Non ho un Iphone, né un MAC, più che altro perché non ho soldi sufficienti a garantirmi una vita autonoma, dunque per me sicuramente la Apple è sinonimo di surplus, di lusso.
In questo senso, forse, l’esempio dei programmatori e degli esperti di marketing della Apple è decisamente entusiasmante, perché sono riusciti a creare aspettativa, curiosità, allegria e piacere creando e promuovendo oggetti molto costosi, mantenendo però un profilo “ecumenico” per cui tali beni di lusso sono ormai entrati nell’immaginario collettivo come le chiavi che aprono il mondo, lo mettono a disposizione di chiunque (!) … chapeau!
La morte del principale artefice di questo gioco di prestigio non mi ha però lasciata insensibile, né mi sono buttata in considerazioni snobistiche, forte della mia estraneità al fenomeno Apple. Anzi, mi ha fatto tornare alla mente un libro che ho letto 4 anni fa, scritto da un amico che ha deciso di osservare questo fenomeno e registrare ogni movimento…
Emozione Apple, di Antonio Dini è un libretto snello e scorrevole, che si legge velocemente perché segue il ritmo avvolgente delle tante “finestre aperte simultaneamente” che costituiscono il vero appeal di un MAC (e Antonio è un po’ così quando parla… a volte è difficile rimanere ancorati al pensiero di partenza!).
Leggendolo ho trovato alcuni punti più oscuri, meno sviluppati, e ho puntualmente riferito dei miei dubbi ad Antonio, ma nel complesso sono convinta che il suo libro sia un ottimo modo per avvicinarsi al mondo di Steve Jobs. Il titolo “emozione” è l’unico davvero azzeccato per descrivere il rapporto tra la Apple e il suo pubblico di consumatori/fan: ogni fase della storia Apple è una sorta di episodio mitologico, con avvenimenti fortuiti che si inquadrano nel disegno superiore e attori e comprimari che superano le avversità contando principalmente sulle proprie doti personali.
Manca forse una nascita miracolosa, ma il particolare dell’adozione con clausola di far studiare il piccolo Steve all’Università è un ottimo sostituto di capanne, alberi, culle su fiume ecc. Dunque è questo il nocciolo della questione: l’emozione, intensa, creata da un eroe del nostro tempo. Tutto il resto è noia..come direbbe qualcuno… perciò ad alcuni possono sembrare forzate le riflessioni di Gennaro Carotenuto o di Luca Aterini. I soliti guastafeste invidiosi che stigmatizzano… ma si può stigmatizzare un eroe?
Si può fare il pelo e contropelo ad una icona? Che, per giunta, è morta come il più umano dei mortali che popolano questa Terra…Un dio fatto uomo che “cambia la vita di milioni di persone“, per il quale l’aggettivo “visionario” non è una scorciatoia al rogo sulla pubblica piazza ma un merito riconosciuto da tutti, che fa dell’eresia lo slogan “think different” e poi muore come milioni di noi.
Probabilmente il “segreto” è proprio in questa esigenza sempre più pressante di sognare, di seguire un nostro personale pifferaio magico che ci porti via da una realtà troppo triste e buia, insostenibile a volte. Ma sì, abbiamo bisogno di sognare ancora e in questa società delle immagini-video lo dobbiamo fare seguendo qualcuno che ci parli da uno schermo e ci immerga lo sguardo in un altro schermo, una finestra aperta su ciò che possiamo controllare e plasmare a nostro piacimento.
Devo ammettere che quel poco che ho letto o visto riguardo a Jobs sono riuscita a collocarlo agevolmente in una società entusiasta come quella americana, sono invece rimasta più colpita dalle reazioni dei fan europei o comunque non statunitensi. Soprattutto il tanto decantato messaggio a Stanford, letto da una persona con grande consapevolezza: della propria condizione di uomo di potere e malato con poche speranze, della platea che aveva davanti, dell’aspettativa sulla sua persona.
Stay hungry, stay foolish.
Sì, un ottimo slogan, tratto da The Whole Earth Catalog e divenuto ben presto il motto della Apple, alquanto azzeccato: una mela chiede di essere affamati! Ascoltato come commiato del discorso di Stanford è decisamente una ciliegina accattivante, ma ripetuto dai miei connazionali, non so perché, mi suona davvero fuori contesto.
So che sembrerà retorico, ma, se proprio devo citare uno slogan simile, pronunciato da un italiano e molto più vicino al nostro modo mediterraneo di vivere la vita, che empatizza con le situazioni complicate, riesce a gioire di piccoli momenti, si fascia la testa con paranoie quotidiane che tirano in ballo questioni cosmiche come l’etica e l’amicizia, convive con sensi di colpa atavici ma dà la vita pur di aiutare un altro essere umano in difficoltà, di qualunque razza e religione, spesso si commuove di fronte ad un cucciolo e parte lancia in resta per difendere gli ideali vilipesi, di qualsiasi origine…
ecco, se devo pensare a uno slogan che riassume meglio delle parole di Jobs l’emozione cui sono affezionata e che mi può essere d’aiuto nel trovare un motivo in tutto il nostro annaspare … allora, scusate, ma il mio pensiero va a
Stay human