Quando ho letto le prime pagine di Tusitàla ho capito subito cosa mi aveva segretamente attratto verso l’opera prima di un caro amico: una libreria rubata.. interamente.
Cresciuta in una casa contesa ad un paio di migliaia di volumi, della più varia natura ed origine, conosco purtroppo bene la sensazione spiazzante della mensola svuotata… Anche la figura di Stevenson, quasi un nume tutelare del racconto di Tusitàla, era familiare alle mie mensole.
E poi c’è questo fascino antico nel creare la suspence per un furto di libri! in un mondo ormai dominato da I-vattelapesca e tutto rivolto alla pagina telematica.
Mentre ancora mi aggiravo tra i primi capitoli del romanzo, ho assistito alla presentazione alla libreria Edison e lì ho capito meglio le intenzioni dell’Autore: creare un intreccio in cui storie di gente comune risultavano condizionate dalla Storia, negli affetti, nei lavori, nella libertà… Dunque un romanzo non storico ma di storie, una trama complicata eppure costruita attorno a vite lineari, ognuna intenta a percorrere un proprio binario e improvvisamente costretta a fare i conti con quelle degli altri.. e con le oscure vicende dei Nazisti in Toscana.
Il titolo sembrerebbe fuorviante, si riferisce al nome di una barca dove due dei protagonisti passano ben due anni, per scappare da una accusa ingiusta. Eppure la descrizione di questa lunga fuga non occupa molte pagine, il ritmo dondolante della Tusitàla si ritrova invece nell’alternarsi dei capitoli, che seguono prima l’uno poi l’altro dei protagonisti, che saltano dall’oggi all’altroieri, giocando anche con l’attenzione del lettore e procurando un movimento altalenante che abbraccia tutte le paure, le certezze, le recriminazioni e le speranze di Luigi, operaio della Manifattura Ginori di Doccia, accusato del furto di un fantomatico lotto di ceramiche, all’indomani della visita di Göring.
L’ossessione di Luigi per l’evento che ha stravolto la sua vita, e non solo, si materializza nella libreria, abitata da volumi autografati, pazientemente raccolti sulle bancarelle fiorentine, che diventa preda ambita a causa di un’autobiografia non autorizzata. E’ forte la tentazione di guardare la vicenda come una sorta di metafora: la libertà di Luigi è condizionata dalla scomparsa di alcuni oggetti d’arte, in fondo sarebbe auspicabile che tutti noi ci sentissimo defraudati di un pizzico di libertà quando monumenti o reperti vengono rubati, deturpati, ignorati … ma forse è chiedere troppo… conviene lasciarsi coinvolgere dalla storia, anzi dalle storie, per osservare da vicino i visi alterati di chi pensa che un’opera d’arte possa condizionare le vite di altri esseri umani, di chi attribuisce a quadri o ceramiche un potere forse più forte di qualsiasi arma.
L’espressione artistica diventa mercimonio: ci sono i Nazisti, c’è Göring soprattutto, con l’esigenza quasi fisiologica di circondarsi di trofei; ci sono i galleristi, che fanno del commercio d’arte una professione quasi mistica; ci sono i cinesi e i maghrebini di Milano, che si contendono l’illusione di libertà a colpi di merce contraffatta o rubata.
Poi ci sono gli amici di Luigi, ognuno con una storia, che mette al servizio della Storia per rintracciare la verità e finalmente fare un po’ di giustizia. Ma sarà davvero finita? Quello che rimane, dopo aver letto Tusitàla, è la voglia di raccontare, di condividere il proprio tassello del grande e complesso mosaico. Di inseguire la propria opera d’arte e di trovare, alla fine, un’isola dove dissotterrare il proprio tesoro.