“Un’italiana non italiana”: il titolo mi preparava ad una lettura impegnativa, lo avevo scovato in un negozio a me caro che stava chiudendo. Sapevo, anzi, credevo di sapere, che avrei letto una storia di immigrazione e dal titolo pensavo di averne già colto la conclusione. Perché leggerlo, dunque? Per me la risposta era, chiara, negli occhi grandi e neri della signora che me lo stava vendendo: custode di un paràdeisos in chiusura e madre dell’autrice del libro.
Allora, forza, tuffiamoci in questo racconto, sottile quanto a spessore, ma profondo e complesso, molto orientale nei modi e nella dolcezza, altrettanto speziato nei contenuti e nei toni.
Ma come raccontarlo? Avvertendo una ad una le sensazioni, direi. Ad esempio quella, forte, che mi fa comprendere, di botto, il motivo per cui il Governo italiano ha abilitato gli Uffici Postali al rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno (decreto legislativo 6 febbraio 2007, nr. 30): in Italia l’essere umano è un pacco postale.
Un oggetto, dunque, più o meno prezioso, il cui valore varia a seconda dello Stato di provenienza e di alcuni altri parametri che servono, in ogni caso, a valutare le situazioni singole “un tanto al chilo”. E’ soggetto a ispezione e in alcuni casi non se ne garantisce l’incolumità. L’indirizzo a cui spedirlo va scritto grande, in stampatello, e avendo cura che qualche pioggia più acida delle altre non lo cancelli.
I tempi di consegna, poi, sono scritti, tutti a seconda dei casi. Ma possono subire ritardi o complicazioni. Il pacco può tornare indietro, se chi lo deve ricevere non dovesse rispondere al gentile suono del campanello.
Nima Sharmahd racconta infatti le domande innocenti, le risposte cavillose, i certificati negati, quelli mancati, i chilometri macinati in un quadrilatero che a Firenze corrisponde più o meno ad un quartiere …ma che le continue dimenticanze dei responsabili agli sportelli hanno fatto diventare una metropoli, città dentro la città. Nima racconta come è stato possibile che lei, concepita in Italia da genitori Iraniani, fatta nascere a Londra proprio per rincorrere un barlume di civiltà di ius soli e rientrata in Italia all’età di 3 mesi, abbia dovuto aspettare 29 anni (ventinove) per ottenere la cittadinanza italiana.
Cittadinanza inglese, ascendenti iraniani, ma la vita, quella fatta dall’asilo, elementari, medie, liceo e università. Fatta di amici e conoscenti, fatta di corse, cadute, passeggiate. Fatta di estati in campagna e il resto dell’anno in città. Fatta di Firenze e dintorni. Ecco, questa vita è stata giudicata italiana solo dopo 29 anni e tanti moduli, fogli, questionari, bollettini, certificati. Dopo uffici pubblici lasciati in mano a uomini e donne di buona volontà, ma anche, in assenza di questa, di tanta ignoranza e menefreghismo.
Potrei citare forse il massimo raggiunto in questa trafila.. alle porte della tanto agognata cittadinanza: la richiesta del certificato di nascita londinese. Nima “scopre” che ambasciate o consolati non possono far avere questi documenti, è necessario chiederli direttamente all’ospedale londinese in cui si è nati. Fortunatamente questo è il primo documento che Nima riesce ad ottenere in poco tempo, ma… alla prefettura fiorentina le viene detto che la traduzione in italiano del certificato deve essere fatta… a Londra! L’epilogo felice è ottenuto con un tipico escamotage italiano… richiamare sperando che la telefonata venga presa da qualcun altro, più sveglio? più logico? più serio?… basta che sia diverso, qui ogni personaggio fa storia a sé e la burocrazia non è semplicemente un impiccio, ma segna il confine tra il saggio e il succube. Tra chi “applica” e chi “si fa applicare”.
Questa sottile follia si ritrova nel racconto di Nima, come un filo rosso che attraversa la vita di una ragazza dalla pelle iraniana e dall’accento fiorentino. Ma la giovane che chiede “Posso esistere, per favore?” dischiude, attraverso le corse e le file negli uffici, una vita ricca di persone ed emozioni forti. Una vita vissuta a Firenze, ma con viaggi importanti, in Inghilterra, negli USA e, naturalmente, a Teheran.
Assaggiamo così le tante anime di Nima… i discorsi dei “grandi” ascoltati distrattamente nel retro del negozio di sua madre; le vacanze trascorse in campagna e la voglia di sfogare nella natura più o meno selvaggia le tante domande senza risposta di una bambina che insegna per gioco il farsi alle sue compagne fiorentine.
Vivere i riti di Zoroastro nelle case del centro di Firenze è un’esperienza intensa, che crea legami stretti tra la comunità iraniana e al contempo mantiene la piccola Nima in una bolla sospesa tra civiltà spesso dolorosamente diverse. Nel libro leggiamo alcuni ricordi molto personali che sottolineano ancora di più la follia di un sistema amministrativo e anagrafico, una burocrazia che pretende di certificare ciò che è sotto pelle, che è vissuto fin nel profondo. Nel rito del Capodanno, il più piccolo dei convenuti alla cena deve uscire dalla stanza e rientrare dopo aver bussato. Alla domanda “Chi è?” dovrà rispondere
“Sono la gioia, la luce, l’amore, la prosperità e tutte le cose più belle”
Alla semplice domanda Nima, bambina, risponde sicura.. ma a 18 anni questa risposta non basta più. Tutto quello che si è sempre fatto, la vita che abbiamo condotto, non è più sufficiente, bisogna cominciare a “dimostrare” di essere, di vivere, di pensare, di avere diritto.
Il libro di Nima Sharmahd si legge velocemente… si legge arrabbiandosi.. si legge anche un po’ vergognandosi, di non essere in grado di alzare la voce quando ci impongono norme ignobili o anche solo ignoranti.. si legge sorridendo insieme alla giovane iraniana che, con i suoi modi semplici e orgogliosi al tempo stesso, cammina una spanna sopra i tanti meschini burocrati, seduti dietro scrivanie pesanti e addormentati sotto occhiali spessi e scuri.
Il libro di Nima si legge sollevati, una volta arrivati in fondo ad una vicenda a tratti kafkiana, ma quello che più conta il libro di Nima si consiglia e si diffonde. Perché la conoscenza delle piccole e grandi follie di questo nostro Paese possa aiutarci a cambiare e fare cambiare.
E la prossima volta che passeggeremo per Firenze, ricordiamoci che questa città continua a essere ricca di fascino anche grazie alle vite di chi sceglie di lasciare nelle sue pietre serene un’impronta di sé, colorata, profumata e … piena di entusiasmo!
Rando Devole ha avuto parole di grande profondità, parlando a Radio Tre della questione dell’immigrazione in Italia. Uno degli aspetti che, secondo Devole, costituiscono la vera ricchezza dell’immigrazione è l’ottimismo, la voglia quasi la smania di sopravvivere e vivere meglio. In un momento e in un mondo come il nostro è proprio questo ciò che manca nella società… il libro di Nima ci lascia in bocca un aroma dolce di euforia e speranza.