Un momento decisamente ben scelto quello attuale per allestire una mostra sul rapporto tra ricchezza e bellezza. Nel fiorentino Palazzo Strozzi, voluto da una famiglia che si contendeva il predominio economico nella culla del Rinascimento e che proprio per questo palazzo finì sul lastrico, siamo introdotti all’arte del mercanteggiare, del prestare, del cambiare, del viaggiare e del patrocinare…
“Denaro e Bellezza. I Banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità”
visitabile fino al 22 gennaio 2012
tutti i giorni dalle 9,00 alle 20,00 e il giovedì fino alle 23,00
alla mostra sono associate varie iniziative, conferenze, aperture straordinarie, proiezioni di film, tutte comprese nel cosiddetto
passaporto di denaro e bellezza
In un percorso suggestivo e denso di informazioni, Ludovica Sebregondi e Tim Parks ci guidano attraverso le invenzioni, gli inganni, le decisioni, i ripensamenti, le fortune e le tremende sventure che hanno caratterizzato personaggi fondamentali per la storia economica, politica e culturale di Firenze tra il XIII e il XVI secolo.
Quello però che cattura il visitatore, oltre al pregio dei documenti e degli oggetti esposti, è quel sottile filo rosso che ricama rimandi continui con l’attualità…
Nel 1230 i Carmina Burana con “Il denaro è re assoluto” declinano i mille volti della ricchezza e i tanti casi in cui i soldi possono corrompere e viziare, anche gli animi più elevati: proprio la corruzione degli animi e dei costumi ci induce ad osservare i protagonisti con gli occhi dei giudici danteschi.
Francesco Datini è sicuramente una delle figure paradigmatiche degli inizi dell’avventura mercantile di Firenze: nato a Prato e mercante di tessuti, egli decide di diventare agente di cambio e accumula una fortuna. La coscienza appesantita dai tanti ricavi illeciti e soprattutto una prole illegittima lo spingono a farsi promotore di un istituto per trovatelli; con il suo lascito testamentario verrà così iniziata la costruzione dello Spedale degli Innocenti. Ecco riassunta nella vita di uno solo la parabola di molti illustri o meno mercanti della Toscana all’alba degli anni d’oro.
La mostra ci aiuta infatti a capire, attraverso quattro temi principali, l’evoluzione dell’arte del mercanteggiare e la nascita dei “banchi” e delle tecniche di cambio, il tutto condito dalle opere d’arte che venivano commissionate per rendere omaggio alla ricchezza finalmente raggiunta oppure, più spesso, per aggiudicarsi la benevolenza di un Dio particolarmente feroce con “i mercanti nel tempio” eppure contemporaneamente estremamente benevolo con chi quel tempio lo abbelliva. …
Persino nel concludere una lettera di cambio ci si affidava a Dio ed è proprio questorapporto con la religione a seguire il visitatore attraverso libri contabili, scarselle pregiate e portolani: la Chiesa condannava chi ricavava degli interessi sui prestiti, per questo solo agli ebrei era concesso di aprire banchi di pegno – pur se con tasse altissime da pagare al Comune. Da questa disputa teologica e dalla lettura del Vangelo scaturisce inevitabilmente la figura quasi stereotipata del vecchio usuraio ebreo.
In mostra troviamo sia gli usurai nostrani che quelli ritratti dai tanti fiamminghi che avevano trovato la Firenze artistica spesso seguendo i tessuti dal grande mercato di Bruges.
Bruges, Barcellona, Londra… il mercato fiorentino esce presto dai confini comunali e diventa quasi l’ago della bilancia commerciale della vecchia Europa, soprattutto nei decenni a cavallo del XV e del XVI secolo, quando la scoperta del Nuovo Mondo apre prospettive completamente diverse.
L’Italia al centro delle sorti economiche europee… i documenti che ne attestano il ruolo di primo piano stridono forse con la più recente lettera della BCE che ha tanto messo in crisi proprio la nostra credibilità: in mostra possiamo esaminare le lettere di cambio che, ideate proprio dai fiorentini, risultarono un mezzo geniale per speculare sui diversi valori monetari dei Paesi impegnati nelle transazioni commerciali… All’inizio del percorso espositivo suggerisco di non lasciarsi sfuggire un’iniziativa curiosa e accattivante: in un gioco virtuale i visitatori possono iscriversi tramite il codice a barre del biglietto nella prima di 4 postazioni multimediali e fingere di “investire” una certa somma di fiorini, scegliendo tra tre opzioni. Le tappe successive permettono di seguire i fiorini e optare per l’uno o l’altro percorso o mezzo di trasporto, fino a giungere a Firenze e verificare se la somma iniziale è aumentata e quindi se c’è stato un guadagno. In caso di risposta affermativa il fortunato mercante ha diritto ad uno sconto nel bookshop!
