuna le tre tappe è la figura dello Stato: sin dall’epoca più remota delle poleis greche, lo Stato ingaggia ma non sovvenziona. I santuari si mantengono con gli oboli e le offerte dei privati, che, di fronte alla salute, sanno essere molto generosi. I santuari di Asclepio, in effetti, più di tanti altri fungono a volte da banche ante litteram e sono tra i più ricchi dell’antichità; le poleis che chiamano i medici e si litigano quelli provenienti da Coos perché i più legati all’ethos espresso dal loro capostipite, non danno compensi, mettono casomai a disposizione del dottore i mezzi necessari al sostentamento per il periodo necessario a sanare la comunità.
Ora torniamo alla nostra storia e facciamo un balzo in avanti, fino al 2000 d.C. Nel Granducato toscano opera ormai da più di un secolo la Misericordia, una associazione, una confraternita, dall’impronta spiccatamente religiosa e dall’anima volontaria….
[to be continued]
Riferimenti bibliografici per questa puntata:
Lorenzo Perilli, Asclepio e Ippocrate, una fruttuosa collaborazione, pp. 26-54. In Medicina e società nel mondo antico, Atti del convegno di Udine (4-5 ottobre 2005) a cura di A. Marcone, Udine 2006.
Giovanni Pugliese Carratelli:
La norma etica degli Asklapiadai di Cos, in Parola del Passato 1991, pp. 81 e sgg.
L’incipit del giuramento di Ippocrate, in Parola del Passato 1999, pp. 69-70
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