Fulvio Bufi scriveva due giorni fa sul Corriere della Sera:
“Musei in crisi al Sud: si bruciano le opere d’arte per protesta”
In una frase tanto semplice il giornalista riassumeva concetti importanti come “la crisi dei Musei”, il “Sud”, “la protesta”. L’atto di bruciare le opere d’arte veniva dato come prassi con quel “si bruciano” senza responsabili veri, come se si trattasse di un uso, curioso in effetti, del Musei al Sud, perché in crisi.
Un articolo di questo tipo mi ha incuriosito, ma certo la conseguenza, letta sullo stesso quotidiano il giorno seguente, mi ha indignato.
Così ho cercato di capire di più: Antonio Manfredi ha deciso di passare alle vie di fatto e, dopo aver minacciato il rogo, lo ha concretizzato, di comune accordo con l’autrice del quadro bruciato e con la seria intenzione di continuare, infatti oggi siamo già al secondo rogo (autrice diversa, questa volta lei stessa impegnata nell’appiccare il fuoco).
Perché?
Il Museo di Arte Contemporanea di Casoria (CAM) versa in una situazione molto difficile, lamenta carenza cronica di fondi, da tempo protesta e chiede ascolto, nonostante tutto cerca di tenere aperto. Bene, bravi, bis. Secondo Il Giornale dell’Arte siamo di fronte ad un presidio culturale in una terra di camorra che opera da anni contro tutto e tutti.
Naturalmente di fronte a queste situazioni non possiamo che congratularci con il coraggio e con la passione… ma proprio perché appassionati, che significato dare al rogo delle opere esposte? Il Museo è un luogo in cui si raccolgono oggetti che devono comunicare qualcosa a chi li guarda. Spesso, purtroppo, si tratta di un messaggio superficiale, a volte si rivolge solo ad una stretta cerchia di persone e quando è così, solitamente, allontana tutti gli altri. Capita sempre più di frequente che il messaggio, ben chiaro al momento dell’allestimento del Museo, diventi con il tempo più flebile e indistinto a causa dell’incuria e del menefreghismo.
In ogni caso, il Museo parla, deve parlare, altrimenti, come ricordava il buon Moscati, siamo di fronte alle cosiddette “cattedrali nel deserto”, luoghi bellissimi ma inaccessibili, che finiscono per essere dimenticati, se non ridicolizzati.
Il CAM, a quanto leggiamo, aveva proprio questo intento: comunicare, in un luogo difficile e con pochi mezzi a disposizione.
Allora cosa sta comunicando con questi roghi? A quale messaggio si riferisce?
Il rogo di un oggetto d’arte non può non richiamare alla mente quei falò savonaroliani in cui tutti, ricchi, poveri, nobili o artisti, si sentivano chiamati in causa e decidevano di rinunciare pubblicamente ai simboli della loro ricchezza, del lusso e, automaticamente, dell’occasione di peccato.
Liberarsi dei beni materiali per arrivare più velocemente a quelli spirituali. In quelle occasioni il fuoco divampava purificatore, mentre il frate predicava con gli occhi spiritati (è il caso di dirlo), affinché i cuori e le menti si liberassero delle catene che, inevitabilmente, la città dei banchieri e dei bottegai forgiava instancabile e con le quali ancorava l’anima al mondo materiale. Perfino la Romana Chiesa era caduta nella trappola e valutava quelle anime già pesanti come si fa con un etto di prosciutto… vendendo indulgenze e purganti, da usare al cospetto di Dio.
Ma cosa c’entrano i roghi di Casoria con quelli del Savonarola? Non molto, in effetti.
Nel caso campano gli oggetti si bruciano “per protesta”, non per vergogna. Gli oggetti vengono sacrificati, nella speranza che qualcuno si accorga di loro…
Eppure, non sembra possibile assimilare un quadro ad un essere umano. Tentare un’operazione del genere, significa lavorare sulla coscienza della gente e renderla partecipe dell’opera demiurgica dell’artista, fino a farle condividere il dolore della distruzione… “Basta, Basta!” bisognerebbe sentire gridare.. in alternativa, un religioso e sgomento silenzio.
No, non sembra nemmeno questo il caso. Abbiamo detto che il CAM lavora in aree complicate, dove l’occupazione della gente è.. trovare un’occupazione! Dove il motto “con la cultura non si mangia” non è la boutade di un ministro, ma la banale considerazione di chi si prende la briga di scegliere tra “il professionale” e “la professione”, tra studiare e andare a lavorare.
Allora perché i roghi del CAM? A chi si rivolgono?
Sembra che il direttore del museo abbia tentato più volte la carta istituzionale… questa la risposta del Ministro dei Beni Culturali Ornaghi a ridosso del primo rogo:
“Non è di competenza dei Beni Culturali”
No, infatti, il museo è civico, grazie ministro! Illuminante e lapidaria considerazione, la sua. Il fuoco dei quadri è altrettanto luminoso… e inutilmente lapidario…
Chi vincerà mai in questa prova di forza? Il CAM ha ottenuto l’attenzione della stampa locale e internazionale , ma sembra che non sia riuscito a muovere gli animi delle istituzioni che dovrebbero aiutarlo ad uscire dall’empasse…
Allora è difficile non pensare che i roghi del CAM siano effettivamente falò di vanità, quella del direttore e degli autori che, probabilmente in buona anzi ottima fede, stanno celebrando quella sottile forma di snobismo che i Musei li svuota, anziché riempirli. Quella consapevolezza di sé che, purtroppo, ci avvolge con una fitta nebbia e ci rende invisibili a tutti gli altri.
La nostra personale convinzione rimane quella di coinvolgere quante più persone possibili perché il Bene Culturale, l’opera d’arte, sia condivisa… fatta sentire parte del quotidiano, frammento della vita di ognuno. Solo in questo modo sarà possibile muovere, smuovere, commuovere le coscienze di ciascuno, anche di chi non pensa di poter mangiare con la cultura.. perché, forse, in quel modo comincerà a credere di poter vivere, con la cultura.
L’artista che decide di bruciare il proprio quadro rimarrà sempre distante da chi lo guarda. Potrà strappare una pacca sulla spalla, ma si tratterà sempre e solo di una decisione presa in completa solitudine e consumata davanti allo specchio.
Sicuramente una decisione del genere è arrivata dopo altri tentativi, ultimo in ordine di tempo (e di articoli su quotidiani) è la richiesta di far diventare i quadri del CAM Beni Culturali.. tedeschi! Una sorta di richiesta di asilo politico, affettuosamente appoggiata da Sgarbi Vittorio. Va bene l’idea di tentare il tutto per tutto, ma qui non si tratta di agire con un occhio a Machiavelli, piuttosto siamo di fronte ad un precedente pericoloso, dagli effetti imprevedibili proprio su quella opinione pubblica che si vuole sensibilizzare!
Speriamo che i roghi si interrompano e che direttore ed artisti decidano di puntare, finalmente, davvero sull’opinione pubblica. Magari non direttamente quella di Casoria, se la situazione è davvero così difficile; eppure non posso fare a meno di pensare al messaggio che il Museo deve riuscire a dare: comprensione, condivisione e dialogo.
La nascita di Alessandro Magno avvenne lo stesso giorno in cui fu bruciato il tempio di Diana ad Efeso (…) Erostrato è il nome di chi commise un reato così grave. Costui, catturato dopo aver commesso il fatto, fu interrogato dagli Efesii sul motivo che lo aveva spinto a compiere un tale gesto. Egli rispose che lo aveva fatto per un’unica ragione: acquistare fama e celebrità.
Lucio Anneo Floro, Epitome de Tito Livio