Ma riprendiamo il percorso espositivo e addentriamoci sempre di più nello spirito di questi imprenditori cui facciamo risalire molti termini in uso ancora oggi, primo fra tutti “banca” che deriva dai primi, rudimentali banchi (tavole di legno) allestiti nelle grandi fiere e sui quali avvenivano i “giochi” d’azzardo della finanza dell’epoca. “Bancarotta” è oggi un’immagine astratta che in origine indicava l’atto molto concreto di interrompere brutalmente gli affari di una certa famiglia di banchieri.
Altro termine che trae origine in quella temperie culturale è “sfoggiare“: con questo verbo si intende solitamente l’indossare o l’esibire qualcosa di costoso, solitamente alla moda, in ogni caso distintivo di un certo status. Ebbene, a Firenze si indicava in questo modo chi aveva suppellettili o abiti che fossero al di fuori dei limiti, della “foggia”, imposti dalle leggi suntuarie (che avevano le loro deroghe “eccellenti”). Dunque un’esibizione, certo, ma passibile di multe salatissime! Soprattutto gli abiti femminili risentirono di alcune limitazioni che avevano come principale intento quello di evitare la mobilità sociale, evitare, cioè, che con l’arricchimento più o meno lecito si andassero a ingrossare le fila di chi poteva permettersi una vita lussuosa e quindi anche un seguito numeroso…
Questa vita spinta al limite, spesso in bilico tra il successo e la bancarotta, tra un naufragio e la conquista di un’altra piazza internazionale, viene mirabilmente documentata anche dall’arte: pale d’altare, ritratti, quadri, decine di artisti trovano un mecenate in ognuno dei grandi mercanti e banchieri dell’epoca che, come annota un trattatista catalano, comunament son la major part gran filosofs. Si occupano di letteratura e teologia, disquisiscono dei piaceri della vita e delle certezze della morte, sono ferrati in astronomia e nell’arte della navigazione, cui è affidato il loro patrimonio.
In tale tripudio di vitalità, condito di intrighi e di alte e basse fortune, giunge come un tuono minaccioso un frate di Ferrara: Girolamo Savonarola.
In una delle ultime sale è fortemente evocativa l’immagine in terracotta di Lorenzo il Magnifico, dal ghigno sottilmente mefistofelico, esposta accanto alle testimonianze della sanguinosa congiura dei Pazzi e di fronte ad una grande tela ottocentesca che ripropone uno dei roghi delle vanità del frate domenicano. Savonarola segna la fine – temporanea – dei Medici e l’inizio di un periodo – breve – di purificazione del popolo fiorentino; quale migliore disinfettante del fuoco? I roghi delle vanità di Savonarola illuminano la città dei Medici come la biblica pioggia di fuoco su Sodoma e Gomorra, i cittadini si dividono, non sono pronti per un cambiamento di rotta così repentino eppure sentono che è necessario porre un freno agli eccessi.
Botticelli raccoglie l’invito e dalla sua arte elimina l’elemento classico destabilizzante e sfrenato per sostituirvi un più asciutto simbolismo penitente cristiano.
Ma Savonarola non può combattere contro la natura umana e la sua avventura termina con un altro rogo, documentato da molti artisti: in mostra è riproposta un’ampia serie di immagini, contemporanee e non, che ripetono la stessa scena, quasi con la medesima angolazione e che testimoniano l’enorme impressione che suscitò la vicenda dei Piagnoni, non solo a Firenze.
Una esperienza rara e una occasione unica, quella della mostra di Palazzo Strozzi, soprattutto attraverso la preziosa guida dei saggi del Catalogo.
L’opportunità di osservare il dietro le quinte delle grandi imprese fiorentine, dello sfarzo mediceo e delle Madonne di rosso ammantate; di curiosare nei libri contabili dei banchieri più spudorati, aprendo forzieri dalle serrature nascoste che dovevano custodire i nomi illustri di prestatori e dei titolari di conti..perché non bisogna dimenticare che…
il denaro dà consigli a chi siede nei concilii
Carmina Burana
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